Summa Teologica - I |
De Verit., q. 9, a. 5; In 1 Cor., c. 13, lect. 1
Pare che l'angelo inferiore non parli a quello superiore.
1. Sopra quelle parole di S. Paolo [ 1 Cor 13,1 ]: « Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli », la Glossa [ ord. ] dice che il parlare degli angeli non è altro che il loro illuminare.
Ora, come si è visto [ q. 106, a. 3 ], gli angeli inferiori non illuminano mai quelli superiori.
Quindi neppure parlano ad essi.
2. Come si è già detto [ q. 106, a. 1 ], illuminare non è altro che manifestare agli altri quanto si conosce.
Ma parlare significa la stessa cosa.
Quindi parlare e illuminare sono la stessa cosa: e così ritorna l'obiezione precedente.
3. Dice S. Gregorio [ Mor. 2,7 ] che « Dio parla agli angeli rivelando ai loro cuori i suoi segreti invisibili ».
Ma ciò è lo stesso che illuminare.
Quindi ogni parlare di Dio è un illuminare.
Per la medesima ragione, dunque, ogni parlare dell'angelo è anch'esso un'illuminazione.
In nessun modo perciò l'angelo inferiore può parlare al superiore.
Stando all'interpretazione di Dionigi [ De cael. hier. 7,3 ], gli angeli inferiori chiesero a quelli superiori: « Chi è questo re della gloria? » [ Sal 24,10 ].
Gli angeli inferiori possono parlare ai superiori.
Per comprenderlo si deve considerare che, negli angeli, l'illuminare è sempre un parlare, ma il parlare non è sempre un illuminare.
Si è visto infatti [ a. 1 ] che il parlare di un angelo con l'altro non è che un indirizzare a lui il proprio pensiero dietro il comando della volontà.
Ora, i concetti formati dalla mente si possono riferire a due princìpi: cioè direttamente a Dio, che è la verità prima, e alla volontà del conoscente, in forza della quale noi consideriamo attualmente un oggetto.
Ma essendo la verità la luce dell'intelligenza, e norma di ogni verità lo stesso Dio, ne deriva che la manifestazione di un concetto, in quanto dipende dalla prima verità, è insieme un parlare e un illuminare: come quando un uomo dice a un altro: « Il cielo è stato creato da Dio », oppure: « L'uomo è un animale ».
Invece la manifestazione delle cose che dipendono dalla volontà del conoscente non può essere detta illuminazione, ma soltanto locuzione: come nel caso che uno dicesse a un altro: « Voglio imparare questo », oppure: « Voglio fare questa o quella cosa ».
E la ragione è che la volontà creata non è né luce né norma della verità, ma partecipa soltanto della luce: quindi comunicare agli altri ciò che procede dalla volontà creata in quanto tale non è un illuminare.
Infatti non ha nulla a che fare con la perfezione del mio intelletto il conoscere ciò che tu vuoi o ciò che tu intendi, ma solo il conoscere la sostanza della verità.
È chiaro, d'altra parte, che gli angeli sono detti superiori o inferiori in rapporto a quel principio che è Dio.
Quindi l'illuminazione dipendente da quel principio che è Dio viene trasmessa solo dagli angeli superiori a quelli inferiori. In rapporto invece all'altro principio, che è la volontà, la stessa persona che vuole è prima e suprema.
Quindi la manifestazione delle cose che appartengono alla volontà è fatta dalla stessa persona che vuole direttamente a chi essa vuole.
E sotto questo aspetto gli angeli parlano reciprocamente: i superiori agli inferiori e questi a quelli.
1, 2. Si è risposto così anche alla prima e alla seconda obiezioni.
3. Ogni parlare di Dio agli angeli è anche un illuminare: essendo infatti la volontà di Dio norma della verità, anche il sapere ciò che Dio vuole appartiene alla perfezione e illuminazione della mente creata.
Non è invece lo stesso per la volontà dell'angelo, come si è detto [ nel corpo ].
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