Summa Teologica - I |
7 - Superata ormai ogni polemica di scuola, noi oggi possiamo ammirare con serenità la rivelazione del genio d'Aquino in questo trattato teologico, che suscitò in passato le più fervide lodi dei discepoli e le riserve più severe degli avversari.
E possiamo anche rilevare spassionatamente quali siano gli aspetti meno felici della sua costruzione dottrinale.
Non ci possono essere limiti nell'ammirazione, quando pensiamo alla coerenza sistematica di tutto il trattato.
Poche intuizioni fondamentali guidano alla soluzione di tutti i problemi, giustificando i dati positivi della rivelazione e della tradizione con una spontaneità, che a prima vista dà una strana sensazione di sicurezza anche di fronte a problemi di loro natura insolubili.
Abbiamo parlato di intuizioni fondamentali; ma forse è più giusto dire, al singolare, che si tratta di un'intuizione sola, la quale governa l'intero trattato: la negazione di ogni materia nelle sostanze spirituali.
Più che un'intuizione abbiamo qui un postulato.
La materia, analizzata secondo il più puro aristotelismo, è un sustrato potenziale con determinazioni quantitative: estensione, peso, figura.
Posti come siamo dalla rivelazione stessa nella necessità di negare tutto ciò agli angeli, bisogna coerentemente concepire questi ultimi come sostanze semplici, immateriali, cioè come forme pure senza materia.
Primo corollario di questa dottrina è un atto di leale accettazione di un motivo averroista: le forme semplici non possono moltiplicarsi numericamente nella medesima specie.
Ogni angelo fa specie a sé ( q. 50, a. 4 ).
Inoltre, una forma sussistente non può subire le determinazioni di luogo, di moto e di tempo alla maniera delle sostanze corporee ( qq. 52, 53 ).
Perciò le apparizioni di angeli descritte dai libri santi non possono considerarsi basate sull'unione naturale di queste sostanze con delle entità materiali ( q. 52 ).
L' immaterialità poi di cui si parla non è un concetto negativo, perché la forma che sussiste in se medesima è un atto che nel suo ordine è senza potenza, un atto che esaurisce tutta la perfezione della sua specie.
Ma senza concretarsi e senza spandersi su di un sostrato materiale, la forma rimane in se stessa raccolta in un possesso totale di se medesima.
Avremo perciò anche quella forma particolarissima di autopossesso che è la cognizione ( q. 56 ).
Persino le caratteristiche della cognizione angelica derivano dall'immaterialità o semplicità della natura, cui tale cognizione appartiene.
Le forme semplici non sono legate agli organi e alle limitazioni della cognizione sensitiva; non ha senso perciò parlare del processo astrattivo, così caratteristico della conoscenza umana.
Anzi la cognizione degli angeli, per essere proporzionata alla loro natura di forme o atti sussistenti, non deve essere potenziale come la nostra.
E perché sia sostanzialmente attuale si richiede un'infusione di specie connaturali, di idee innate ( qq. 54-58 ).
Anche l'esercizio della volontà angelica deve piegarsi a queste esigenze della piena attualità di natura e di cognizione.
Esiste negli angeli una maniera di decidere piena e integrale, che perciò non conosce esitazioni e pentimenti ( q. 64, a. 2 ).
Così pure quando Dio inserisce l'angelo nell'ordine soprannaturale, la piena attualità degli spiriti puri viene rispettata, perché « la grazia perfeziona la natura, non la distrugge ».
Ecco quindi che l'angelo, il quale opera sempre con la perfezione di tutta la sua natura attualissima, viene a collaborare con la grazia nella misura delle sue capacità naturali.
Per lui non c'è che una scelta: o il peccato con una determinatissima responsabilità e pena, o il merito proporzionato a un « connaturale » grado di gloria ( q. 62, a. 6 ).
8 - La coerenza sistematica arriva certamente fino a queste determinazioni.
Ma di fronte ad esse dobbiamo francamente confessare che sentiamo un senso di disagio.
Qui la costruzione non trova più nessun appoggio concreto nella rivelazione; e le nature angeliche sembrano sacrificate da un motivo, che inizialmente tendeva ad esaltarne la nobiltà e la grandezza.
In definitiva sembra menomata la loro dignità di cause, perché viene ridotta sensibilmente la loro iniziativa, in confronto di quella concessa alla natura umana.
L'uomo è artefice del suo destino fin nei minimi particolari; l'angelo invece è costretto a muoversi sul binario unico delle sue doti naturali, e della sua nobiltà e perfezione innata.
Lo stesso rilievo nasce spontaneo nel considerare la maniera caratteristica dell'intellezione angelica.
Le idee innate servono magnificamente a porre la natura angelica al disopra dei suoi oggetti, materiali o immateriali che siano; ma questa attualità sopraeminente compromette un poco l'autonomia delle intelligenze angeliche, poiché le idee connaturali, non solo sostituiscono il contatto immediato e diretto con la realtà, ma lo impediscono.
Un angelo, per conoscere un uomo nella sua concretezza, ha sempre bisogno di rivolgersi alle sue specie « intenzionali », che egli non saprebbe costruirsi da sé, ma che sono date direttamente da Dio.
Sappiamo benissimo che il sistema ha le sue esigenze; ma dinanzi a queste conclusioni estreme viene da pensare che dopo tutto la nostra ricostruzione della psicologia degli angeli non può essere che molto approssimativa; e che forse a noi sfugge l'aspetto più originale della loro attività.
- Evidentemente qui non tocchiamo soltanto i limiti di una teoria, ma i limiti della stessa intelligenza umana.
9 - Quest'ombra di relativismo è insopprimibile per la mentalità moderna, e non ci sono motivi ragionevoli per dichiararla peccaminosa.
Tanto più che nelle strutture di tutte le costruzioni sistematiche del passato troviamo mescolati dei motivi sicuramente caduchi.
Anche nel trattato tomistico degli angeli non mancano queste impalcature pericolanti.
Prima fra tutte l'analogia tra i corpi celesti incorruttibili della fisica aristotelica e le sostanze angeliche.
Per S. Tommaso aveva un valore dimostrativo questa proporzionalità: come i corpi celesti stanno ai corpi terrestri, così la natura e l'intelligenza angelica stanno alla natura e alla intelligenza umana ( cfr. q. 58, a. 1 ).
I primi sono attuali, perché perfettamente dominati dalla forma; i secondi invece sono potenziali.
Allo stesso modo, l'intelletto angelico è attuale mentre quello umano è sempre potenziale.
Da questa presunta analogia non sono stati tratti solo degli esempi: basta leggere il passo sopra citato per constatare che si tratta di vera dimostrazione.
Anche se quella dimostrazione non è l'unico sostegno della tesi in discussione, è ragionevole sospettare che l'analogia abbia forzato la mano del metafisico e del teologo, spingendolo a insistere oltre i limiti del giusto nel negare agli angeli un'intrinseca perfettibilità.
Noi moderni, forse perché sollecitati dalla concezione evoluzionistica del mondo fisico, si preferisce pensare che tutte le creature si trovino in uno stato di perfettibilità indefinita.
Ogni creatura, anche se perfettissima, ci appare come una partecipazione limitata dell'essere, aperta però verso altre forme di esistenza mediante l'operazione, esercitata o subita.
Perciò ci sentiamo spinti ad accentuare il carattere transitorio delle operazioni, così da permettere ad ogni creatura di completarsi successivamente nelle varie forme in cui l'essere può venire partecipato.
Noi quindi non riusciamo a comprendere l'angelologia dei neoplatonici, per i quali le intelligenze separate erano delle sostanze del tutto attuali, senza essere l'atto puro.
- L'Aquinate stesso ha compreso che bisognava smorzare le tinte di questa attualità degli spiriti puri, per farne delle creature autentiche.
Egli perciò afferma chiaramente che questi esseri sono indirizzati a un fine estrinseco alla loro natura, e quindi sono sottoposti alla iniziativa di Dio.
Anche la loro intelligenza può sempre avere illuminazioni dall'alto.
- Ma noi vorremmo che fosse posto in maggiore evidenza il fatto che l'operazione in ogni creatura colma sempre una vera potenzialità, anche se si tratta dell'intellezione degli angeli, eliminando così persino l'eco dell'analogia tra angeli e corpi celesti.
10 - Dobbiamo finalmente accennare alle teorie cosmologiche nelle quali gli angeli erano direttamente implicati.
S. Tommaso, da buon aristotelico, pensava che gli angeli avessero tra l'altro il compito di muovere le sfere, che secondo l'astronomia antica avrebbero costituito l'universo.
Sappiamo che egli era ben lontano dall'appassionarsi come i suoi contemporanei a questi problemi di astronomia. ( Si pensi alla reprimenda di Dante Alighieri contro i predicatori che facevano esibizionismi in tale disciplina, Parad., XXIX, 94-126 ).
Basterebbero a provarlo i consigli di moderazione che diede al B. Giovanni da Vercelli, Maestro Generale del suo Ordine, preoccupato per le animate discussioni sorte tra gli studenti dello Studio milanese a proposito di queste teorie ( cfr. Opusc. 10 ).
Ma era naturale che anch'egli indulgesse, almeno in parte, ai gusti del suo tempo.
Perciò la nostra accettazione di certe dottrine non può essere incondizionata.
Ci sono poi le teorie riguardanti il luogo della creazione e della dimora abituale degli angeli, che il teologo moderno considera ormai quasi come pure curiosità archeologiche.
In genere oggi si preferisce frenare i voli della fantasia, e inibirsi ogni curiosità intorno a simili problemi.
Ma pretendere questo da un medioevale, dopo tutte le sollecitazioni che venivano dal neoplatonismo, dallo gnosticismo, filtrati attraverso la cultura araba e giudaica, significa chiedere un miracolo.
Invece S. Tommaso, in questo trattato come in qualsiasi altro, si rivela un uomo saggio, non un uomo miracoloso.
E l'interesse maggiore che noi oggi proviamo per il trattato degli angeli non deriva tanto dalle conclusioni riguardanti questi esseri celesti, quanto piuttosto dall'acuta indagine sulla natura e sulla operazione umana, la quale doveva sempre servire come punto di riferimento per queste ardite speculazioni.
Non esiste forse in tutta la Somma Teologica un trattato in cui il Dottore Angelico mostri di conoscere così a fondo l'uomo come nel trattato degli angeli.
11 - Gli studiosi appassionati delle nature spirituali non troveranno invece in queste pagine la risposta a molti dei loro problemi, che pur sono legittimi.
Non vi si parla infatti dell'attività e delle mansioni proprie delle nature angeliche, come contributo all'ordine dell'universo.
E questo non perché il Dottore Angelico si sia disinteressato di tali quesiti, ma perché ha creduto più opportuno rimandarne la discussione a quando si tratterà del governo dell'universo ( I, qq. 103-119 ).
Perciò il trattato degli angeli è incompleto.
Rimangono fuori 9 questioni, con 47 articoli complessivi: un buon terzo di quelli espressamente dedicati alle nature angeliche nella Somma Teologica.
- Questo fatto sta a dimostrare che l'Aquinate non intendeva dividere la sua opera in trattati.
Egli è solo preoccupato di svolgere le questioni secondo le esigenze della sintesi generale della teologia, alla quale espressamente mirava.
La divisione della Somma in trattati, sebbene ordinariamente non sia un'impresa tanto difficile, è però un arbitrio.
Arbitrio che il Santo Dottore vorrà perdonare, speriamo, agli editori antichi e moderni della sua opera.
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