Summa Teologica - I |
C. G., I, c. 45; Comp. Theol., c. 31; In 12 Metaph., lect. 11
Pare che il conoscere stesso di Dio non sia la sua sostanza.
1. Il conoscere è una certa operazione.
Ma ogni operazione indica qualcosa che esce dall'operante.
Quindi il conoscere di Dio non è la sua stessa sostanza.
2. Conoscere se stesso nell'atto di conoscere non equivale a intendere qualcosa di grande e di primario nell'ordine intellettivo, ma qualcosa di secondario e di accessorio.
Se dunque Dio è il suo stesso conoscere, conoscersi sarà per lui ciò che è per noi il conoscere che conosciamo.
E così conoscersi non sarà per lui qualcosa di grande [ e di primario ].
3. Ogni conoscere è un conoscere qualcosa.
Quando dunque Dio si conosce, se egli stesso non è altro che il suo conoscere, [ bisognerebbe dire che ] il conoscere divino, [ e quindi la sostanza divina ], non è altro che un conoscere di conoscere, e così all'infinito.
L'intendere di Dio non si identifica quindi con la sua sostanza.
S. Agostino [ De Trin. 7,2.3; cf. 6,4.6 ] dice: « Per Dio l'essere è essere sapiente ».
Ora, essere sapiente è lo stesso che conoscere.
Quindi per Dio l'essere è conoscere.
Ma l'essere di Dio è la sua sostanza.
Quindi il conoscere di Dio si identifica con la sua sostanza.
È necessario dire che il conoscere di Dio è la sua stessa sostanza.
Se infatti il conoscere di Dio fosse distinto dalla sua sostanza bisognerebbe, come dice Aristotele [ Met. 12,9 ], che l'atto e la perfezione della sostanza divina fossero qualche altra cosa, a cui la divina sostanza direbbe ordine come la potenza all'atto ( il che è del tutto impossibile ): infatti il conoscere è la perfezione e l'atto di colui che conosce.
Ora, è da approfondirsi come ciò avvenga.
Sopra [ a. 2 ] infatti abbiamo detto che il conoscere non è un'azione che ha un termine esterno, ma resta nell'operante come suo atto e perfezione, allo stesso modo in cui l'essere è la perfezione dell'esistente: poiché come l'essere dipende dalla forma, così il conoscere dipende dalla specie intelligibile.
Ora, in Dio non vi è una forma che sia distinta dal suo essere, come si è provato sopra [ q. 3, a. 4 ].
Quindi, siccome la sua essenza è anche la sua specie intelligibile, come si è già detto [ a. 2 ], ne viene di necessità che il suo conoscere è anche la sua essenza e il suo essere.
E così è evidente, da quanto abbiamo spiegato [ qui e nell' a. 2 ], che in Dio l'intelletto, l'oggetto conosciuto, la specie intelligibile e la stessa intellezione sono una sola e identica cosa.
È chiaro, perciò, che quando si afferma che Dio conosce non si pone in lui alcuna molteplicità.
1. L'intellezione non è un'operazione transitiva che esce dall'operante, ma è un'operazione immanente.
2. Quando si conosce un'intellezione che non è sussistente, certo non si conosce qualcosa di grande [ e di primario ], come quando noi conosciamo il nostro conoscere.
Ma ciò non si può dire del conoscere divino, che è sussistente.
3. E ciò vale anche per la terza obiezione.
Infatti l'intellezione divina, che è in se stessa sussistente, ha per oggetto se medesima e non un'altra cosa, per cui si debba procedere all'infinito.
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