La Trinità

Indice

Libro VII

1.1 - Agostino riprende il problema: Ciascuna persona è per se stessa sapienza?

Ed ora investighiamo con maggior diligenza, nella misura in cui Dio lo concederà, il problema che poco fa abbiamo lasciato in sospeso: nella Trinità ciascuna Persona può essere - per se stessa e indipendentemente dalle altre due - chiamata Dio, o grande, o sapiente, o verace, o onnipotente, o giusto, o qualsiasi altro appellativo applicabile a Dio, non in senso relativo ma in senso assoluto?

Oppure queste espressioni si debbono usare soltanto quando si pensa alla Trinità?

La difficoltà nasce dal testo: Cristo è forza di Dio e sapienza di Dio. ( 1 Cor 1,24 )

Ci si chiede se Dio è padre della sua sapienza e della sua forza in modo che egli sia sapiente per la sapienza che ha generato e potente per la forza che ha generato e se, poiché è sempre potente e sapiente, ( Sir 1,3 ) sempre abbia generato la forza e la sapienza.

Se le cose stanno così, dicevamo, perché non sarebbe padre anche della sua grandezza per la quale è grande, della sua bontà per la quale è buono, della giustizia per la quale è giusto, e così degli altri attributi, se ve ne sono?

E se tutto ciò, sotto nomi diversi, è compreso nella stessa sapienza e forza in modo che la grandezza sia la stessa cosa che la forza, la bontà la stessa cosa che la sapienza, ed ancora la sapienza la stessa cosa che la forza, come abbiamo già mostrato nella nostra trattazione, ci ricorderemo, quando nomino uno di questi attributi, di prenderlo come se li nominassi tutti.

Ci si chiede dunque se il Padre, anche considerato come persona singola, sia sapiente e se è per se stesso la propria sapienza, ovvero se è sapiente come "dicente".

Infatti è dicente con il Verbo che ha generato, ( Sir 1,4-5 ) ma non con il verbo che si pronuncia, risuona e passa, bensì con il Verbo che era presso Dio, e il Verbo era Dio, ( Gv 1,1 ) e tutte le cose furono fatte per mezzo di lui. ( Gv 1,3 )

Con il Verbo uguale a lui, con il quale sempre e immutabilmente dice se stesso.

Il Padre infatti non è Verbo, come non è nemmeno Figlio, né Immagine.

Egli è invece "dicente" ( escludiamo le parole passeggere che Dio fa udire alle creature; infatti queste risuonano e passano ) "dicente", ripeto, con quel Verbo che è a lui coeterno e, come tale, non si considera a parte ma in unione con lo stesso Verbo, senza il quale evidentemente non è "dicente".

È dunque sapiente allo stesso modo che "dicente", così che sia sapienza come Verbo ed essere Verbo equivalga ad essere sapienza, e altresì ad essere forza e s'identifichino forza, sapienza e Verbo e tutto ciò si predichi relativamente come Figlio e Immagine?

Così il Padre non sarebbe né sapiente né potente considerato singolarmente, ma solo in unione con la forza e la sapienza che ha generato, come non è "dicente" considerato a parte, ma per quel Verbo e con quel Verbo che ha generato, e così pure grande per quella grandezza e con quella grandezza che ha generato?

Se ciò per cui il Padre è grande non è diverso da ciò per cui è Dio, ma è grande per ciò per cui è Dio, perché per lui essere grande ed essere Dio è la stessa cosa, ne consegue che non è nemmeno Dio da solo, ma per quella deità e con quella deità che ha generato.

Allora il Figlio sarebbe la deità del Padre, come è la forza e la sapienza del Padre, come anche è il Verbo e l'Immagine del Padre. ( Sir 1,3-5; 1 Cor 1,18-30; 2 Cor 4,4; Col 1,15; 1 Ts 2,13; Ap 19,13 )

E poiché per lui non è cosa diversa essere ed essere Dio, il Figlio sarebbe anche l'essenza del Padre, come è il suo Verbo e la sua Immagine.

E perciò il Padre non soltanto non sarebbe Padre, ma non sarebbe nulla affatto, se non a condizione di avere un Figlio, e così non solo la sua paternità, che evidentemente non ha significato assoluto bensì relativo al Figlio, essendo Padre precisamente perché ha un Figlio, ma anche ciò che egli è per se stesso assolutamente dipende dall'aver egli generato la sua essenza.

Come egli non è grande che per la grandezza che ha generato, così non è che per l'essenza che ha generato, perché essere ed essere grande è per lui una stessa cosa.

Ma allora è padre della sua essenza, come è padre della sua grandezza, come è padre della sua forza e della sua sapienza, dato che la sua grandezza è la stessa cosa che la sua forza e la sua essenza è la stessa cosa che la sua grandezza?

1.2 - Soluzione del problema: il Figlio è sapienza da sapienza come luce da luce

Questa discussione è nata dall'affermazione della Scrittura: Cristo è la forza di Dio e la sapienza di Dio. ( 1 Cor 1,24 )

Il nostro modo di esprimerci è per questo fatto come chiuso nella morsa di precise alternative, quando intendiamo esprimere l'ineffabile: o negare che Cristo sia la forza di Dio e la sapienza di Dio, e così metterci in opposizione con l'affermazione dell'Apostolo, ciò che costituisce un'impudenza e un'empietà; oppure ammettere che Cristo è la forza di Dio e la sapienza di Dio, ma senza affermare che il Padre sia padre della sua forza e della sua sapienza, cosa non meno empia, perché allora egli non sarebbe padre nemmeno di Cristo, poiché Cristo è la forza di Dio e la sapienza di Dio; o riconoscere che il Padre non è potente per la sua forza, né sapiente per la sua sapienza ( ma chi oserà dirlo? ); ovvero pensare che nel Padre essere ed essere sapiente siano cose diverse in modo che sia diverso ciò per cui egli è e ciò per cui è sapiente, come si pensa comunemente dell'anima che è talvolta insensata, altra volta sapiente alla maniera di una sostanza mutevole e non sommamente e perfettamente semplice; oppure ammettere che il Padre non è una realtà assoluta e che non solo in quanto è Padre, ma in quanto semplicemente esiste è relativo al Figlio.

Come allora il Figlio è della stessa essenza del Padre, se questi in senso assoluto non è essenza, né in sé esiste in alcun modo, essendo per lui l'esistenza stessa relativa al Figlio?

Al contrario, invece: il Figlio è tanto più di una medesima essenza con il Padre, perché il Padre e il Figlio sono una sola e medesima essenza.

Il Padre non esiste in senso assoluto, ma relativamente al Figlio come essenza che egli ha generato e per la quale egli è tutto ciò che è.

Nessuno dei due, dunque, è per se stesso e ciascuno dei due si dice relativamente all'altro, oppure solo per il Padre è vero che non soltanto la sua paternità, ma semplicemente tutto ciò che si predica di lui, gli si attribuisce relativamente al Figlio, mentre questi avrebbe anche attributi assoluti?

Se fosse così, quali gli attributi assoluti? Forse la stessa essenza?

Ma il Figlio è l'essenza del Padre, come egli è la forza e la sapienza del Padre, come è il Verbo e l'Immagine del Padre. ( 2 Cor 4,4; Col 1,15 )

Se, al contrario, il Figlio è detto essenza in senso assoluto, allora il Padre non è l'essenza, ma il genitore dell'essenza ed egli non esiste di per se stesso, ma per quella stessa essenza che ha generato, alla stessa maniera che è grande per quella stessa grandezza che ha generato.

Allora però il Figlio sarebbe chiamato in senso assoluto anche grandezza, e dunque forza, sapienza, Verbo ed Immagine.

Ma che cosa vi è di più assurdo che parlare di una immagine assoluta?

Se Immagine e Verbo non sono la stessa cosa che forza e sapienza, perché i primi due termini hanno un significato relativo, i secondi due assoluto, senza rapporto ad un'altra cosa, il Padre non inizia ad essere sapiente per la sapienza che ha generato, perché non si può affermare che il Padre dica relazione alla sapienza, mentre questa non direbbe relazione a lui.

Infatti tutti i termini correlativi si predicano scambievolmente.

Non resta altra alternativa che anche per la sua essenza il Figlio si dica relativamente al Padre e si giunge così a questo senso del tutto inaspettato che l'essenza non è essenza o, almeno, che quando si parla di essenza è la relazione e non l'essenza che si designa.

Come quando, per esempio, si dice "padrone" non si indica l'essenza, ma la relazione in rapporto allo "schiavo"; al contrario quando si dice "uomo", o qualcosa di simile, il cui significato è assoluto, non relativo, allora si designa l'essenza.

Quando perciò un uomo si dice "padrone", essenza è l'uomo stesso, padrone s'intende quindi relativamente: uomo infatti ha senso assoluto, padrone senso relativo allo schiavo.

Ora, per tornare al nostro problema, se l'essenza stessa si prende in un senso relativo, la stessa essenza non è più essenza.

Inoltre ogni essenza designata in senso relativo è pure qualcosa indipendentemente dalla relazione.

Per esempio, nelle espressioni "uomo padrone", "uomo schiavo", "cavallo da tiro", "moneta caparra": "uomo", "cavallo", "moneta" sono termini assoluti, sono sostanze od essenze; invece "padrone", "schiavo", "da tiro", "caparra" sono termini che hanno un senso relativo.

Ma se non ci fosse l'uomo, cioè una sostanza, non ci sarebbe alcuno che potesse venir chiamato "padrone" in senso relativo; se il cavallo non fosse un'essenza, non vi sarebbe nulla che si possa chiamare "da tiro" in senso relativo; così pure se la moneta non fosse una sostanza non potrebbe chiamarsi nemmeno "caparra" in senso relativo.

Perciò anche il Padre, se non è nulla di assoluto, non può essere nemmeno alcunché di relativo.1

Non succede qui come per il colore che è relativo all'oggetto colorato.

Non esiste assolutamente un colore assoluto; il colore è sempre il colore di qualcosa di colorato.

Mentre l'oggetto al quale appartiene il colore, anche se in quanto oggetto colorato dice relazione al colore, in quanto corpo è qualcosa di assoluto.

In nessun modo possiamo pensare così il Padre: che egli non sia nulla di assoluto, ma che tutto si dica di lui in senso relativo al Figlio; che il Figlio invece sia e qualcosa di assoluto in se stesso e qualcosa di relativo al Padre; assoluto evidentemente quando si dice grandezza grande e forte potenza; relativo al Padre, quando si dice grandezza e forza del Padre grande e potente; grandezza e forza cioè per cui il Padre è grande e potente.

Questo non è dunque vero; ma l'uno e l'altro sono sostanza, e l'uno e l'altro sono la stessa sostanza.

Ma come è assurdo affermare che la bianchezza non è bianca, così è assurdo affermare che la sapienza non è sapiente; e come la bianchezza è bianca in senso assoluto, così la sapienza è sapiente in senso assoluto.

La bianchezza del corpo però non è un'essenza, perché è il corpo che è l'essenza e la bianchezza ne è la qualità.

Perciò è per la bianchezza che il corpo è bianco, perché per il corpo essere non è la stessa cosa che essere bianco.

Qui infatti una cosa è la forma, un'altra il colore e né l'una, né l'altra sono in se stesse, ma in una certa massa, massa che non è né la forma né il colore, ma è formata e colorata.

La sapienza al contrario è sapiente, e sapiente di per se stessa, e poiché ogni anima diventa sapiente solo per partecipazione alla sapienza, se ridiventa insensata, nondimeno la sapienza rimane in se stessa, e quando anche l'anima dovesse mutare nel senso dell'insipienza, essa non muta.

Non succede per colui che essa rende sapiente la stessa cosa che per la bianchezza nel corpo che essa fa bianco.

Quando il corpo sarà stato mutato da un colore in un altro, non rimane quella bianchezza ma scompare totalmente.

Ora, se il Padre che ha generato la sapienza è sapiente ( Sir 1,4 ) per essa, se per lui essere, ed essere sapiente non è la stessa cosa, il Figlio è una sua qualità, non la sua prole e non vi sarà più qui una suprema semplicità.

Ma non sia mai che si pensi che sia così: là vi è l'essenza supremamente semplice e là dunque essere ed essere sapiente si identificano.

Ma se là essere ed essere sapiente sono la stessa cosa, non è la sapienza che egli ha generato che fa il Padre sapiente, altrimenti non lui avrebbe generato essa, ma essa lui.

Che altro infatti diciamo, quando diciamo: per lui essere è essere sapiente, se non: è sapiente per ciò per cui è?

Di conseguenza la causa che fa sì che sia sapiente è la stessa causa che fa sì che egli sia.

Pertanto se la sapienza che il Padre ha generato è la causa che fa sì che egli sia sapiente, essa è anche la causa che fa sì che egli sia.

E questo non è possibile se non in quanto lo genera e lo crea.

Ma nessuno chiamerà mai la sapienza né generatrice, né creatrice del Padre.

Che vi è infatti di più insensato? Dunque il Padre stesso è la sapienza e si chiama il Figlio sapienza del Padre come lo si chiama luce del Padre. ( Sir 1,3-4; 1 Cor 1,21.24.30; Gv 1,7-9 )

Cioè allo stesso modo che si chiama il Figlio "luce da luce", e l'uno e l'altro sono una sola luce, così si ha da intendere "sapienza da sapienza" e l'uno e l'altro sono una sola sapienza.

Perciò sono pure una sola essenza, perché qui essere è la stessa cosa che essere sapiente.

Infatti ciò che essere sapiente è in rapporto alla sapienza, e il potere alla potenza, l'essere eterno all'eternità, l'essere giusto alla giustizia, l'essere grande alla grandezza, l'essere stesso lo è all'essenza.

E poiché in quella semplicità essere sapiente non è cosa diversa dall'essere, ivi la sapienza è la stessa cosa che l'essenza.

2.3 - Identità del Padre e del Figlio negli attributi essenziali, non nelle proprietà personali

Dunque il Padre e il Figlio sono insieme una sola essenza, una sola grandezza, una sola verità, una sola sapienza.

Tuttavia il Padre e il Figlio non sono entrambi insieme un solo Verbo, perché non sono entrambi insieme un solo Figlio.

Infatti allo stesso modo che "Figlio" dice relazione al Padre e non ha un senso assoluto, così pure, quando si parla di Verbo, Verbo dice relazione a Colui di cui è Verbo.

Egli è Figlio per ciò per cui è Verbo, ed è Verbo per ciò per cui è Figlio.

Poiché dunque il Padre e il Figlio non sono evidentemente entrambi insieme un solo Figlio, ne consegue che il Padre e il Figlio non sono tutti e due insieme un solo Verbo.

E perciò non vi è Verbo per il fatto che c'è sapienza, perché "verbo" non è termine assoluto, ma soltanto relativo a colui di cui è verbo, come Figlio a Padre, mentre invece vi è sapienza per il fatto stesso per cui vi è essenza.

Perciò in quanto vi è un'essenza, vi è una sapienza.

Tuttavia, poiché anche il Verbo è sapienza, ma non Verbo, per la stessa ragione che è sapienza - Verbo infatti s'intende relativamente, sapienza essenzialmente - quando si dice Verbo lo dobbiamo prendere come equivalente a sapienza nata, ( Sir 1,4-9; Sir 24,5-14 ) nello stesso senso di Figlio ed Immagine. ( 2 Cor 4,4; Col 1,15 )

E nell'espressione sapienza nata, il termine nata lo indica come Verbo, come Immagine, come Figlio; tutti vocaboli non assoluti, ma relativi, mentre il termine "sapienza" che è anche assoluto, essendo sapienza per se stessa, indica pure l'essenza e l'identità tra l'essenza e la sapienza. ( Sir 1,4-9; Sir 24,5-14; Gv 1,1-14; 1 Ts 2,13; Ap 19,13 )

Presi dunque insieme il Padre e il Figlio sono una stessa sapienza, perché una stessa essenza, e presi singolarmente il Figlio è sapienza da sapienza, come essenza da essenza.

Non si deve dunque pensare che, perché il Padre non è il Figlio, e il Figlio non è il Padre, o perché l'uno non è generato e l'altro è generato, per questo essi non sono una stessa essenza: i nomi di Padre e di Figlio indicano le loro relazioni, ma ambedue sono insieme una sola sapienza, una sola essenza, perché in essi si identificano essere ed essere sapiente.

Tuttavia non sono entrambi insieme Verbo o Figlio perché non è la stessa cosa essere ed essere Verbo o Figlio, in quanto già abbiamo sufficientemente mostrato il senso relativo di questi termini.

3.4 - Nella Scrittura "Sapienza" designa il Verbo

Perché dunque nella Scrittura quasi in nessun luogo si parla della sapienza, se non per indicare che è generata o creata da Dio? ( Sir 1,4-9; Sir 24,5-14 )

Generata, quando si tratta della sapienza per mezzo della quale tutte le cose sono state fatte; ( Sir 24,5 ) creata o fatta, per esempio, negli uomini, quando si volgono verso la sapienza che non è stata creata né fatta, ma generata, e ne sono illuminati; in essi infatti diviene allora ciò che si chiama la loro sapienza; o ancora quando le Scritture preannunciano o raccontano che il Verbo si è fatto carne ed abitò fra noi. ( Gv 1,14 )

Infatti in questo modo Cristo è la sapienza fatta, ( 1 Cor 1,30 ) perché si è fatto uomo.

O forse nei Libri santi la sapienza non parla o non se ne tratta che per mostrarla come nata da Dio o fatta da Dio, sebbene anche il Padre sia la stessa sapienza, per raccomandarci ed invitarci ad imitare questa sapienza, ad imitazione della quale noi siamo formati? ( Sir 1,4-9; Sir 24,5-14 )

Il Padre infatti la dice, perché sia il suo Verbo, ma non alla maniera in cui si proferisce con la bocca il verbo sonoro o come questo è concepito prima di venir proferito, perché questo verbo per realizzarsi richiede periodi di tempo; quello invece è eterno e, illuminandoci, ci dice di sé e del Padre ciò che occorre dire agli uomini.

Perciò afferma: Nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo, ( Mt 11,27 ) perché è per mezzo del Figlio, cioè per mezzo del suo Verbo, che il Padre rivela.

Se infatti il verbo che noi proferiamo è temporale e transitorio, e tuttavia manifesta se stesso e ciò di cui parliamo, quanto più il Verbo di Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose? ( Sir 1,5; 1 Ts 2,13; Ap 19,13 )

E manifesta il Padre proprio come il Padre è, perché anche lui è come è il Padre e ciò che è il Padre, in quanto è sapienza ed anche essenza.

Infatti in quanto Verbo, non è ciò che è il Padre, perché il Verbo non è il Padre, e il Verbo è un termine relativo, come Figlio, ciò che il Padre evidentemente non è.

Cristo è la potenza e la sapienza di Dio, ( 1 Cor 1,24 ) proprio perché anche lui potenza e sapienza, ma dalla potenza e dalla sapienza che è il Padre, come è luce dalla luce che è il Padre, e fonte di vita ( Sal 36,10; Pr 13,14; Pr 14,27 ) presso Dio Padre, che certo è fonte di vita.

Poiché presso di te, dice la Scrittura, è la fonte della vita, nella tua luce vedremo la luce, ( Sal 36,10; Pr 13,14; Pr 14,27 ) perché come il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso; ( Gv 5,26 ) ed egli era la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. ( Gv 1,9 )

Ora questa luce era il Verbo presso Dio, ma anche il Verbo era Dio; ( Gv 1,1 ) ma Dio è luce e tenebra alcuna non è in lui; ( 1 Gv 1,5 ) luce non materiale, ma spirituale e non una luce spirituale ottenuta attraverso un'illuminazione come il Signore dice agli Apostoli: Voi siete la luce del mondo; ( Mt 5,14 ) ma la luce che illumina ogni uomo, ( Gv 1,9 ) la sapienza stessa che è Dio, la sapienza suprema, di cui ora trattiamo. ( Sir 1,3-4; 1 Cor 1,21-30 )

Dunque il Figlio è sapienza dalla sapienza che è il Padre, come è "luce da luce", "Dio da Dio", in modo tale che il Padre è luce preso singolarmente, ed anche il Figlio è luce preso singolarmente; il Padre è Dio individualmente, ed anche il Figlio è Dio individualmente, e di conseguenza il Padre è sapienza individualmente ed anche il Figlio è sapienza individualmente.

E come entrambi sono insieme una sola luce, ed un solo Dio, così sono entrambi una sola sapienza.

Ma il Figlio è diventato per noi sapienza da parte di Dio, e giustizia e santificazione, ( 1 Cor 1,30 ) perché è nel tempo, cioè a partire da un certo tempo, che noi ci convertiamo a lui, per restare con lui eternamente.

E d'altra parte anche lui ad un certo momento del tempo Verbo, si è fatto carne ed abitò fra noi. ( Gv 1,14 )

3.5 - Il Verbo, Sapienza di Dio, senza modello per sé, è modello per noi

Perciò, allorquando la Scrittura annuncia o narra qualcosa intorno alla sapienza, sia che la sapienza stessa parli, sia che si parli di essa, è il Figlio soprattutto che ci viene manifestato.

Ad imitazione di questa immagine non allontaniamoci nemmeno noi da Dio, perché anche noi siamo immagine di Dio, ( 1 Cor 11,7 ) ineguale certo, perché creata dal Padre per mezzo del Figlio, non nata dal Padre come quella sapienza; anche noi siamo immagine, perché illuminati dalla luce, mentre quella, perché è luce che illumina e perciò, senza modello per sé, è modello per noi.

Essa infatti non è modellata su qualcuno che la precede guidandola al Padre, dal quale non è mai assolutamente separabile, perché è identica nell'essere a Colui dal quale ha origine.

Noi, al contrario, con sforzo imitiamo un modello che non muta, seguiamo una guida che non si muove e camminando in lui tendiamo a lui, perché è divenuto per noi, nella sua umiltà, una via attraverso il tempo, lui che nella sua divinità è per noi una dimora eterna. ( Fil 2,6-7 )

Agli spiriti immateriali rimasti puri e che la superbia non ha fatto cadere, egli offre un modello nella sua natura divina, in quanto uguale a Dio, ( Fil 2,6 ) e come Dio, ma per offrirsi anche come modello del ritorno all'uomo caduto, incapace di vedere Dio per l'immondizia dei peccati e la condanna alla mortalità si è esinanito, ( Fil 2,7 ) non mutando la sua divinità, ma assumendo la nostra mutabilità e prendendo la natura di servo, venne in questo mondo, ( Fil 2,7 ) verso di noi, lui che era in questo mondo, perché il mondo è stato fatto per mezzo di lui, ( Gv 1,10 ) per essere d'esempio a quelli che lassù contemplano in lui Dio, esempio a quelli che quaggiù ammirano in lui l'uomo, esempio di perseveranza per i sani, esempio di guarigione per gli infermi, esempio di coraggio per i morituri, esempio di risurrezione per i morti, avendo il primato in tutte le cose. ( Col 1,18 )

Poiché per raggiungere la beatitudine l'uomo doveva seguire solo Dio, ma non era in suo potere vedere Dio, mettendosi al seguito di Dio fatto uomo, l'uomo avrebbe seguito nello stesso tempo uno che aveva la capacità di vedere ed uno che aveva il dovere di seguire.

Amiamolo dunque ed uniamoci a lui con la carità che è stata diffusa nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo, che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )

Niente di strano dunque se per l'esempio che, per riformarci ad immagine di Dio, ci offre l'immagine uguale al Padre, ( 2 Cor 4,4; Col 1,15 ) la Scrittura, quando parla della Sapienza, parla del Figlio, che noi seguiamo vivendo con sapienza, sebbene anche il Padre sia sapienza, come è luce e Dio.

3.6 - Lo Spirito Santo è col Padre ed il Figlio una sola Sapienza

Non conta che consideriamo lo Spirito Santo come la carità somma che congiunge tra loro il Padre e il Figlio e soggioga noi - non è una considerazione indegna di lui perché è scritto che Dio è carità ( 1 Gv 4,8.16 ) -, dunque non è sapienza anche lo Spirito Santo, essendo egli la luce, se Dio è Luce? ( 1 Gv 1,5 )

Oppure che indichiamo l'essenza dello Spirito Santo in senso personale e proprio in altro modo.

Questo è certo: essendo egli Dio, è la Luce, essendo la Luce è la Sapienza.

Ora che lo Spirito Santo sia Dio la Scrittura lo proclama per bocca dell'Apostolo: Non sapete che siete tempio di Dio? e subito aggiunge: E lo Spirito di Dio abita in voi. ( 1 Cor 3,16 )

Dio infatti abita nel suo tempio. ( Sal 10,5; Ab 2,20 )

Infatti lo Spirito di Dio non abita nel tempio di Dio come ministro, perché in un altro passo l'Apostolo dice più chiaramente: Non sapete che i vostri corpi sono tempio dello Spirito Santo, che è in voi e che avete ricevuto da Dio, e che voi non appartenete a voi stessi?

Infatti voi siete stati comprati a gran prezzo.

Glorificate dunque Dio nel vostro corpo. ( 1 Cor 6,19-20 )

Ma che cos'è la sapienza se non una luce spirituale ed immutabile?

Certo anche il nostro sole è una luce, ma corporea; anche la creatura spirituale è luce, ma non immutabile.

Dunque il Padre è luce, il Figlio è luce, lo Spirito Santo è luce; ma tutti e tre insieme non costituiscono tre luci, ma una sola Luce.

Di conseguenza il Padre è sapienza, il Figlio è sapienza e lo Spirito Santo è sapienza, ed insieme non fanno tre sapienze, ma una sola Sapienza.

E poiché qui essere è la stessa cosa che essere sapiente, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono una sola essenza.

Né qui essere è altra cosa che essere Dio: perciò il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo Dio.2

4.7 - Un'essenza, tre Persone

Per parlare dell'ineffabile, affinché potessimo esprimere in qualche modo ciò che in nessun modo si può spiegare, i nostri Greci hanno usato questa espressione: una essenza, tre sostanze; i Latini invece: una essenza o sostanza, tre Persone,3 perché, come abbiamo già detto, nella nostra lingua, cioè in latino, "essenza" e "sostanza" sono correntemente considerate sinonimi.

E purché si intenda almeno in enigma ( 1 Cor 13,12 ) ciò che si dice, ci si è accontentati di queste espressioni per rispondere qualcosa quando si chiede che cosa sono i Tre; questi Tre di cui la fede ortodossa afferma l'esistenza, quando dichiara che il Padre non è il Figlio e lo Spirito Santo, che è il dono di Dio, ( At 8,20; Gv 4,10 ) non è né il Padre né il Figlio.

Quando si chiede dunque che cosa sono queste tre cose o questi Tre, ci affanniamo a trovare un nome specifico o generico che abbracci queste tre cose, ma non si presenta allo spirito, perché l'eccellenza sopraeminente della divinità trascende la capacità del linguaggio abituale.4

Quando si tratta di Dio il pensiero è più vero della parola e la realtà più vera del pensiero.

Infatti, quando diciamo che Giacobbe non è Abramo, ed Isacco non è né Abramo né Giacobbe, riconosciamo che sono tre: Abramo, Isacco e Giacobbe.

Ma quando si chiede che cosa siano questi tre rispondiamo tre uomini, e diamo loro un nome specifico al plurale, mentre è un nome generico se diciamo tre animali.

L'uomo infatti è, secondo la definizione degli antichi, un animale ragionevole, mortale.5

Lo stesso quando con il linguaggio abituale delle nostre Scritture diciamo: tre anime, se si preferisce esprimere il tutto per mezzo della parte migliore, cioè, per mezzo dell'anima, sia il corpo sia l'anima, che sono l'uomo intero.

È in questo senso che la Scrittura dice che scesero in Egitto con Giacobbe settantacinque anime, cioè settantacinque uomini. ( At 7,14-15; Gen 46,27; Es 1,5; Dt 10,22 )

Così quando diciamo: "Il tuo cavallo non è lo stesso che il mio", e "un terzo cavallo, che appartiene a qualche altro, non è né il mio né il tuo", riconosciamo che sono tre e, se ci si domanda che cosa sono questi tre rispondiamo con un termine specifico: "tre cavalli"; con un termine generico: "tre animali".

Così pure quando diciamo che un bue non è un cavallo, che un cane non è né un bue né un cavallo, parliamo di tre esseri.

Ed a coloro che ci chiedono che cosa sono questi tre esseri, non rispondiamo con il nome specifico: tre cavalli, o tre buoi, o tre cani, perché questi tre esseri non sono della stessa specie, ma con un nome generico: tre animali, o con un termine generico più ampio: tre sostanze, tre creature, tre nature.

Ora tutto ciò che si può designare con un termine specifico al plurale, si può pure esprimere con un solo termine generico ma non possiamo esprimere con un solo termine specifico tutto ciò che si può designare con un solo termine generico.

Per esempio tre cavalli - che è un termine specifico - li chiamiamo anche tre animali, ma il cavallo, il bue e il cane li chiamiamo soltanto tre animali o tre sostanze - che sono termini generici - o con qualche altro nome generico che si può loro attribuire, ma non possiamo chiamarli tre cavalli, o tre buoi, o tre cani, che sono tutti termini specifici.

Ossia chiamiamo con un solo nome, sebbene sia al plurale, le realtà che hanno in comune ciò che questo nome significa.

Così Abramo, Isacco, Giacobbe hanno in comune l'umanità, perciò sono chiamati tre uomini; il cavallo, il bue e il cane hanno in comune l'animalità, perciò sono chiamati tre animali.

Allo stesso modo tre lauri li chiamiamo anche tre alberi, ma un lauro, un mirto e un olivo li chiamiamo soltanto tre alberi, o tre sostanze o tre nature.

Ancora, tre pietre le chiamiamo anche tre corpi; ma la pietra, il legno e il ferro li chiamiamo soltanto tre corpi o con qualche altro appellativo più ampio che si potrà loro attribuire.

Ora il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, dato che sono tre, ( 1 Gv 5,7 ) investighiamo che cosa siano, che cosa abbiano in comune.

Infatti ciò che è loro comune non è ciò che costituisce il Padre, in maniera che reciprocamente siano padri, come alcuni amici - appellativo di relazione reciproca - possono essere chiamati tre amici, perché sono amici vicendevolmente.

Questo non può verificarsi qui, perché soltanto il Padre è padre, né è padre di due, ma di un Figlio unico.

Né vi sono tre figli, perché qui il Padre non è il Figlio, né lo Spirito Santo.

Né vi sono tre spiriti santi, perché né il Padre, né il Figlio sono Spirito Santo nel senso proprio in cui lo si chiama dono di Dio. ( At 8,20; Gv 4,10 )

Che cosa sono dunque questi Tre? Se sono tre Persone,6 essi hanno in comune ciò che caratterizza la persona; dunque hanno un nome specifico o generico, se ci atteniamo al linguaggio abituale.

Ma dove non c'è alcuna differenza di natura, diverse realtà possono essere espresse con un nome generico, in maniera che possono essere espresse anche con nome specifico.

È una differenza di natura che impedisce di chiamare il lauro, il mirto, l'olivo, il cavallo, il bue, il cane con nome specifico: tre lauri nel primo caso, tre buoi nel secondo, ma con nome generico tre alberi i primi, tre animali i secondi.

Ma qui, dove non c'è alcuna differenza di essenza, occorre anche che queste tre realtà abbiano un nome specifico, nome che tuttavia non si trova.

Perché persona è un nome generico, tanto che lo si può applicare anche all'uomo, sebbene sia così grande la distanza tra l'uomo e Dio.

4.8 - La Scrittura non parla di tre persone in Dio

Inoltre insistendo nell'usare un nome generico, se noi parliamo di tre Persone in quanto i Tre hanno in comune ciò che caratterizza la persona ( altrimenti non potrebbero in nessun modo essere chiamati così, come non sono chiamati tre figli, perché essi non hanno in comune ciò che caratterizza il Figlio ) perché non possiamo chiamarli anche tre dèi?

Senza dubbio infatti, poiché il Padre è una persona, il Figlio è una persona, lo Spirito Santo è una persona, vi sono tre persone: ma allora, poiché il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio, perché non vi sono tre dèi?

E se in virtù di una unione ineffabile queste tre realtà insieme sono un Dio solo, perché non sono una sola persona, cosicché non possiamo chiamarli tre persone, sebbene chiamiamo Persona ciascuna delle tre persone, come non possiamo parlare di tre dèi, sebbene noi chiamiamo Dio ciascuno di essi: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo?

Forse perché la Scrittura non parla di tre dèi? Ma non troviamo nemmeno che la Scrittura parli di tre persone.

O forse perché la Scrittura non parla né di tre né di una persona a proposito di queste tre realtà ( vi leggiamo infatti della persona del Signore, ma non della persona che è il Signore ), perciò siamo autorizzati per le necessità del linguaggio e della disputa a parlare di tre persone, non perché la Scrittura lo dica, ma perché non lo contraddice; mentre se parlassimo di tre dèi, sarebbe contrario alla Scrittura, che afferma: Ascolta, Israele: Il Signore Dio tuo è un unico Dio?7

Ma allora perché non è lecito parlare anche di tre essenze, perché allo stesso modo la Scrittura, se non lo dice, nemmeno lo contraddice?

Infatti, se essenza è un termine specifico comune ai Tre, perché non dire tre essenze, come Abramo, Isacco e Giacobbe sono detti tre uomini, perché uomo è un termine specifico, comune a tutti gli uomini?

Se invece essenza è un termine non specifico, ma generico, perché l'uomo, le bestie, l'albero, l'astro, l'angelo sono delle essenze, perché non chiamarli tre essenze, come tre cavalli sono chiamati tre animali, tre lauri sono chiamati tre alberi, tre pietre, tre corpi?

O, se non sono dette tre essenze, ma una sola essenza8 per l'unità della Trinità, perché, per questa stessa unità della Trinità, non si dicono una sostanza ed una persona invece che tre sostanze o tre persone?

Il termine essenza è loro comune, in modo che ciascuno di essi si chiami essenza, nella stessa misura in cui è loro comune il termine "sostanza" o "persona".

Infatti ciò che abbiamo detto delle persone, secondo il nostro modo abituale di parlare, occorre intenderlo delle sostanze secondo quello dei Greci, in quanto essi dicono: "tre sostanze, una essenza", come noi diciamo: "tre persone, una essenza o sostanza".

4.9 - Questi termini hanno origine dalla esigenza del linguaggio

Che ci resta dunque? Ci resta forse da riconoscere che queste espressioni sono state originate dall'indigenza del linguaggio, quando erano necessarie delle lunghe dispute contro le insidie e gli errori degli eretici?9

Infatti, quando la povertà umana tentava di esprimere con parole adatte ai sensi degli uomini, ciò che nel segreto dello spirito sa, secondo la sua capacità, del Signore Dio suo Creatore, sia per la fede religiosa sia per qualsiasi altra conoscenza, essa ha temuto di parlare di tre essenze, perché non si sospettasse una qualche diversità in quella suprema uguaglianza.

D'altra parte non poteva negare l'esistenza di tre realtà perché, per averla negata, Sabellio cadde nell'eresia.10

E dalla Scrittura risulta, con assoluta certezza, ciò che si deve credere con fedeltà, e l'occhio dello spirito percepisce con piena chiarezza: che esiste il Padre, esiste il Figlio, esiste lo Spirito Santo, ma che il Figlio non è lo stesso che il Padre, e lo Spirito Santo non è lo stesso che il Padre o il Figlio.

La povertà umana si è chiesta come designare queste tre realtà e le ha chiamate sostanze o Persone, con i quali termini volle escludere tanto la diversità di essenza quanto l'unicità delle Persone, in modo da suggerire non solo l'idea di unità con l'espressione "una essenza", ma anche l'idea di Trinità con l'espressione "tre sostanze o Persone".

Infatti se in Dio essere è la stessa cosa che sussistere, non bisogna parlare di tre sostanze, come non si parla di tre essenze, come - dato che in Dio essere è la stessa cosa che essere sapiente - non si parla di tre sapienze allo stesso modo che non si parla di tre essenze.

Così dunque, poiché in Dio essere Dio è la stessa cosa che essere, non è permesso dire tre essenze, come non è permesso dire tre dèi.

Se, al contrario, in Dio essere e sussistere si oppongono tra loro, come essere Dio ed essere Padre ed essere Padrone - essere si dice in senso assoluto, essere Padre in senso relativo al Figlio, essere Padrone in senso relativo alla creatura, che è suddita - allora Dio sussiste sotto forma di relazione, come sotto forma di relazione genera e come sotto forma di relazione domina.

Allora la sostanza non sarà più sostanza, perché sarà una relazione.

Come infatti la parola "essenza" deriva da "essere", così da "sussistere" deriva la parola "sostanza".

Ma è un'assurdità dare alla parola "sostanza" un senso relativo, perché ogni cosa sussiste in rapporto a se stessa; con quanta maggior ragione Dio?

5.10 - Sostanza ed essenza in Dio

Ma sostanza è una parola degna di Dio?

Esattamente si usa il nome "sostanza" per indicare il soggetto di cui hanno bisogno certe cose per esistere; per esempio il colore o la forma di un corpo.

Il corpo sussiste e perciò è sostanza, le altre cose invece esistono nel corpo sussistente e sottostante, non sono sostanze, ma nella sostanza.

Dunque se quel colore o quella forma cessano d'esistere non privano il corpo del suo essere corpo, perché per il corpo essere non è la stessa cosa che conservare questa o quella forma.

Sono dunque le cose mutevoli e composte che si chiamano propriamente sostanze.

Ma, se Dio sussiste in modo da poter essere detto propriamente sostanza, qualcosa esiste in lui come in soggetto, e non è l'essere semplice per il quale essere è identico a qualsiasi altro attributo che si applica a lui in senso assoluto, come grande, onnipotente, buono ed ogni altro attributo degno di lui.

Ora è proibito affermare che Dio sussista e sia soggetto della sua bontà; è proibito affermare che questa bontà non sia sostanza, o piuttosto essenza, e che Dio non sia la sua bontà, ma che al contrario la bontà esista in lui come in un soggetto.

Perciò è chiaro che Dio si chiama sostanza in senso improprio, per far intendere con un nome più corrente che è essenza, termine giusto e proprio, al punto che forse solo Dio si deve chiamare essenza.

Infatti lui solo "è" veramente, perché è immutabile, e con questo nome ha designato se stesso al suo servitore Mosè, quando gli disse: lo sono colui che sono, e: Dirai a loro: Colui che è mi ha mandato a voi. ( Es 3,14 )

Tuttavia lo si chiami essenza,11 termine proprio, o sostanza,12 termine improprio, ambedue questi termini sono assoluti, non relativi.13

Perciò per Dio essere è la stessa cosa che sussistere, e dunque se la Trinità è una sola essenza, essa è anche una sola sostanza.

Allora è forse più esatto parlare di tre Persone che di tre sostanze.14

6.11 - Perché non si dice che nella Trinità c'è una sola persona e tre essenze

Ma perché non sembri che io usi parzialità in favore dei nostri, spingiamo più a fondo la nostra ricerca su questo punto.

I Greci, è vero, se volessero, potrebbero chiamare i Tre prosopa: tre persone, come chiamano le tre ipostasi: tre sostanze.

Ma hanno preferito questa espressione, che forse è più conforme alla natura della loro lingua.

D'altra parte per le "persone" le cose stanno allo stesso modo che per la "sostanza", perché per Dio essere ed essere persona non sono cose diverse, ma assolutamente la stessa cosa.

Se essere è un termine assoluto, persona invece relativo, chiameremo allora il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo tre Persone, allo stesso modo che chiamiamo certi uomini tre amici, o tre parenti, o tre vicini per le loro mutue relazioni, non per quello che ognuno è in senso assoluto.

Dunque ognuno di loro è amico degli altri due, o parente o vicino, perché queste parole esprimono una relazione.

Che dire dunque? Ci si concederà di affermare che il Padre è la persona del Figlio e dello Spirito Santo, ovvero che lo Spirito Santo è la persona del Padre e del Figlio?

Il termine "persona" non si usa mai in questo senso, e quando nella Trinità nominiamo la persona del Padre, non intendiamo significare altra cosa che la sostanza del Padre.

Di conseguenza, come la sostanza del Padre è il Padre stesso, non ciò per cui è Padre, ma ciò per cui è; così la persona del Padre non è una cosa diversa dal Padre stesso, perché si dice persona in senso assoluto, non in senso relativo al Figlio o allo Spirito Santo, come Dio è detto in senso assoluto grande, buono, giusto ed ogni altro attributo di questo genere.

E come per lui è la stessa cosa essere ed essere Dio, essere grande, essere buono, così per lui è la stessa cosa essere ed essere persona.

Perché dunque non chiamiamo questi Tre insieme una sola Persona, come li chiamiamo una sola essenza e un solo Dio, ma li chiamiamo tre Persone, mentre non parliamo di tre dèi o di tre essenze, se non perché vogliamo avere una parola che esprima in che senso si debba concepire la Trinità e non restare senza dire proprio nulla quando ci viene domandato che cosa sono questi Tre, dato che noi stessi abbiamo ammesso che sono tre?

Perché se, come alcuni ritengono, l'essenza è il genere, la sostanza ( o la persona ), la specie - lasciando da parte ciò che ho detto prima - si parlerà inevitabilmente di tre essenze, come si parla di tre sostanze o tre persone, allo stesso modo che tre cavalli sono anche chiamati tre animali, perché "cavallo" è la specie, "animale" il genere.

Infatti in questo caso la specie non è al plurale ed il genere al singolare, come se si dicesse: "tre cavalli sono un animale", ma come diciamo: "tre cavalli" con nome specifico, così diciamo: "tre animali" con nome generico.

Se affermiamo invece che il termine "sostanza" o "persona" non designa la specie, ma un qualcosa di singolare ed individuale, cosicché il termine "sostanza" o "persona" non abbia un senso equivalente a quello del termine "uomo" preso come termine comune a tutti gli uomini, ma nel senso di questa parola applicata a "questo uomo", per esempio Isacco, Abramo, Giacobbe o a ciascun individuo la cui presenza si possa indicare con il dito, anche in questo caso avrebbe valore contro di essi lo stesso ragionamento.

Infatti Abramo, Isacco e Giacobbe sono tre individui e sono anche tre uomini e tre anime.

Perché allora anche il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, se applichiamo loro le categorie di genere, specie ed individuo, non sono detti tre essenze, come sono detti tre sostanze o persone?

Ma, come ho detto, lascio da parte questo; affermo invece: se l'essenza è un genere, un'essenza che sia unica non ha specie, come, ad esempio, poiché animale è un genere, se c'è un solo animale è senza specie.

Allora il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono le tre specie di un'essenza unica.

Se invece l'essenza è una specie, nello stesso modo in cui l'uomo è una specie, allora i Tre che chiamiamo sostanze o persone hanno in comune la stessa specie, come Abramo, Isacco e Giacobbe hanno in comune la specie umana.

La specie umana si suddivide in Abramo, Isacco, Giacobbe, ma un uomo non si può suddividere allo stesso modo in vari individui umani; questo è assolutamente impossibile, perché un uomo è già un individuo umano.

Perché dunque l'unica essenza ( divina ) si suddivide in tre sostanze o persone?

Se infatti l'essenza è una specie, come "uomo", vale per una essenza unica ciò che vale per un uomo singolo.

Quando abbiamo tre uomini dello stesso sesso, della stessa costituzione, dello stesso temperamento, dello stesso carattere, diciamo che sono di una stessa natura, perché vi sono tre uomini, ma una sola natura; è dunque nello stesso senso che parliamo qui di tre sostanze e una sola essenza, o di tre persone e una sola sostanza o essenza?

Senza dubbio si tratta di una cosa del tutto simile, perché gli antichi che parlavano in latino, prima di conoscere i termini di "sostanza" o "essenza", che sono venuti in uso di recente, usavano al loro posto quello di "natura".

Dunque noi usiamo questi termini non nel senso del genere o della specie, ma per indicare, per così dire, una materia comune ed identica.

Così, se venissero formate dallo stesso lingotto d'oro tre statue, diremmo tre statue un solo lingotto d'oro, ma non diremmo che l'oro è il genere, le statue la specie, né che l'oro è la specie, le statue gli individui.

Non esiste alcuna specie che vada oltre i suoi individui ed abbracci un elemento estraneo.

Infatti, quando avrò definito l'uomo, che è un termine specifico, tutti i singoli uomini che sono individui sono contenuti nella stessa definizione, e non entra in essa alcun elemento specifico che non s'incontri nell'uomo.

Invece se definisco l'oro, apparterranno all'oro non solo le statue, supponendo che siano d'oro, ma anche gli anelli e tutto ciò che è formato da questo metallo.

Anche se non si costruisce nulla con esso, rimane oro, perché le statue si possono fare anche senza l'oro.

Allo stesso modo nessuna specie va oltre i limiti della definizione del suo genere.

Infatti quando definisco l'animale, poiché il cavallo è una specie di questo genere, ogni cavallo è animale, ma non ogni statua è d'oro.

Perciò, sebbene a proposito di tre statue d'oro, sia esatto parlare di tre statue e di un solo lingotto d'oro, non diciamo questo per fare intendere che l'oro è il genere, le statue la specie.

Non è dunque in questo senso che noi chiamiamo la Trinità tre Persone o sostanze, una essenza ed un solo Dio, come se vi fossero tre realtà che sussistono formate dalla stessa materia, sebbene questa materia - qualunque cosa essa sia - sia suddivisa tra questi Tre.

Infatti non c'è qualche altra cosa che appartenga alla essenza divina in aggiunta alla Trinità.

Tuttavia diciamo: le tre Persone sono della stessa essenza, o le tre Persone sono una sola essenza, ma non diciamo: le tre Persone sono state formate dalla stessa essenza - come se qui una cosa fosse l'essenza, altra cosa la persona - come possiamo parlare di tre statue formate dallo stesso oro, perché in questo caso una cosa è essere oro, altra cosa essere statue.

E quando diciamo: tre uomini sono una sola natura, o: tre uomini sono di una stessa natura, possiamo anche dire: tre uomini provengono da una stessa natura, perché anche altri tre uomini possono aver origine dalla stessa natura.

Nell'essenza della Trinità, invece, è assolutamente impossibile che qualsiasi altra persona possa aver origine da questa stessa essenza.

Inoltre nelle cose di questo mondo, un uomo solo non è tanto, quanto tre uomini insieme, e due uomini sono più che un uomo solo; e se sono della stessa dimensione c'è più oro in tre statue insieme che in una sola e c'è meno oro in una che in due.

Ma in Dio le cose non stanno così; il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo insieme non costituiscono un'essenza più grande che il Padre solo o il Figlio solo, ma insieme queste tre sostanze o Persone ( se si deve chiamarle così ), sono uguali a ciascuna di esse.

È ciò che l'uomo carnale non comprende, ( 1 Cor 2,14 ) perché i fantasmi che volteggiano nella sua anima rappresentandogli i corpi, gli permettono di concepire soltanto masse ed estensioni, piccole o grandi.

6.12 - Ciò che deve credere chi non comprende; l'uomo ad immagine e immagine di Dio

Fino a che non sia purificato da questa impurità l'uomo carnale creda nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, in un solo Dio, unico, grande, onnipotente, buono, giusto, misericordioso, creatore di tutte le cose visibili ed invisibili15 e tutto ciò che secondo le capacità umane si può affermare essere degno di lui e vero.

Quando sente dire che il Padre è il solo Dio, non ne separi il Figlio o lo Spirito Santo,16 perché il Padre è un solo Dio soltanto in unione con Colui con il quale è Dio unico, perché anche quando sentiamo dire che il Figlio è il solo Dio, bisogna intenderlo senza esclusione del Padre e dello Spirito Santo.

Se parla di un'unica essenza lo faccia senza pensare ad una superiorità di grandezza o di valore dell'uno o ad una qualsiasi sua diversità nei riguardi dell'altro.

Ma tuttavia non pensi che il Padre è il Figlio e lo Spirito Santo e che ogni persona abbia qualsiasi attributo che esprima la relazione delle singole Persone.

Per esempio "Verbo" designa solo il Figlio, "Dono" lo Spirito Santo. ( At 8,20; Gv 1,1-14; Gv 4,10; 1 Ts 2,13; Ap 19,13 )

Per questo d'altra parte le persone ammettono il numero plurale come nel passo del Vangelo in cui è scritto: Io e il Padre siamo una sola cosa. ( Gv 10,30 )

Da una parte il Signore dice: una sola cosa, dall'altra siamo; una sola cosa, secondo l'essenza, perché sono un unico Dio; siamo secondo la relazione perché il primo è Padre, l'altro Figlio.

A volte è passata sotto silenzio l'unità dell'essenza e sono menzionate solo le relazioni al plurale: Io e il Padre verremo a lui e dimoreremo presso di lui. ( Gv 14,23 )

Verremo e dimoreremo sono al plurale perché prima aveva detto: Io e il Padre, cioè il Figlio e il Padre, termini indicanti mutua relazione.

A volte le relazioni sono designate in maniera del tutto velata, come nel Genesi: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza. ( Gen 1,26 )

Facciamo e nostra è un plurale che si deve intendere soltanto nel senso delle relazioni.

Non ha da intendersi infatti nel senso che a fare l'uomo sarebbero stati degli dèi o che lo avrebbero fatto ad immagine e somiglianza degli dèi, ma nel senso che erano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che lo facevano, ad immagine dunque del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, affinché l'uomo esistesse come immagine di Dio.

Ora Dio è Trinità.17 Ma poiché questa immagine di Dio ( 1 Cor 11,7 ) non era del tutto uguale al suo modello, perché non è nata da Dio ma è stata creata da Lui, per significare questo è un'immagine che è "ad immagine di…", ossia è un'immagine che non raggiunge il modello per l'uguaglianza, ma gli si accosta per una certa rassomiglianza. ( Gen 1,26 )

Infatti non ci si avvicina a Dio superando delle distanze spaziali, ma con la rassomiglianza ed è con la dissomiglianza che ci si allontana da lui.

Vi sono alcuni che fanno questa distinzione: l'Immagine è il Figlio, mentre l'uomo non è immagine, ma ad immagine.18

Ma li confuta l'Apostolo che dice: L'uomo invece non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio. ( 1 Cor 11,7 )

Non ha detto: ad immagine, ma: l'immagine; questa immagine tuttavia, poiché altrove è detta ad immagine, non si riferisce al Figlio che è immagine perfetta del Padre; ( 2 Cor 4,4; Col 1,15 ) diversamente Dio non direbbe: a nostra immagine. ( Gen 1,26 )

In che senso nostra infatti, dato che il Figlio è immagine soltanto del Padre?

È a motivo, come abbiamo detto, di una rassomiglianza imperfetta, che l'uomo è detto a immagine e si aggiunge nostra perché l'uomo fosse immagine della Trinità; non uguale alla Trinità, come il Figlio al Padre, ma accostandosene per una certa rassomiglianza, come abbiamo detto, nel modo in cui degli esseri lontani sono vicini non per contatto spaziale, ma per imitazione.

È questo che intendono significare le parole seguenti: Trasformatevi rinnovando il vostro spirito, ( Rm 12,2 ) ed ai suoi destinatari l'Apostolo dice anche: Siate dunque imitatori di Dio, come figli dilettissimi. ( Ef 5,1 )

È all'uomo nuovo infatti che è detto: Si va rinnovando in proporzione della conoscenza di Dio, conformandosi all'immagine di colui che l'ha creato. ( Col 3,10 )

Ora, se per le esigenze della controversia si preferisce, pur lasciando da parte i nomi relativi, accettare il plurale, per poter rispondere con una sola parola alla domanda: "che cosa sono i Tre?", e dire "tre sostanze o tre Persone", si badi a tener lontana ogni idea di massa o di estensione, ogni carattere, per quanto piccolo, di dissomiglianza che ci faccia pensare che vi sia qui una cosa inferiore ad un'altra, qualunque sia la maniera in cui uno può essere inferiore ad un altro, cosicché venga esclusa la confusione delle persone e una distinzione che implichi ineguaglianza.

Se l'intelligenza è incapace di comprenderlo, lo si tenga per fede, fino a quando brilli nei nostri cuori Colui che ha detto per bocca del Profeta: Se non crederete, non comprenderete. ( Is 7,9 )

Indice

1 Aristotele, Categ. 7, 6a, 36 - 8b, 24;
Pseudo-Agostino, Categ. X ex Arist. 11
2 Eusebio da Vercelli, Trin. 1, 1
3 Porfirio, Phil. Hist. 4 (vit. Platonis), in: Didimo Alessandrino, Trin. 2, 26: PG 39, 759;
e in: Cirillo Alessadrino, Iul. 1, 8;
Basilio, Epp. 38; 236;
Tertulliano, Apol. 21; Adv. Prax. 2; 26;
Girolamo, Ep. 15, 3-5
4 Eusebio da Vercelli, Trin. 1, 52
5 Quintiliano, Instit. 7, 3, 15;
Cicerone, Acad. 2, 7, 21;
Plutarco, Eth. 450d;
Agostino, De ord. 2, 11, 31: NBA, III/1
6 treiV upostaseiV. Cf. nota 49
7 Dt 6,4;
Valeriano Calagoritano, Fid. Inc
8 mia oujsia, cf. Agostino, De civ. Dei 12,2,15: NBA, V/2
9 Rufino, Hist. eccles. 1, 29
10 Thomus Damasi, Anath. 2
11 Agostino, De civ. Dei 12,2
12 Tertulliano, Apol. 21; Adv. Prax. 2; 26
13 Aristotele, Categ. 7, 6a, 36 - 8b, 24;
Pseudo-Agostino, Categ. X ex Arist. 11
14 Porfirio, Fil. hist. 4 (vit. Plat.), in Didimo Alessandrino, Trin. 2, 26: PG 39, 759;
e in Cirillo Alessandrino, Iul. 1, 8;
Basilio, Epp. 38; 236;
Tertulliano, Apol. 21; Adv. Prax. 2; 26;
Girolamo, Ep. 15, 3-5
15 Agostino, De fide et symbolo 4, 5: NBA, VI/1;
De mor. Eccl. cath. 2, 7, 9: NBA, XIII/1;
Pelagio, Libell. fid. ad Inn.;
Tertulliano, Symb. 3;
Pseudo-Ambrogio, Exhort. ad neoph
16 Tomus Damasi, Anath. 25
17 Basilio, Hexaem. 4, 6;
Ilario, De Trin. 5, 8
18 Agostino, De div. qq. 83 51, 4: NBA, VI/2;
Ambrogio, In Ps. 118, 10, 6