Summa Teologica - I |
I-II, q. 93, a. 1, ad 2; In 1 Sent., d. 27, q. 2, a. 2, sol. 1; De Pot., q. 9, a. 9, ad 7; De Verit., q. 4, a. 2; a. 4, ad 4
Pare che Verbo in Dio non sia un nome personale.
1. I nomi personali, come Padre e Figlio, vengono attribuiti a Dio presi nel loro senso proprio.
Invece, come dice Origene [ In Ioh. 1 ], il verbo è attribuito a Dio solo in senso metaforico.
Quindi in Dio non è un nome personale.
2. Secondo S. Agostino [ De Trin. 9,10.15 ], « il Verbo è conoscenza con amore ».
E secondo S. Anselmo [ Monol. 63 ], « per lo Spirito sommo il dire non è che un intuire pensando ».
Ma conoscenza, pensamento e intuito vengono attribuiti a Dio come termini essenziali.
Quindi il verbo non è attribuito a Dio come termine personale.
3. È proprio del verbo essere detto.
Eppure, come insegna S. Anselmo [ Monol. 62 ], allo stesso modo in cui intende il Padre, intende il Figlio e intende lo Spirito Santo; e così dice il Padre, dice il Figlio e dice lo Spirito Santo.
E parimenti ciascuno di essi è detto.
Quindi il nome di verbo si dice dell'essenza divina e non di una persona.
4. Nessuna delle persone divine è fatta.
Ma il verbo divino è qualcosa di fatto, poiché nei Salmi [ Sal 148,8 ] sta scritto: « Fuoco, grandine, neve, nebbia, vento di bufera, che fanno il suo verbo ».
Quindi verbo non è il nome di una persona divina.
Insegna S. Agostino [ De Trin. 7,2.3 ]: « Come il Figlio dice relazione al Padre, così anche il Verbo a colui di cui è il Verbo ».
Ma Figlio è un nome personale, perché relativo.
Quindi anche Verbo.
Se il termine Verbo è preso in senso proprio, in Dio è un nome personale, e in nessun modo essenziale.
Per capire questo si deve notare che noi prendiamo il termine verbo in tre sensi propri, mentre un quarto senso è improprio o metaforico.
Più comunemente, e in modo più ovvio, chiamiamo verbo [ cioè parola ] ciò che viene espresso con suoni vocali.
Ma esso proviene dal nostro interno quanto ai due elementi che si riscontrano nel verbo esterno, cioè la voce stessa e il suo significato. Infatti, secondo il Filosofo [ Periherm. 1,1 ], la voce significa il concetto della mente; ed essa ancora nasce dall'immaginazione [ cf. De anima 2,8 ].
Invece i suoni vocali che non significano nulla non possono essere detti parola [ verbo ].
Quindi la voce esteriore è detta verbo [ o parola ] perché esprime il concetto interiore della mente.
Di qui si ha che in primo luogo e principalmente si dice verbo il concetto interno della mente, secondariamente la voce che lo esprime e in terzo luogo il fantasma [ o immagine sensibile interiore ] della voce [ che servirà ad esprimerlo ].
E queste tre accezioni del verbo sono indicate dal Damasceno [ De fide orth. 1,13 ] quando egli afferma che « si chiama verbo quel moto naturale della mente per cui essa è in atto, pensa e intende, e che ne è come la luce e lo splendore »: prima accezione.
« Ancora, il verbo è ciò che » non si proferisce con la bocca, ma « si pronuncia nel cuore »: terza accezione.
« Finalmente il verbo è ancora l'angelo », cioè il nunzio, « dell'intelligenza »: seconda accezione.
- In senso traslato poi, o metaforico, si dice verbo [ o parola ], quarta accezione, la stessa cosa significata o fatta mediante la parola: come quando per indicare semplicemente un fatto o per accennare a un comando siamo soliti dire: questo è il verbo che ti ho detto, o [ il verbo ] che fu comandato dal re.
Ora, in Dio il verbo in senso proprio indica il concetto dell'intelletto.
Quindi S. Agostino [ De Trin. 15,10.17 ] afferma: « Chi è in grado di capire che cosa sia il verbo non solo prima che risuoni, ma anche prima che il suono si rivesta di un'immagine nella fantasia, può già intravvedere una certa sembianza di quel Verbo di cui fu detto: In principio era il Verbo ».
Ora, lo stesso verbo mentale ha la proprietà di procedere da altro, cioè dalla conoscenza di chi lo ha concepito.
Se quindi il verbo si applica a Dio in senso proprio significa qualcosa che procede da altro: e questa è una caratteristica dei nomi personali, poiché le persone divine si distinguono appunto in base alle origini, come si è già spiegato [ q. 27, Prol.; q. 32, a. 3 ].
Quindi si deve dire che il nome Verbo, applicato a Dio in senso proprio, è un nome non essenziale, ma solo personale.
1. Gli Ariani, che fanno capo a Origene [ cf. q. 32, a. 1, ad 1 ], sostennero che il Figlio è diverso dal Padre nella sostanza.
Quindi si sforzarono di dimostrare che il Figlio di Dio non viene detto Verbo in senso proprio, per non essere costretti a riconoscere che il Figlio di Dio, procedendo come verbo, non è estraneo alla sostanza del Padre: infatti il verbo interiore procede da chi lo esprime in modo da rimanere in lui.
- Ma se si ammette in Dio un verbo in senso metaforico bisogna anche ammetterne uno in senso proprio.
Infatti una cosa non può essere detta metaforicamente verbo se non a motivo di una manifestazione: cioè o perché manifesta come manifesta il verbo, oppure perché è da questo manifestata.
Ma se è manifestata dal verbo, allora è necessario ammettere il verbo che la manifesta.
Se invece viene detta verbo perché manifesta esteriormente, allora ciò che è così esteriormente manifestato non può essere detto verbo se non in quanto esprime l'interiore concetto della mente, che uno manifesta anche con segni esteriori.
Quindi, sebbene qualche volta, parlando di Dio, il verbo sia preso in senso metaforico, tuttavia bisogna porre in lui un Verbo in senso proprio, che viene detto in modo personale.
2. Nulla di quanto appartiene all'intelletto è attribuito a Dio in senso personale, eccetto il solo Verbo: poiché soltanto il verbo significa una cosa che emana da un'altra.
Infatti il verbo è ciò che l'intelletto forma in se stesso nell'intendere.
Invece l'intelletto stesso in quanto è in atto mediante la specie intelligibile è da concepirsi come qualcosa di assoluto.
E altrettanto si deve dire dell'intendere, il quale sta all'intelletto in atto come l'essere sta alle cose attualmente esistenti: infatti l'intendere significa un'azione che non esce dal soggetto, ma resta in esso.
- Quando dunque si dice che il Verbo è notizia [ o conoscenza ], notizia qui non sta per l'atto dell'intelletto che conosce o per qualche suo abito, ma per ciò che l'intelligenza concepisce nel conoscere.
Per cui anche S. Agostino [ De Trin. 7,2.3 ] afferma che il Verbo è « la sapienza generata »: che poi si identifica con il concetto di chi conosce, concetto che a sua volta può essere detto « notizia generata ».
- E allo stesso modo si può spiegare [ l'espressione di S. Anselmo ] che dire, per Dio, è « un intuire pensando », cioè nel senso che mediante l'intuizione del pensiero divino viene concepito il Verbo di Dio.
Però, propriamente parlando, al Verbo di Dio non si può applicare con proprietà il termine pensiero.
Dice infatti S. Agostino [ De Trin. 15,16.26 ]: « Il Verbo di Dio è detto Verbo, e non pensiero: affinché non si creda che in Dio ci sia qualcosa di mutevole, che ora prenda una forma per diventare verbo e ora la lasci, e così cambi di forme senza ritenerne alcuna ».
Il pensare, infatti, consiste nella ricerca del vero, e questa non si può trovare in Dio.
Quando invece è giunto alla verità, l'intelletto non ricerca più, ma si ferma a contemplarla.
Quindi Anselmo prende il pensare in senso improprio, come sinonimo di contemplare.
3. In Dio sia il Verbo, sia il dire, si riferiscono, come termini propri, alle persone e non all'essenza.
Come quindi il Verbo non è comune al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo, così non è vero che il Padre, e il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo dicente.
Per cui S. Agostino [ De Trin. 7,1 ] afferma: « In Dio non si deve intendere che ciascuno sia il dicente di quel Verbo coeterno ».
Invece l'essere detto conviene a ogni persona, poiché non si dice soltanto il verbo, ma anche la cosa che con tale verbo è intesa e significata.
Così dunque in Dio l'essere detto come verbo conviene a una sola persona; invece l'essere detto come cosa intesa nel verbo e col verbo conviene a tutte e tre le divine persone.
Il Padre infatti, intendendo se stesso, il Figlio e lo Spirito Santo e ogni altra cosa contenuta nella sua scienza, concepisce il Verbo: e così tutta la Trinità e ogni creatura viene detta con il Verbo; come l'intelletto umano dice la pietra con il verbo che ha concepito intendendo la pietra.
- S. Anselmo invece prende dire in senso improprio, come equivalente di intendere.
E tuttavia sono cose diverse.
L'intendere infatti indica soltanto un rapporto di chi intende alla cosa intesa; rapporto che non include alcuna idea di origine, ma solo una certa informazione, in quanto il nostro intelletto diviene attualmente intelligente mediante la forma della cosa intesa.
Ora, in Dio [ l'intendere ] comporta un'assoluta identità: poiché in Dio, come si è detto sopra [ q. 14, aa. 2,4 ], l'intelletto e ciò che esso intende sono assolutamente la stessa cosa.
Invece dire comporta principalmente un rapporto al verbo mentale: infatti dire non è altro che proferire il verbo; tuttavia mediante il verbo implica un rapporto alla cosa intesa, la quale nella parola [ o verbo ] si manifesta a chi intende.
E così in Dio solo la persona che proferisce il Verbo dice, mentre le singole persone e intendono e sono intese, e di conseguenza sono dette nel Verbo.
4. Nel passo citato verbo è preso in senso metaforico, in quanto si dice verbo anche ciò che da esso è significato e fatto.
Si dice infatti che le creature fanno il verbo [ o la parola ] di Dio in quanto eseguiscono effetti a cui sono state ordinate dal Verbo concepito dalla divina sapienza: come si dice che uno fa la parola del re quando compie ciò che gli è stato intimato dalla parola del re.
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