Summa Teologica - I |
In 1 Sent., d. 8, q. 5, a. 2; In 2 Sent., d. 3, q. 1, a. 2; C. G., II, cc. 50, 51;De Spir. Creat., a. 1; Quodl., 3, q. 8; 9, q. 4, a. 1; Comp. Theol., c. 74; Opusc. 15, De Angelis, cc. 5 sqq.; c. 18; De ente et ess., c. 5
Pare che l'angelo sia composto di materia e di forma.
1. Tutte le cose che rientrano in un dato genere sono composte di genere e differenza, la quale ultima, aggiungendosi al genere, costituisce la specie.
Ora, come insegna Aristotele [ Met. 8,2 ], il genere si desume dalla materia, la differenza invece dalla forma.
Quindi tutto ciò che rientra in un dato genere è composto di materia e di forma.
Ma l'angelo si trova nel genere della sostanza.
Quindi è composto di materia e di di forma.
2. Ovunque si trovano le proprietà della materia deve trovarsi anche la materia.
Ora, le proprietà della materia consistono nel ricevere e nel compiere le funzioni di soggetto: per cui Boezio [ De Trin. 1,2 ] dice che « una forma semplice non può fare da soggetto ».
Ma nell'angelo si trovano queste proprietà.
Quindi l'angelo è composto di materia e di forma.
3. La forma è un atto.
Quindi ciò che è soltanto forma è atto puro.
Ma l'angelo non può essere atto puro: poiché ciò appartiene a Dio solo.
Quindi l'angelo non è soltanto forma, ma ha la forma unita alla materia.
4. La forma non è propriamente delimitata e terminata che dalla materia.
Quindi una forma che non si trovi nella materia sarà infinita.
Ma la forma dell'angelo non è infinita, essendo ogni creatura finita.
Quindi la forma dell'angelo si trova nella materia.
Dionigi [ De div. nom. 4 ] afferma che le prime creature « debbono ritenersi incorporee e immateriali ».
Alcuni ritengono che gli angeli siano composti di materia e di forma, e Avicebron si è sforzato di provare questa opinione nel suo libro Fons vitae.
Egli parte dal presupposto che siano realmente distinte tutte quelle cose che figurano distinte all'apprensione del nostro intelletto.
Ora, nella sostanza incorporea l'intelletto coglie un aspetto [ la differenza specifica ] per cui essa si distingue dalla sostanza corporea, e un altro aspetto [ il genere ] che è comune alle due sostanze.
Egli allora ne conclude che quanto serve a differenziare la sostanza incorporea da quella corporea costituisce la forma di quella sostanza; quanto invece, come elemento comune, viene a ricevere questa forma distintiva, costituisce la materia di tale sostanza.
Afferma perciò che identica è la materia universale degli esseri spirituali e di quelli corporei: egli cioè intende asserire che, come la forma della quantità è impressa nella materia degli enti corporei, così la forma delle sostanze incorporee è impressa nella materia degli enti spirituali.
Si vede però di primo acchito l'impossibilità di un'identica materia per le realtà spirituali e per quelle corporee.
Infatti è impossibile che la forma spirituale e quella materiale siano ricevute nella stessa porzione di materia: poiché in tal caso una stessa cosa numericamente identica sarebbe insieme corporea e spirituale.
Si dovrà perciò ammettere che la porzione di materia che riceve la forma corporea è distinta da quella porzione di materia che riceve la forma spirituale.
Ora, non si può ammettere che la materia si divida in più parti se non la si concepisce come informata dalla quantità: senza di questa infatti, come insegna Aristotele [ Phys. 1,2 ], la sostanza rimane indivisibile.
Si dovrebbe quindi ammettere che la materia delle sostanze spirituali è soggetta alla quantità: il che è impossibile.
È quindi anche impossibile che vi sia un'unica materia per le creature corporee e per quelle spirituali.
Anzi, è impossibile che le sostanze spirituali abbiano una materia qualsiasi.
Infatti l'operare di ogni essere è conforme alla sua natura.
Ora, l'intendere è un'operazione del tutto immateriale.
Il che appare chiaramente dall'oggetto, da cui dipende la specie e la natura di ogni atto.
Nessuna cosa infatti può essere colta dall'intelletto se non in quanto viene astratta dalla materia: poiché le forme che si trovano nella materia sono forme individuali, che in quanto tali non sono conosciute dall'intelletto.
Si deve perciò concludere che ogni sostanza intellettiva è assolutamente immateriale.
Del resto non è necessario che le cose che si presentano come distinte all'apprensione dell'intelletto siano pure distinte nella realtà: poiché l'intelletto non conosce le cose uniformandosi al loro modo di essere, ma uniformandole al suo.
Quindi le realtà materiali, che sono inferiori al nostro intelletto, ricevono nella nostra mente un modo di essere più semplice di quello che hanno in se stesse.
Ma le sostanze angeliche sono superiori al nostro intelletto.
Questo perciò non è capace di apprenderle come sono in se stesse, ma [ le apprenderà ] alla sua maniera, cioè come apprende le realtà composte.
E in questo modo, come si è già visto [ q. 3, a. 3, ad 1 ], conosce anche Dio.
1. La specie è costituita dalla differenza.
Ora, ogni cosa è posta nella sua specie in quanto viene determinata a un grado speciale nella scala degli esseri: poiché le specie delle cose sono come i numeri i quali, al dire di Aristotele [ Met. 8,3 ], differiscono per la semplice addizione o sottrazione di un'unità.
Ma nelle cose materiali altro è ciò che determina un essere a un dato grado, vale a dire la forma, e altro è ciò che viene determinato, cioè la materia, per cui il genere si desume dal secondo elemento e la differenza dal primo.
Nelle sostanze immateriali invece non si dà un elemento determinante distinto da ciò che viene determinato, ma ognuna di esse, in forza di tutta la sua natura, occupa già un grado particolare nella scala degli esseri.
Quindi il genere e la differenza delle sostanze spirituali non vengono desunti da elementi realmente distinti, bensì da un'identica realtà.
Tuttavia il genere e la differenza si distinguono quanto al nostro modo di intendere: cioè si ha il genere quando il nostro intelletto considera la sostanza spirituale sotto un aspetto indeterminato; si ha invece la specie quando la considera nella sua determinatezza.
2. L' obiezione si trova nel Fons Vitae [ di Avicebron ].
E l'argomento varrebbe se non esistesse una maniera intellettiva di ricevere la specie, diversa da quella della materia.
Ma è evidente che non è così.
La materia infatti riceve la forma per divenire, per mezzo di essa, una concreta realtà di una determinata specie, p. es. di aria, di fuoco o di qualsiasi altra cosa.
L'intelletto invece non riceve la forma in questo modo: altrimenti sarebbe vera l'opinione di Empedocle [ cf. Arist., De anima 1,2], il quale diceva che noi « conosciamo la terra per mezzo della terra, e il fuoco per mezzo del fuoco ».
Invece la forma intelligibile si trova nell'intelletto proprio in quanto forma: poiché in questo modo è conosciuta dall'intelletto.
Ora, questo modo di ricevere la forma non è il modo proprio della materia, bensì quello che si addice alle sostanze immateriali.
3. Quantunque nell'angelo non vi sia composizione di materia e di forma, tuttavia vi sono in lui l'atto e la potenza.
E si può averne l'evidenza osservando che nelle realtà materiali si riscontra una doppia composizione.
La prima è la composizione di materia e di forma, che costituisce una natura determinata.
Questa natura, così composta, non è però il suo proprio essere, ma l'essere ne è l'atto.
Quindi la natura sta al suo essere come la potenza sta all'atto.
Se quindi togliamo la materia, e supponiamo che una forma sussista senza di essa, tra la forma e l'essere rimane ancora il rapporto che esiste tra la potenza e l'atto.
E in questo senso dobbiamo intendere la composizione propria degli angeli.
Per questo alcuni dicono che l'angelo è composto di quo est [ ciò per cui egli è ] e di quod est [ ciò che è ]; oppure, come dice Boezio [ De hebdom. ], di essere e di ciò che è.
Infatti il quod est è la stessa forma sussistente, mentre l'essere è ciò per cui la sostanza è: come il correre è ciò per cui il corridore corre.
Ma in Dio, come si è dimostrato sopra [ q. 3, a. 4 ], non c'è distinzione tra l'essere e il soggetto che è.
Soltanto Dio quindi è atto puro.
4. Ogni creatura è, assolutamente parlando, finita, in quanto il suo essere non è senz'altro sussistente in se medesimo, ma è limitato a quella natura che lo riceve.
Nulla però impedisce che una creatura possa essere infinita sotto un certo aspetto.
Ora, le creature materiali presentano una certa infinità per la loro materia, ma sono finite per le loro forme, che vengono limitate dalla materia in cui sono ricevute.
Le sostanze immateriali create sono invece finite quanto al loro essere, e infinite quanto alle loro forme, che non sono ricevute in un soggetto.
Sarebbe come dire che, se la bianchezza esistesse separata dai corpi, dovrebbe essere infinita quanto alla ragione di bianchezza, poiché non verrebbe limitata da alcun soggetto, ma il suo essere sarebbe finito, in quanto limitato a una natura particolare.
E per questo è detto nel libro De Causis [ 16 ] che la sostanza intellettiva è « finita in rapporto a ciò che sta al disopra di essa », in quanto cioè riceve l'essere da chi le è superiore, ma è « infinita rispetto a ciò che le è al disotto », in quanto non è ricevuta in qualche materia.
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