Summa Teologica - I |
C. G., II, c. 98; De Verit., q. 8, a. 7
Pare che un angelo non conosca l'altro.
1. Il Filosofo afferma [ De anima 3,4 ] che se l'intelletto umano avesse in se stesso una qualche natura di ordine sensibile, tale natura già esistente all'interno impedirebbe la visione delle altre nature ad essa estranee: come se la pupilla fosse colorata di un certo colore, non potrebbe vedere ogni altro colore.
Ora, come si comporta l'intelletto umano nella conoscenza delle realtà materiali, così si comporta l'intelletto angelico nella conoscenza di quelle immateriali.
Pare quindi che l'intelletto angelico, per il fatto che ha in se stesso una natura di ordine intellettuale, non possa conoscere le altre nature [ dello stesso ordine ].
2. Nel libro De Causis [ 8 ] si legge che « ogni intelligenza conosce ciò che le è superiore in quanto è da esso causata, e ciò che le è inferiore in quanto lo causa ».
Ma nessun angelo è causa dell'altro.
Quindi un angelo non può conoscere l'altro.
3. Un angelo non può conoscere l'altro per mezzo della propria essenza di angelo conoscente: ogni conoscenza infatti avviene in forza di una somiglianza, per cui essendo l'essenza dell'angelo che conosce simile all'essenza dell'angelo conosciuto solo quanto al genere, come si è visto [ q. 50, a. 4; q. 55, a. 1, ad 3 ], è chiaro che un angelo non potrebbe avere dell'altro una conoscenza propria, ma soltanto generica.
- E così pure non si potrà dire che un angelo conosce l'altro per mezzo dell'essenza dell'angelo conosciuto: poiché il mezzo che serve all'intelletto per intendere deve essere intrinseco all'intelletto stesso, e soltanto la Trinità può penetrare in questo modo nell'intimo della mente.
- E nemmeno si può dire che un angelo conosce l'altro per mezzo di una specie: quella specie infatti non si distinguerebbe dall'angelo conosciuto, essendo l'una e l'altra immateriali.
Pare quindi che in nessun modo un angelo possa conoscere l'altro.
4. Un angelo potrebbe giungere alla conoscenza dell'altro servendosi di una specie innata: ma allora ne seguirebbe che se Dio in questo momento creasse un nuovo angelo, quest'ultimo non potrebbe essere conosciuto dagli angeli attualmente esistenti.
Oppure potrebbe servirsi di una specie derivata dalle cose: ma allora ne seguirebbe che gli angeli superiori non potrebbero conoscere quelli inferiori, poiché nulla ricevono da essi.
Quindi in nessun modo un angelo può conoscere l'altro.
Si afferma nel De Causis [ 11 ] che « ogni intelligenza conosce le cose che non si corrompono ».
Come dice S. Agostino [ De Gen. ad litt. 2,8 ], le cose che si trovano nel Verbo da tutta l'eternità scaturirono da lui in due modi: prima di tutto [ furono comunicate ] all'intelletto angelico, e in secondo luogo vennero a sussistere nella propria natura.
Furono comunicate dunque all'intelletto angelico in quanto Dio impresse nella mente angelica le immagini di quanto egli produsse poi nella natura.
Ora, nel Verbo di Dio, da tutta l'eternità, non ci furono soltanto le idee delle realtà corporee, ma altresì quelle di tutte le creature spirituali.
Il Verbo di Dio impresse dunque in ogni creatura spirituale le idee di tutte le cose, tanto materiali quanto spirituali.
In ogni angelo però fu impressa l'idea [ o ragione ] della propria specie tanto secondo l'essere naturale quanto secondo quello intelligibile: in modo cioè che l'angelo fosse in grado di sussistere nella natura della propria specie, e per mezzo di essa di comprendere se stesso; mentre le idee delle altre nature, sia spirituali che materiali, gli furono impresse soltanto secondo l'essere intelligibile, affinché cioè per mezzo di queste idee impresse potesse conoscere tanto le creature corporee quanto quelle spirituali.
1. Le nature spirituali degli angeli, come si è già spiegato [ q. 50, a. 4, ad 1,2 ], si distinguono tra di loro per una certa graduazione.
Quindi la [ determinata ] natura di un angelo non impedisce al suo intelletto di conoscere le nature degli altri angeli, poiché tanto gli angeli superiori quanto gli inferiori hanno un'affinità con la sua natura, differenziandosene soltanto secondo i vari gradi di perfezione.
2. La relazione tra causa e causato non giova a far sì che un angelo conosca l'altro se non in forza della somiglianza: in quanto cioè esiste una somiglianza tra causa e causato.
Quindi, una volta ammessa una somiglianza tra gli angeli, anche togliendo la causalità rimane che un angelo può conoscere l'altro.
3. Un angelo conosce l'altro per mezzo di una specie esistente nel proprio intelletto, la quale specie differisce dall'angelo che rappresenta non come l'essere materiale da quello immateriale, ma come l'essere [ reale ] e naturale differisce da quello intenzionale. Infatti l'angelo è una forma che sussiste nel suo proprio essere naturale: non così invece la specie di un angelo che si trova nell'intelletto di un altro angelo, dove ha soltanto l'essere intelligibile.
Come anche la forma del colore ha nella parete il suo essere naturale, mentre nell'aria che la trasporta [ ai sensi ] ha soltanto l'essere intenzionale.
4. Dio proporzionò ogni creatura all'universo che stabilì di creare.
Se quindi Dio avesse stabilito di creare altri angeli o altre cose, avrebbe pure impresso nelle menti angeliche le specie intelligibili corrispondenti.
Come se un costruttore avesse voluto edificare una casa più grande, avrebbe anche posto più ampie fondamenta.
Domandarsi quindi se Dio possa aggiungere una specie intelligibile all'angelo è come chiedersi se possa aggiungere una creatura all'universo.
Indice |