Summa Teologica - I |
In 3 Sent., d. 23, q. 1, a. 2, ad 3; C. G., II, c. 75; De Verit., q. 10, a. 9; In 2 De anima, lect. 6
Pare che l'intelletto non conosca il proprio atto.
1. Propriamente si conosce ciò che è l'oggetto di una facoltà conoscitiva.
Ma l'atto differisce dall'oggetto.
Quindi l'intelletto non conosce il proprio atto.
2. Tutto ciò che è conosciuto lo è mediante un atto.
Se dunque l'intelletto conoscesse il proprio atto dovrebbe conoscerlo mediante un altro atto, e questo con un altro ancora.
Si avrebbe così un processo all'infinito, il che è impossibile.
3. L'intelletto sta al proprio atto come il senso sta al suo.
Ora, i sensi propri non sentono il proprio atto, ma questa percezione appartiene al senso comune, come insegna Aristotele [ De anima 3,2 ].
Quindi neppure l'intelletto conosce il proprio atto.
S. Agostino [ De Trin. 10,11.17 ] afferma: « Io capisco di capire ».
Come abbiamo già spiegato [ aa. 1,2 ], ogni cosa è conoscibile in quanto è in atto.
Ora, l'ultima perfezione dell'intelletto è la sua operazione: poiché questa non è un'operazione [ transitiva ] che, per avere un termine estrinseco, viene a essere il compimento di un prodotto o di un'opera, come la costruzione di un edificio; essa invece rimane nell'operante, quale perfezione e atto del medesimo, come dice Aristotele [ Met. 9,8 ].
Quindi la prima cosa che si conosce intorno all'intelletto è precisamente il suo stesso intendere.
Ma in ciò le varie intelligenze si trovano in condizioni diverse.
Vi è infatti un intelletto, quello di Dio, il quale si identifica con il suo atto conoscitivo.
Quindi in Dio conoscere la propria intellezione e conoscere la propria essenza è la stessa cosa: appunto perché l'essenza di Dio si identifica con l'intellezione.
- Vi è poi un altro intelletto, quello degli angeli, che non si identifica con la loro intellezione, come si è visto [ q. 79, a. 1 ], ma ha come primo oggetto la loro essenza.
Quindi, sebbene per l'angelo non sia logicamente la stessa cosa intendere la propria intellezione e intendere la propria essenza, tuttavia l'angelo conosce simultaneamente le due cose con un unico atto: infatti l'intendere la propria essenza è propriamente la perfezione di questa medesima essenza, e d'altra parte l'oggetto e la sua perfezione vengono intesi mediante un solo atto.
- C'è infine un altro intelletto, quello dell'uomo, il quale non si identifica con la sua intellezione, e il cui oggetto primario non è la propria essenza, ma qualcosa di estrinseco, cioè la natura degli enti.
Quindi questo è l'oggetto che per primo viene conosciuto dall'intelletto umano, mentre in secondo luogo viene conosciuto l'atto stesso che serve per conoscere l'oggetto e alla fine, mediante questo atto, si arriva a conoscere l'intelletto medesimo, che ha la sua perfezione nello stesso conoscere.
Per questo il Filosofo [ De anima 2,4 ] afferma che gli oggetti sono conosciuti prima degli atti, e gli atti prima delle potenze.
1. L'oggetto dell'intelletto, cioè l'ente e il vero, è un universale, il quale abbraccia anche l'atto d'intellezione.
Quindi l'intelletto può conoscere il proprio atto.
Non però come primo oggetto: poiché nello stato presente il primo oggetto del nostro intelletto non è un ente o un vero qualsiasi, ma l'ente e il vero visto nelle realtà materiali, come si è spiegato [ q. 84, a. 7 ].
E da qui si passa alla conoscenza di tutte le altre cose.
2. L'intellezione umana non costituisce l'atto e la perfezione di quell'essere materiale che è oggetto d'intellezione, in modo che così si possa conoscere con un solo atto la natura dell'essere materiale e la stessa intellezione, come si conoscono le cose insieme con la loro perfezione.
Quindi l'atto con cui l'intelletto conosce la pietra è diverso da quello con cui conosce di conoscere la pietra, e così di seguito.
E d'altra parte non c'è difficoltà ad ammettere nell'intelligenza un'infinità potenziale, come si è già spiegato [ q. 86, a. 2 ].
3. I sensi propri hanno la sensazione in quanto subiscono un'alterazione nei loro organi materiali da parte degli oggetti esterni.
Infatti non è possibile che una realtà materiale si alteri da se stessa, ma deve essere alterata da un'altra.
E così l'atto dei sensi propri è percepito dal senso comune.
Ma l'intelletto non intende mediante l'alterazione materiale di un organo: perciò il paragone non regge.
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