Summa Teologica - I-II |
7 - Grazie alla catechesi cristiana la nostra lingua è rimasta sostanzialmente fedele al concetto antico e medioevale di passione.
E codesto concetto si ricollega al termine greco pàtos conservandone quasi tutte le sfumature di significato.
Invece in altre lingue moderne, in francese, p. es., ha prevalso un senso peggiorativo, che si riflette nelle stesse traduzioni italiane da codeste lingue; poiché non sempre i traduttori si rendono conto dell'uso più comune ed appropriato dei termini affini nella loro lingua materna.
Ecco perché anche in Italia molti preferiscono parlare di emozioni, di sentimenti, di tendenze e d'inclinazioni, quando si dovrebbe parlare di passioni.
Questa terminologia denunzia talora vere alterazioni del concetto di passione; e in tutti i casi è insufficiente per un concetto così ricco e così generico.
Infatti col termine passione noi indichiamo qualsiasi moto affettivo della nostra sensibilità; mentre le voci ricordate indicano solo questo o quel tipo di impulsi, o di stati d'animo.
Ben diversa, come abbiamo detto, è la condizione di cose nella lingua francese.
« La passion », scrive L. Dugas, « est distincte, non seulement de l'émotion, mais ancore de l'inclination.
Elle est une inclination portée à l'excès, devenue prédominante, qui se suborcionne toutes les autres ou qui les exclut » ( in Nouveau Traité de Psychologie, Paris 1938, vol. VI, p. 31 ).
In italiano passione può avere anche codesto significato, indicando talora più il vizio che il moto passionale.
Ma non è questo l'uso più comune del termine.
E per essere esatti in codesti casi è necessario specificare, parlando di passioni sregolate.
Nel dizionario tomistico passio, prima ancora di indicare un moto psicologico, è un termine metafisico: è l'antitesi dell'actio.
Nel mondo materiale e fenomenico, ogni moto ha questi due aspetti: come esercizio dell'agente è un'actio, come accadimento nel soggetto cui esso si applica è una passio.
Perciò anche in campo psicologico la passione risente per analogia di questa impostazione metafisica.
Ma in sostanza le passioni psicologiche sono vere azioni umane.
Il Prologo della q. 6, ci ricorda in maniera inequivocabile che le passioni sono atti umani, « comuni all'uomo e agli animali irragionevoli ».
A tutto rigore si tratta non di stati d'animo affettivi, ma di moti transeunti.
Se poi codesto moto passionale si trasforma in abitudine, parleremo di vizio o di virtù; ma la passione non deve essere confusa con codesta disposizione permanente, anche se si è preso l'abitudine di chiamare certi vizi col nome delle passioni corrispondenti.
Il Dottore Angelico dedicherà un intero trattato alla teoria generale degli abiti psicologici, data la loro importanza nella vita morale ( vedi vol. X ); ma in una indagine scientifica e seria di questi problemi non si può confondere senza pregiudizio la disposizione permanente con l'atto transeunte.
8 - Purtroppo nei trattati, sia antichi, sia moderni, che toccano il problema delle passioni, spesso non si tien conto di questa distinzione, convogliando facilmente cose eterogenee in una medesima prospettiva.
Baruch Spinoza ( 1632-1677 ), p. es., mette sullo stesso piano il desiderio e l'umiltà, l'ebrietà e il pudore ….
Per lui son tutte passioni nel medesimo senso i quarantotto stati d'animo che egli descrive nella III Parte dell'Etica.
C'è allora da meravigliarsi che non trovi più il modo di giungere a una definizione comprensibile?
Egli allora dirà che la passione « è l'idea confusa onde la Mente afferma che il proprio corpo, o una parte di esso, ha una certa forza d'esistere maggiore o minore di quella antecedente, e data la quale, la Mente stessa è indotta a pensare una cosa piuttosto che un'altra » ( L' Etica, trad. E. Troilo, Milano I. E. I., p. 254 ).
Invece per S. Tommaso la passione è un moto psicologico; e si tratta di un moto dell'appetito sensitivo, ossia di quelle facoltà affettive che sono comuni all'uomo e agli altri animali.
Gli affetti superiori della volontà sono presi talora in esame nel trattato sulle passioni, per l'affinità che presentano con queste, o perché in queste trovano la loro prima naturale espressione.
Ma formalmente la passione è un fatto di origine « animale », ed è una funzione organica.
Non è atto dell'anima, come dirà falsamente Cartesio, ma del composto, ossia di un organismo vivente dotato di sensibilità.
È vero che nella Somma Teologica si parla di passio animae, ma in questo caso il genitivo di specificazione non sta a indicare la sede o il soggetto dell'operazione, bensì il principio e la caratteristica di essa ( cfr. q. 22, a. 1 ).
Ricordiamo che per S. Tommaso passio è un termine generico, che si usa persino in metafisica.
Egli perciò sente il bisogno di specificare: qui si tratta delle passioni dell'anima, cioè psicologiche, o « animali ».
Ma per chiarire ancora meglio il suo pensiero, ripeteremo la sua distinzione tra i due elementi componenti della passione: l'elemento materiale, e l'elemento quasi formale; ossia tra l'elemento fisiologico e quello psicologico ( cfr. q. 44, a. 1 ).
Codesti due elementi sono però inscindibili ( cfr. I, q. 20, a. 1, ad 2 ).
E sono presenti in tutti i moti passionali, non già soltanto in quelli patologici, o comunque violenti.
Il P. M. Corvez ha potuto facilmente dimostrare che codesta concezione dei moti passionali coincide perfettamente con le teorie più moderne della psicologia sperimentale ( cfr. SOM. FRANC., Les Passions de l'âme, I, p. 248 ss. ).
Il Dottore Angelico credeva di aver ereditato la definizione esatta della passione dal Damasceno: « Motus appetitivus virtutis sensibilis ex imaginatione boni vel mali » ( 2 De Fide orth., c. 22; cfr. q. 32, a. 4 S.c. ).
Ma codesta idea si è precisata in un'ampia parafrasi, attraverso le ventisette questioni del suo trattato.
9 - Perciò dal suo punto di vista bisognerebbe rimproverare ai moderni psicologi di confondere troppo spesso la passione in generale con particolari tendenze, che non sono passioni ma abiti, ovvero disposizioni permanenti.
Così bisognerebbe giudicare severamente l'impostazione eccessivamente empirica delle teorie psicologiche più in voga, imposta dal prevalere del dato fisiologico su quello psicologico; e l'incapacità dello scienziato positivista a distinguere i moti affettivi di ordine sensibile, da quelli analoghi di ordine spirituale.
I complessi, di cui amano parlare i cultori della psicanalisi, derivano da questo empirismo per discendenza diretta.
Si è presa l'abitudine di partire dal bisogno fisiologico più che dall'atteggiamento psicologico nello studio dei fenomeni affettivi.
Questo fatto porta fatalmente ad accantonare o a minimizzare i processi affettivi nel loro aspetto formale, come semplici sviluppi accidentali di quei meccanismi quasi automatici che sono gli impulsi vitali.
L'interesse si sposta così verso la vita vegetativa, che naturalmente si svolge nei labirinti insondabili dell'inconscio.
Ma quando l'impulso affiora alla coscienza, sia attraverso la sensibilità, che attraverso l'intuito o l'indagine razionale, lo scienziato avrebbe il dovere di mettere in primo piano il dato conoscitivo, per capire e per interpretare le variazioni delle reazioni affettive.
Invece lo psicanalista tende a riportare l'origine di ogni cosa alla caverna tenebrosa dell'istinto, e a considerare deformazioni pericolose tutte quelle manifestazioni psicologiche, le quali non sembrano discendere dai pretesi impulsi primordiali in maniera logica ed evidente.
È certo che un buon tomista non potrà mai accettare codesto rovesciamento di valori, non solo perché deriva da una premessa filosofica soggettivista e materialista; ma anche perché compromette il concetto genuino della passione, come di qualsiasi altro atto psicologico.
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