Summa Teologica - I-II |
C. G., III, c. 30; In 1 Ethic., lect. 5
Pare che la beatitudine dell'uomo consista nella ricchezza.
1. La beatitudine è l'ultimo fine dell'uomo: perciò deve concretarsi in quell'oggetto che maggiormente domina l'affetto umano.
Ora, tale oggetto è costituito dalle ricchezze, poiché sta scritto [ Qo 10,19 ]: « Tutto obbedisce al danaro ».
Quindi la beatitudine consiste nelle ricchezze.
2. Secondo Boezio [ De consol. 3, pr. 2 ] la beatitudine è « uno stato risultante dall'insieme di tutti i beni ».
Ma con le ricchezze si possiedono tutti i beni: poiché, come fa osservare il Filosofo [ Ethic. 5,5 ], il danaro è stato introdotto per fungere da intermediario nell'acquisto di quanto l'uomo desidera.
Quindi la beatitudine consiste nelle ricchezze.
3. Il desiderio del bene supremo, che è inesauribile, deve avere una certa infinità.
Ma ciò si riscontra specialmente nelle ricchezze, poiché « l'avaro », come dice la Scrittura [ Qo 5,9 ], « non sarà mai sazio di danaro ».
Quindi la beatitudine consiste nelle ricchezze.
Il bene di un uomo consiste più nel conservare che nell'alienare la beatitudine.
Ma come dice Boezio [ De consol. 2, prosa 5 ], « le ricchezze risplendono più quando sono distribuite che quando sono accumulate: poiché l'avarizia rende sempre odiosi, mentre la munificenza rende onorati ».
Quindi la beatitudine non consiste nelle ricchezze.
È impossibile che la beatitudine umana consista nelle ricchezze.
Le ricchezze infatti, come spiega il Filosofo [ Polit. 1,3 ], sono di due specie: naturali e artificiali.
Le ricchezze naturali sono quelle che aiutano l'uomo a colmare le sue naturali indigenze: come i cibi, le bevande, le vesti, i mezzi di trasporto, la casa e altre cose del genere.
Le ricchezze artificiali invece sono quelle che di per sé non portano giovamento alla natura - come ad es. il danaro -, ma sono state inventate dall'industria umana per facilitare gli scambi, e formano una specie di misura comune per gli oggetti commerciabili.
Ora, è evidente che la beatitudine umana non può consistere nelle ricchezze naturali.
Infatti tali ricchezze sono ricercate per un altro scopo, cioè per dare sostentamento alla natura dell'uomo, e quindi non possono essere l'ultimo fine dell'uomo, ma sono piuttosto ordinate esse stesse all'uomo.
Per cui in ordine di natura tutte queste cose sono al disotto dell'uomo, e sono fatte per l'uomo, secondo l'espressione del Salmo [ Sal 8,7 ]: « Tutto hai posto sotto i suoi piedi ».
Le ricchezze artificiali poi sono usate in vista di quelle naturali: infatti nessuno le cercherebbe se non servissero per acquistare le cose necessarie alla vita.
Quindi esse meno che mai possono avere ragione di ultimo fine.
Quindi è impossibile che la beatitudine, fine ultimo dell'uomo, consista nelle ricchezze.
1. Tutte le realtà materiali obbediscono al danaro per la moltitudine degli stolti, i quali conoscono soltanto i beni del corpo, che si possono acquistare col danaro.
Ma non si deve giudicare dei beni umani secondo gli stolti, bensì secondo i saggi: come trattandosi di sapori si cerca il giudizio di chi ha il gusto sano.
2. Col danaro si possono avere tutti i beni commerciabili, non però i beni spirituali, che non possono essere venduti.
Per cui sta scritto [ Pr 17,16 ]: « A che serve il danaro in mano allo stolto?
Forse a comprare la sapienza, se egli non ha senno? ».
3. Il desiderio delle ricchezze naturali non è illimitato, poiché in una data quantità esse colmano le esigenze della natura.
È infinito invece il desiderio delle ricchezze artificiali: poiché esso è schiavo della concupiscenza disordinata, come fa notare il Filosofo [ Polit. 1,3 ].
Tuttavia il desiderio delle ricchezze non è infinito allo stesso modo di quello del bene supremo.
Infatti quanto più perfettamente il sommo bene è posseduto, tanto più esso è amato e gli altri beni vengono disprezzati: poiché un maggiore possesso ne accresce la conoscenza.
Quindi sta scritto [ Sir 24,20 ]: « Quanti si nutrono di me avranno ancora fame ».
Invece si verifica il contrario nel desiderio delle ricchezze e di qualsiasi altro bene temporale: infatti quando tali beni sono posseduti non vengono apprezzati, e se ne desiderano altri; secondo quelle parole del Signore [ Gv 4,13 ], applicabili ai beni temporali: « Chi beve di quest'acqua avrà di nuovo sete ».
Il che avviene perché quando sono posseduti se ne scorge meglio l'insufficienza.
E ciò dimostra la loro imperfezione, e l'impossibilità che in essi consista il sommo bene.
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