Summa Teologica - I-II |
II-II, q. 83, a. 1; In 4 Sent., d. 15, q. 4, a. 1, sol. 1, ad 3; De Verit., q. 22, a. 12, ad 4; Quodl., 9, q. 5, a. 2
Pare che comandare non sia un atto della ragione, ma della volontà.
1. Il comando è una specie di mozione: Avicenna [ Suff. 1,10 ] infatti insegna che il movente può essere di quattro specie, e cioè attuante, disponente, imperante e consigliante.
Ma alla volontà, come si è visto [ q. 9, a. 1 ], spetta la mozione di tutte le altre potenze dell'anima.
Quindi comandare è un atto della volontà.
2. Come spetta a chi è sottoposto l'essere comandato, così spetta a chi è sommamente libero il comandare.
Ma la radice della libertà è soprattutto nella volontà.
Quindi comandare è compito della volontà.
3. Al comando segue subito l'operazione.
Ma all'atto della ragione non segue subito l'operare: infatti chi giudica che una cosa sia da farsi non si applica senz'altro a compierla.
Quindi comandare non è un atto della ragione, ma della volontà.
S. Gregorio Nisseno [ Nemesio, De nat. hom. 16 ] e il Filosofo [ Ethic. 1,13 ] insegnano che « l'appetito obbedisce alla ragione ».
Quindi comandare è compito della ragione.
Comandare è un atto della ragione, presupposto però un atto della volontà.
Per averne l'evidenza si deve considerare che l'atto della volontà può essere preceduto da quello della ragione, e viceversa: poiché gli atti della volontà e della ragione possono reciprocamente riflettere su se stessi, in quanto la ragione ragiona sul volere, e la volontà vuole il raziocinare.
E poiché la virtualità dell'atto antecedente perdura nell'atto che segue, si hanno talvolta degli atti di volontà in cui rimane virtualmente qualche elemento degli atti della ragione, come si è detto a proposito dell'uso [ q. 16, a. 1 ] e della scelta [ q. 13, a. 1 ]; e viceversa ci sono degli atti della ragione in cui virtualmente rimane qualche elemento dell'atto della volontà.
Ora, comandare è essenzialmente un atto della ragione: infatti chi comanda ordina colui al quale comanda a compiere qualcosa, mediante un'intimazione o dichiarazione; e ordinare sotto forma di intimazione è proprio della ragione.
Ma la ragione può intimare o dichiarare una cosa in due modi.
Primo, in termini assoluti: e tale intimazione si esprime col verbo nel modo indicativo, come se a una persona si dicesse: « Questo è per te il da farsi ».
Altre volte invece la ragione intima una data cosa muovendo verso di essa: e tale intimazione si esprime col verbo di modo imperativo, come quando si dice a uno: « Fa' questo ».
Ora, tra le facoltà dell'anima il primo motore nell'esercizio dell'atto è la volontà, come si è spiegato [ q. 9, a. 1 ].
E poiché il secondo non muove che in virtù del primo, ne segue che la mozione imperativa della ragione deriva dalla volontà.
Quindi rimane stabilito che comandare è un atto della ragione, presupposto un atto della volontà in forza del quale la ragione muove col comando all'esercizio dell'atto.
1. Comandare non è una mozione qualsiasi, ma è un muovere mediante un'intimazione diretta a qualcuno.
E questo è proprio della ragione.
2. Radice della libertà come soggetto è la volontà, ma come causa è la ragione.
Infatti la volontà può liberamente indirizzarsi a cose diverse perché la ragione è capace di concepire beni diversi.
Quindi i filosofi [ Boezio, In Arist. de Int. 3, Comm. Maior ] definiscono il libero arbitrio « un libero giudizio dovuto alla ragione », come per indicare che la ragione è la causa della libertà.
3. L'argomento dimostra che il comando è un atto della ragione non in modo esclusivo, ma in dipendenza da una mozione, come si è spiegato [ nel corpo ].
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