Summa Teologica - I-II

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Articolo 9 - Se ci possano essere degli atti individuali indifferenti

In 1 Sent., d. 1, q. 3, ad 3; In 2 Sent., d. 40, q. 1, a. 5; In 4 Sent., d. 26, q. 1, a. 4; De Malo, q. 2, a. 5

Pare che ci possano essere degli atti individuali indifferenti.

Infatti:

1. Non vi è nessuna specie che non conti o non possa contare qualche individuo.

Ma ci sono degli atti specificamente indifferenti, come si è dimostrato [ a. 8 ].

Quindi ci possono essere degli atti individuali indifferenti.

2. Da atti individuali vengono causati abiti ad essi conformi, come dice Aristotele [ Ethic. 2,1 ].

Ma ci sono degli abiti indifferenti.

Infatti il Filosofo nell'Etica [ 4,1 ] parla di alcuni che non sarebbero cattivi, come i placidi e i prodighi, e tuttavia consta che non sono buoni, scostandosi essi dalla virtù: quindi secondo l'abito sono indifferenti.

Quindi certi atti individuali sono indifferenti.

3. Il bene morale si riferisce alla virtù, e il male morale al vizio.

Ma può capitare che l'uomo non ordini a un fine vizioso o virtuoso un atto specificamente indifferente.

Quindi qualche atto individuale può essere indifferente.

In contrario:

S. Gregorio [ In Evang. 1, hom. 6 ] ha scritto: « È oziosa quella parola che manca di rettitudine, o non è motivata da vera necessità, o da pia utilità ».

Ma le parole oziose sono cattive, poiché « di esse gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio », come dice il Vangelo [ Mt 12,36 ].

Se invece una parola non manca di vera necessità, o pia utilità, è buona.

Quindi ogni parola o è buona o è cattiva.

E per lo stesso motivo ogni altro atto o è buono o è cattivo.

Quindi nessun atto individuale è indifferente.

Dimostrazione:

Può capitare che un atto sia indifferente secondo la specie, mentre invece è buono o cattivo se viene considerato nella sua individualità o concretezza.

E questo perché l'atto morale, come si è detto [ a. 3 ], desume la sua bontà non solo dall'oggetto che lo specifica, ma anche dalle circostanze, che ne formano come gli accidenti: al modo stesso in cui competono a un uomo, in forza degli accidenti individuanti, delle qualifiche che non gli competono in forza della sua specie.

Ed è inevitabile che ciascun atto concreto e individuale abbia qualche circostanza che lo renda buono o cattivo, almeno dalla parte dell'intenzione del fine.

Infatti la ragione ha il compito di ordinare: se quindi un atto dipendente dalla sua deliberazione non è ordinato al debito fine, per ciò stesso ripugna alla ragione ed è cattivo.

Se invece l'atto è ordinato al debito fine, allora concorda con l'ordine della ragione, e quindi è buono.

Ora, è inevitabile che esso sia o non sia ordinato al debito fine.

E così è necessario che ogni atto umano, dipendente dalla deliberazione della ragione, nella sua individualità sia buono o cattivo.

Se invece l'atto non dipende dalla deliberazione della ragione, ma da una semplice immaginazione, come quando uno si gratta la barba, o muove la mano o il piede, tale atto non è, propriamente parlando, un atto morale o umano: poiché gli atti devono questa qualifica alla ragione.

Sarà quindi un atto indifferente in quanto estraneo al genere degli atti morali.

Analisi delle obiezioni:

1. L'affermazione che un atto è specificamente indifferente può essere intesa in più modi.

Primo, nel senso che tale indifferenza gli è dovuta essenzialmente in forza della sua specie.

E la obiezioni si basa su questa interpretazione.

Ma in questo senso nessun atto è indifferente nella sua specie: infatti non esiste un atto umano che non possa essere ordinato o al bene o al male, in forza del fine o delle circostanze.

- Secondo, nel senso che l'atto può essere indifferente per la sua specie in quanto non ha bontà o malizia in base alla sua specie.

Per cui può diventare buono o cattivo in base a qualcos'altro.

E in questo senso l'uomo non deve alla sua specie il suo colore bianco o nero, tuttavia la sua specie non lo costringe a non essere né bianco né nero.

Infatti il colore bianco o nero può venire determinato nell'uomo in forza di princìpi diversi da quelli della specie.

2. Il Filosofo dice che è cattivo, propriamente, chi nuoce ad altri uomini.

E in questo senso afferma che il prodigo non è cattivo, poiché non nuoce che a se stesso.

E la stessa cosa vale per tutti coloro che non sono nocivi al prossimo.

Noi invece qui chiamiamo cattivo in senso generale tutto ciò che ripugna alla retta ragione.

E in questo senso ogni atto individuale è o buono o cattivo, come si è spiegato [ nel corpo ].

3. Qualsiasi fine perseguito dalla ragione deliberante appartiene al bene proprio di una virtù o al male di un vizio.

Poiché il fatto stesso di agire ordinatamente per il sostentamento o per il riposo del proprio corpo è ordinato al bene onesto, in colui che ordina il proprio corpo alla virtù.

E così negli altri casi.

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