Summa Teologica - I-II |
II-II, q. 23, a. 7; In 3 Sent., d. 27, q. 2, a. 4, sol. 3, ad 1; d. 36, q. 1, a. 2; De Virt., q. 5, a. 2
Pare che le virtù morali possano esistere senza la carità.
1. Nelle Sentenze di S. Prospero [ 7 ] si legge che « ogni virtù, eccetto la carità, può essere comune ai buoni e ai malvagi ».
Ma « la carità non può trovarsi che nei buoni », come si afferma nello stesso luogo.
Quindi è possibile avere le altre virtù senza la carità.
2. Come insegna Aristotele [ Ethic. 2,1 ], le virtù morali si possono acquistare con gli atti umani; invece la carità si ha solo per infusione, secondo l'insegnamento di S. Paolo [ Rm 5,5 ]: « L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato ».
Perciò si possono avere le altre virtù senza la carità.
3. Le virtù morali sono connesse tra loro in quanto dipendono dalla prudenza.
Ma la carità non dipende dalla prudenza, anzi, la trascende, secondo l'espressione di S. Paolo [ Ef 3,19 ]: « L'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza ».
Quindi le virtù morali non sono connesse con la carità, ma possono esistere senza di essa.
Sta scritto [ 1 Gv 3,14 ]: « Chi non ama rimane nella morte ».
Ma le virtù danno compimento alla vita spirituale: infatti sono esse « che fanno vivere rettamente », come dice S. Agostino [ De lib. arb. 2,19.51 ].
Quindi non possono esistere senza l'amore di carità.
Come si è già detto [ q. 63, a. 2 ], le virtù morali, in quanto si limitano a compiere il bene in ordine a un fine che non supera la capacità naturale dell'uomo, possono essere acquisite con l'industria umana.
E così acquisite possono esistere senza la carità: come si trovarono in molti pagani.
- Ma nella misura in cui sono fatte per compiere il bene in ordine al fine ultimo soprannaturale, allora raggiungono perfettamente e realmente la natura di virtù; e non possono essere acquisite con azioni umane, ma sono infuse da Dio.
E queste virtù morali non possono esistere senza la carità.
Infatti sopra [ a. 1; q. 58, aa. 4,5 ] abbiamo dimostrato che le altre virtù morali non possono esistere senza la prudenza; e la prudenza d'altra parte non può esistere senza le virtù morali, poiché le virtù morali danno la buona predisposizione rispetto a determinati fini, dai quali ha inizio il procedimento della prudenza.
Ora, per avere il retto procedere della prudenza è assai più richiesta la buona disposizione rispetto all'ultimo fine, prodotta dalla carità, che non la buona disposizione rispetto agli altri fini, prodotta dalle virtù morali: come in campo speculativo la retta ragione ha bisogno soprattutto del primo principio indimostrabile, che cioè « le cose contraddittorie non possono essere simultaneamente vere ».
Per cui è evidente che non possono esistere senza la carità né la prudenza infusa né, di conseguenza, le altre virtù morali, che non possono esistere senza la prudenza.
Da ciò risulta dunque che le sole virtù infuse sono perfette, e da considerarsi virtù in senso assoluto: poiché esse [ soltanto ] ordinano l'uomo al fine propriamente ultimo.
Le altre virtù invece, cioè quelle acquisite, sono virtù sotto un certo aspetto, ma non in senso assoluto: esse infatti dispongono bene l'uomo rispetto a dei fini che sono ultimi in un dato genere, ma non rispetto al fine che è ultimo assolutamente.
Per cui la Glossa [ ord. ] di S. Agostino, commentando quel passo di S. Paolo [ Rm 14,23 ]: « Tutto quello che non viene dalla fede è peccato », scrive: « Dove manca la conoscenza della verità, la virtù è falsa anche se corredata di ottimi costumi ».
1. In quel testo si parla della virtù imperfetta.
Altrimenti, se la virtù morale venisse considerata nella sua perfetta ragione di virtù, « renderebbe buono chi la possiede » [ cf. q. 55, a. 3, s.c. ]; per cui non potrebbe trovarsi nei malvagi.
2. L'argomento vale per le virtù morali acquisite.
3. Sebbene la carità trascenda la scienza e la prudenza tuttavia, come si è detto [ nel corpo ], la prudenza, e conseguentemente tutte le virtù morali infuse, dipendono dalla carità.
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