Summa Teologica - I-II |
In 4 Sent., d. 33, q. 1, a. 1
Pare che non vi sia in noi una legge naturale.
1. L'uomo viene governato dalla legge eterna: poiché, come insegna S. Agostino [ De lib. arb. 1,6.14 ], « è la legge eterna a stabilire con giustizia che tutte le cose siano nel massimo ordine ».
Ora, come la natura non manca del necessario, così non abbonda nel superfluo.
Perciò non esiste nell'uomo una legge naturale.
2. La legge ordina gli atti umani al loro fine, come si è detto [ q. 90, a. 2 ].
Ma l'ordine degli atti umani al fine non deriva dalla natura, come avviene nelle creature prive di ragione, che agiscono per il fine guidate dal solo appetito naturale: l'uomo infatti agisce per un fine mediante la ragione e la volontà.
Quindi nell'uomo non c'è una legge naturale.
3. Quanto più uno è libero, tanto meno è soggetto alla legge.
Ma l'uomo è più libero di tutti gli animali, in forza del libero arbitrio, che gli animali non hanno.
Non essendo quindi gli altri animali soggetti a una legge naturale, non deve esservi soggetto neppure l'uomo.
Spiegando quel testo di S. Paolo [ Rm 2,14 ]: « Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge », la Glossa [ ord. ] afferma: « Sebbene non abbiano la legge scritta, hanno però la legge naturale, mediante la quale ognuno intende e sa qual è il bene e qual è il male ».
Essendo la legge, come si è detto [ q. 90, a. 1, ad 1 ], una regola o misura, in due modi si può trovare in un soggetto: primo, come in un principio regolante e misurante; secondo, come in una cosa regolata e misurata, poiché quest'ultima viene regolata e misurata in quanto partecipa della regola o misura.
Ora, poiché tutte le cose soggette alla divina provvidenza sono regolate e misurate dalla legge eterna, come si è visto [ a. prec. ], è chiaro che tutte le cose partecipano più o meno della legge eterna, inquantoché dal suo influsso ricevono un'inclinazione ai propri atti e ai propri fini.
Ora, fra tutti gli altri esseri la creatura razionale è soggetta alla divina provvidenza in una maniera più eccellente, poiché ne partecipa col provvedere a se stessa e agli altri.
Per cui anche in essa si ha una partecipazione della ragione eterna, da cui deriva una inclinazione naturale verso l'atto e il fine dovuto.
E questa partecipazione della legge eterna nella creatura razionale prende il nome di legge naturale.
Per cui il Salmista [ Sal 4,6 ], dopo aver detto: « Offrite sacrifici di giustizia », quasi per rispondere al quesito di chi cerca le opere della giustizia: « Molti dicono: chi ci farà vedere il bene? », così risponde: « Quale sigillo è impressa su di noi la luce del tuo volto, o Signore »; come per dire che la luce della ragione naturale, che ci permette di discernere quale sia il bene e il male, non è altro che un'impronta della luce divina in noi.
Per cui è evidente che la legge naturale non è altro che la partecipazione della legge eterna nella creatura razionale.
1. L'argomento sarebbe valido se la legge naturale fosse qualcosa di diverso dalla legge eterna.
Essa invece, come si è visto [ nel corpo ], non è che una sua partecipazione.
2. Tutti gli atti della ragione e della volontà derivano in noi, come si è detto [ q. 10, a. 1 ], da ciò che è secondo natura: infatti ogni raziocinio deriva dai primi princìpi noti per natura, e ogni appetito riguardante i mezzi deriva dall'appetito naturale del fine ultimo.
E così anche il primo orientamento dei nostri atti verso il fine avviene mediante la legge naturale.
3. Anche gli animali privi di ragione partecipano a loro modo la legge eterna, come le creature razionali.
Siccome però le creature razionali la partecipano mediante l'intelletto e la ragione, questa partecipazione viene detta legge in senso proprio.
Infatti la legge, come sopra [ q. 90, a. 1 ] si è detto, appartiene alla ragione.
Invece le creature irrazionali non ne partecipano mediante la ragione: per cui nel loro caso non si può parlare di legge se non in senso metaforico.
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