Summa Teologica - I-II |
Infra, q. 95, a. 1
Pare che non esista una legge umana.
1. La legge naturale, come si è visto [ q. prec. ], è una partecipazione della legge eterna.
Ma in forza della legge eterna « tutte le cose sono massimamente ordinate », come dice S. Agostino [ De lib. arb. 1,6.14 ].
Quindi basta la legge naturale per mettere ordine in tutte le cose umane.
Non è dunque necessario che vi sia una legge umana.
2. Si è detto [ q. 90, a. 1 ] che la legge ha funzione di misura.
Ma la ragione umana non è la misura delle cose, essendo piuttosto vero il contrario, come nota Aristotele [ Met. 10,1 ].
Perciò dalla ragione umana non può derivare alcuna legge.
3. La misura deve essere certissima, come dice Aristotele [ ib. ].
Invece i suggerimenti della ragione umana sulle azioni da compiere sono incerti, come nota la Scrittura [ Sap 9,14 ]: « I ragionamenti dei mortali sono timidi, e incerte le nostre riflessioni ».
Quindi dalla ragione umana non può derivare alcuna legge.
S. Agostino [ De lib. arb. 1, cc. 6,15 ] distingue due leggi, l'una eterna e l'altra temporale, che egli fa coincidere con quella umana.
Come si è già spiegato [ q. 90, a. 1, ad 2 ], la legge è un dettame della ragione pratica.
Ora, nella ragione pratica e in quella speculativa si riscontrano procedimenti analoghi: infatti l'una e l'altra, come si è visto [ q. 90, a. 1, ad 2 ], partendo da alcuni princìpi arrivano a delle conclusioni.
Stando perciò a questa analogia, come in campo speculativo dai primi princìpi indimostrabili, naturalmente conosciuti, si producono in noi le conclusioni delle varie scienze, di cui non abbiamo una conoscenza innata, ma che sono frutto della ricerca razionale, così è necessario che la ragione umana dai precetti della legge naturale, come da princìpi universali e indimostrabili, arrivi a disporre delle cose in maniera più particolareggiata.
E queste particolari disposizioni, elaborate dalla ragione umana, vengono dette leggi umane, se si riscontrano le altre condizioni richieste per la nozione di legge, come si è detto sopra [ q. 90, aa. 2 ss. ].
Per cui Cicerone [ De invent. 2,53 ] scrive che « la prima origine del diritto prese inizio dalla natura; quindi certe disposizioni, per il giudizio favorevole della ragione, passarono in consuetudine; e finalmente queste cose, derivanti dalla natura e confermate dalla consuetudine, furono sancite dal timore e dalla santità delle leggi ».
1. La ragione umana non è in grado di partecipare il dettame della mente divina in modo pieno, ma solo a suo modo e imperfettamente.
Come quindi in campo speculativo c'è in noi una conoscenza di certi princìpi universali mediante una partecipazione naturale della divina sapienza, ma non la scienza peculiare di qualsiasi verità come si trova nella sapienza di Dio, così anche in campo pratico l'uomo è partecipe naturalmente della legge eterna secondo certi princìpi universali, ma non secondo le direttive particolari dei singoli atti, che tuttavia sono contenute nella legge eterna.
Perciò è necessario che la legge umana passi a stabilire particolari decreti legali.
2. La ragione umana di per sé non è regola o misura delle cose, però in essa sono innati certi princìpi che sono regole o misure generali delle azioni che l'uomo deve compiere, e di cui la ragione naturale è regola e misura, sebbene non lo sia di quelle cose che derivano dalla natura.
3. La ragione pratica ha per oggetto solo le azioni da compiere, che sono singolari e contingenti, e non le realtà necessarie, oggetto della ragione speculativa.
Perciò le leggi umane non possono avere l'infallibilità che hanno le conclusioni delle scienze speculative.
E neppure è necessario che ogni misura sia del tutto infallibile e certa, ma basta che lo sia secondo che il suo genere comporta.
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