Summa Teologica - I-II |
In 3 Sent., d. 30, q. 1, a. 5; In 4 Sent., d. 49, q. 1, a. 4, sol. 4; q. 5, a. 1; De Verit., q. 14, a. 5, ad 5; De Pot., q. 6, a. 9; In Rom., c. 8, lect. 5; In 1 Tim., c. 4, lect. 2; In Hebr., c. 6, lect. 3
Pare che la grazia non sia il principio del merito più attraverso la carità che attraverso le altre virtù.
1. La mercede è dovuta alle opere, secondo l'espressione evangelica [ Mt 20,8 ]: « Chiama gli operai e dà loro la paga ».
Ma qualsiasi virtù è principio di operazione essendo essa, come si è spiegato in precedenza [ q. 55, a. 2 ], un abito operativo.
Perciò tutte le virtù sono ugualmente meritorie.
2. L'Apostolo [ 1 Cor 3,8 ] afferma: « Ciascuno riceverà la sua mercede secondo il proprio lavoro ».
Ora, la carità non fa aumentare, ma piuttosto fa diminuire la fatica: poiché, come scrive S. Agostino [ Serm. 70,3 ], « tutte le cose dure e terribili l'amore le rende facili e quasi insignificanti ».
Quindi la carità non è principio del merito più delle altre virtù.
3. La virtù che più di ogni altra è principio del merito deve essere quella i cui atti sono più meritori.
Ma gli atti più meritori sono quelli della fede e della pazienza, ossia della fortezza: come è evidente nei martiri, i quali per la fede hanno combattuto con pazienza e con fortezza fino alla morte.
Quindi ci sono altre virtù più meritorie della carità.
Il Signore [ Gv 14,21 ] afferma: « Chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui ».
Ora, la manifesta conoscenza di Dio non è altro che la vita eterna, secondo le parole evangeliche [ Gv 17,3 ]: « Questa è la vita eterna, che conoscano te, l'unico vero Dio ».
Quindi il merito della vita eterna risiede soprattutto nella carità.
Da quanto abbiamo detto [ a. 1 ] si può rilevare che l'atto umano desume da due fonti il suo aspetto meritorio: in modo primario e principale dalla preordinazione divina, secondo che l'atto viene detto meritorio di quel bene al quale l'uomo è ordinato da Dio; secondariamente dal libero arbitrio, in quanto cioè l'uomo, a differenza delle altre creature, ha la padronanza dei propri atti, agendo volontariamente.
E in rapporto a queste due cose il merito risiede principalmente nella carità.
Si deve infatti considerare innanzi tutto che la vita eterna consiste nella fruizione di Dio.
Ora, il moto dell'anima umana verso la fruizione del bene divino è l'atto proprio della carità, mediante il quale tutti gli atti delle altre virtù sono ordinati a questo fine, nella misura in cui tali virtù sono sottomesse all'impulso della carità.
Perciò il merito della vita eterna appartiene prima di tutto alla carità; alle altre virtù invece secondariamente, inquantoché i loro atti sono comandati dalla carità.
Così pure è evidente che quanto facciamo per amore lo facciamo con la massima volontarietà.
Richiedendosi quindi nel merito la volontarietà, è soprattutto alla carità che va attribuito il merito.
1. La carità, avendo per oggetto il fine ultimo, muove le altre virtù ad agire.
Infatti un abito che ha per oggetto il fine comanda sempre a quelli che hanno per oggetto i mezzi, come sopra [ q. 9, a. 1 ] si è visto.
2. Un atto può essere faticoso e difficile per due motivi.
Primo, per la grandezza dell'opera da compiere.
E allora il peso della fatica ne aumenta il merito.
E in questo senso la carità non diminuisce la fatica, anzi, spinge ad affrontare le più grandi imprese: come infatti dice S. Gregorio [ In Evang. hom. 30 ], « essa compie grandi cose, se occorre ».
- Secondo, per la poca virtù di colui che agisce: poiché uno trova faticoso e difficile ciò che non compie con prontezza di volontà.
E questa fatica diminuisce il merito; ed è eliminata dalla carità.
3. L'atto della fede non è meritorio se la fede non « opera per mezzo della carità », come dice S. Paolo [ Gal 5,6 ].
- E così pure non sono meritori gli atti della pazienza e della fortezza se non vengono compiuti sotto la mozione della carità; poiché sta scritto [ 1 Cor 13,3 ]: « Se dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità, niente mi giova ».
Indice |