Summa Teologica - II-II |
In 1 Sent., d. 17, q. 1, a. 1; De Virt., q. 2, a. 1
Pare che la carità non sia qualcosa di creato nell'anima.
1. S. Agostino [ De Trin. 8,12 ] afferma: « Chi ama il prossimo viene ad amare l'amore medesimo.
Ma Dio è amore. Quindi egli viene ad amare soprattutto Dio ».
E altrove [ De Trin. 15,17.30 ]: « L'affermazione che Dio è carità è parallela a quella che Dio è spirito ».
Quindi la carità non è qualcosa di creato nell'anima, ma è Dio stesso.
2. Dio è spiritualmente la vita dell'anima, come l'anima è la vita del corpo, secondo l'espressione della Scrittura [ Dt 30,20 ]: « Egli è la tua vita ».
Ma l'anima vivifica il corpo direttamente.
Perciò Dio vivifica l'anima direttamente.
Ma la vivifica mediante la carità, come dice S. Giovanni [ 1 Gv 3,14 ]: « Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli ».
Quindi la carità è Dio stesso.
3. Niente di creato ha una virtù infinita, ma piuttosto ogni creatura è vanità.
Ora, la carità non è vanità, ma piuttosto si contrappone ad essa; e ha una virtù infinita, poiché porta l'anima umana a un bene infinito.
Perciò la carità non è qualcosa di creato nell'anima.
S. Agostino [ De doctr. christ. 3,10.14 ] scrive: « Chiamo carità il moto dell'animo che tende a fruire di Dio per se stesso ».
Ma il moto dell'animo è qualcosa di creato nell'anima.
Quindi anche la carità è qualcosa di creato nell'anima.
Il Maestro delle Sentenze esamina questo problema nel primo libro [ dist. 17 ], e afferma che la carità non è qualcosa di creato nell'anima, ma lo Spirito Santo medesimo che abita in essa.
Però egli non intende dire che il moto del nostro amore verso Dio sia lo Spirito Santo, ma che questo moto di amore proviene dallo Spirito Santo senza il soccorso di un abito, come invece avviene per gli altri atti virtuosi prodotti dallo Spirito Santo mediante gli abiti delle virtù, p. es. mediante la speranza, la fede, o qualsiasi altra virtù.
E diceva questo a motivo dell'eccellenza della carità.
Se però uno considera bene la cosa, ciò risulta piuttosto a detrimento della carità.
Infatti il moto della carità non deriva dallo Spirito Santo in modo che la mente umana non sia in alcun modo principio di tale moto, come quando un corpo subisce il moto da un motore esterno.
Poiché ciò sarebbe contro la natura dell'atto volontario, il quale esige di avere in se stesso il proprio principio, come sopra [ I-II, q. 6, a. 1 ] si è detto.
Per cui ne seguirebbe che amare non sarebbe un atto volontario.
Il che è contraddittorio: dal momento che l'amore è essenzialmente un atto della volontà.
- E similmente non si può neppure affermare che lo Spirito Santo muove la volontà ad amare come se questa fosse uno strumento, il quale, pur essendo principio dell'atto, non ha tuttavia in sé la capacità di agire o di non agire.
Così infatti si eliminerebbe la volontarietà e si escluderebbe il merito: mentre sopra [ I-II, q. 114, a. 4 ] si è dimostrato che l'amore di carità è la radice del merito.
- È invece necessario che la volontà sia mossa dallo Spirito Santo in modo da essere essa stessa la causa di tale atto.
Ora, nessun atto può essere prodotto perfettamente da una potenza attiva se non gli è connaturale mediante una forma che ne sia il principio operativo.
Per cui Dio, che muove tutti gli esseri al debito fine, ha posto in ciascuno di essi delle forme che danno loro l'inclinazione verso i fini da lui prestabiliti: ed è in questo senso che Dio, come dice la Scrittura [ Sap 8,1 ], « dispone tutto con soavità ».
Ora, è evidente che l'atto della carità sorpassa la natura della potenza volitiva.
Se quindi alla potenza naturale non si aggiungesse una forma che la pieghi all'atto dell'amore, tale atto rimarrebbe più imperfetto degli atti naturali e degli atti delle altre virtù; e inoltre non sarebbe né facile, né piacevole.
Ma ciò è evidentemente falso: poiché nessuna virtù ha tanta inclinazione al proprio atto quanto la carità, e nessuna opera con tanto godimento.
Perciò l'atto della carità richiede più di ogni altro che esista in noi una forma aggiunta alla potenza naturale che la pieghi all'atto della carità, e la faccia agire con prontezza e diletto.
1. L'essenza divina è per se stessa carità, come è anche sapienza e bontà.
Come quindi si può dire che noi siamo buoni della bontà che è Dio e sapienti della sapienza che è Dio - poiché la bontà che ci rende formalmente buoni è una partecipazione della bontà divina, e la sapienza che ci rende formalmente sapienti è una partecipazione della sapienza divina -, così [ si può anche dire che ] la carità con la quale formalmente amiamo il prossimo è una partecipazione della carità divina.
E questo modo di parlare è abituale presso i platonici, alle cui dottrine si era formato S. Agostino.
Di conseguenza alcuni, non riflettendo su questo fatto, dalle sue parole presero occasione di sbagliare.
2. Dio è la vita dell'anima mediante la carità e del corpo mediante l'anima come causa efficiente; ma come causa formale la vita dell'anima è la carità e la vita del corpo è l'anima.
Per cui da ciò si può concludere che la carità si unisce immediatamente all'anima come l'anima si unisce al corpo.
3. La carità opera come forma.
Ma l'efficacia di una forma dipende dalla virtù della causa agente che induce la forma.
Se quindi la carità non è vanità, ma produce un effetto infinito unendo l'anima con Dio mediante la giustificazione, ciò dimostra l'infinità della virtù di Dio che ne è l'autore.
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