Contro Giuliano |
Dal mio libro tu citi altre parole con cui, dopo avere ricordato, sulla testimonianza dell'Apostolo, che la castità coniugale è un dono di Dio, non ho voluto passare sotto silenzio la questione che ne derivava, quella cioè riguardante il matrimonio di taluni infedeli che vivono castamente con le loro mogli.7
Per negare che le virtù con le quali si vive rettamente sono un dono di Dio e per attribuirle non alla grazia, ma alla natura umana, siete soliti ricorrere all'argomento che taluni infedeli le posseggono.
Cercate in tal modo di svuotare la nostra convinzione che nessuno può vivere rettamente se non trae forza dalla fede per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro, unico Mediatore tra Dio e gli uomini, dimostrandovi, di conseguenza, suoi manifesti avversari.
Ma non andiamo lontano. Se per caso sbaglio, rispondimi.
Io ho detto: "Non può essere chiamato veramente casto chi conserva la fedeltà alla moglie ma non per il Dio vero".
Per dimostrartelo mi sono servito di quello che mi è sembrato un ottimo argomento.
Scrivevo così: "Se la castità è una virtù cui si oppone il vizio della impudicizia e, se tutte le virtù, anche quelle che vengono praticate attraverso il corpo, dimorano nell'animo, come si può dire veramente casto il corpo, quando l'anima si prostituisce lontano dal vero Dio?".8
Perché nessuno di voi negasse che l'anima degli infedeli si prostituisce lontano da Dio, mi sono servito di una testimonianza della Sacra Scrittura: Quelli che si allontanano da te periranno; hai mandato in rovina chiunque si prostituisce lontano da te. ( Sal 73,27 )
Ma tu, che "persegui, come dici, le mie argomentazioni che a me sembrano molto acute", hai saltato del tutto questa, come se a me fosse sembrata stupida.
Vedi un po' quale di queste cose si deve negare.
Certamente confesserai subito che la castità coniugale è una virtù e non negherai che tutte le virtù, anche quelle che vengono praticate attraverso il corpo, dimorano nell'animo.
Che l'animo dell'infedele si prostituisca lontano da Dio, lo può negare solo chi apertamente si professa nemico della Sacra Scrittura.
Da tutto questo, in sintesi, si deduce che ci può essere vera pudicizia nell'anima che si prostituisce, cosa di cui tu stesso vedi l'assurdità, oppure che nell'anima dell'infedele non ci può essere vera castità.
Quando dico questo, però, tu fai il sordo.
Non è vero, dunque, come mi vai calunniando, che io "lodo i doni per disprezzare la sostanza".
Se la sostanza umana, di cui i vizi stessi offrono una testimonianza della sua bontà naturale, non fosse buona, non sarebbe capace dei doni divini.
Cos'altro infatti giustamente dispiace nel vizio, se non il fatto che sottrae o sminuisce quello che nella natura piace?
Quando l'uomo dunque viene aiutato da Dio, "non viene aiutato soltanto per conseguire la perfezione", come hai scritto, presupponendo naturalmente che egli inizi senza la grazia il cammino che la grazia perfeziona, ma viene aiutato piuttosto secondo quanto afferma l'Apostolo: Chi in voi ha iniziato l'opera buona, la perfezionerà fino al compimento. ( Fil 1,6 )
Tu vuoi che l'uomo si glori del libero arbitrio e non di Dio quando, come tu dici, "è spinto dagli stimoli del suo cuore generoso a fare qualcosa di lodevole".
Ma così, se egli deve dare prima per ricevere dopo, la grazia non è più grazia, poiché non è gratuita.
Tu dici che "la natura degli uomini, che merita l'aiuto di tale grazia, è buona".
Ti sarei grato se ti sentissi dire che questo avviene perché la natura è ragionevole: la grazia di Dio, infatti, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore non è concessa alle pietre, al legno ed agli animali.
L'uomo merita la grazia perché è immagine di Dio, ma non nel senso che la buona volontà possa andare avanti senza la grazia, o che possa dar prima per ricevere poi, sicché la grazia non sarebbe più grazia ( Rm 11,6.35 ) appunto perché non donata gratuitamente ma restituita dovutamente.
Che significa poi che, alla vostra maniera, avete creduto che "ho chiamato dono celeste l'effetto della volontà umana", come se la volontà umana si potesse muovere verso il bene senza la grazia di Dio, sicché gli venisse retribuito da Dio l'effetto dovuto?
A tal punto avete dimenticato che con la Sacra Scrittura noi diciamo contro di voi: La volontà viene preparata da Dio ( Pr 8, 5 ) e: È Dio, infatti, che suscita in noi anche il volere?
O ingrati alla grazia di Dio! O nemici della grazia di Cristo e cristiani solo di nome!
Non prega forse la Chiesa per i suoi nemici? E cosa chiede?
Se ad essi deve essere retribuito secondo il valore della loro volontà, cos'altro può chiedere per essi se non un grande castigo?
Ma questo è andare contro di essi, non a loro favore.
La Chiesa invece prega per essi, non perché abbiano già la volontà buona, ma perché la loro cattiva volontà si muti in buona.
La volontà infatti viene preparata da Dio, ed è Lui, come scrive l'Apostolo, che suscita in voi anche il volere. ( Fil 2,13 )
Acerrimi nemici qual siete di questa grazia, ci obiettate l'esempio degli empi che, voi dite, "benché estranei alla fede, abbondano di virtù; in essi non c'è l'aiuto di Dio, ma solo il bene di natura, pur se talvolta inficiato da superstizioni, eppure con le sole forze della libertà ingenita spesso sono misericordiosi, modesti, casti, sobri".
Così dicendo hai sottratto alla grazia di Dio anche quello che prima le attribuivi, vale a dire l'effetto della volontà.
Non hai detto infatti che essi vorrebbero essere misericordiosi, modesti, casti, sobri e non lo sono proprio perché non hanno ancora avuto dalla grazia l'effetto della buona volontà, ma affermi semplicemente che se vogliono esserlo lo sono senz'altro.
In essi evidentemente troviamo la volontà e l'effetto della volontà.
Cosa rimane alla grazia di Dio in tante evidenti virtù che, a tuo avviso, abbondano in essi?
Quanto sarebbe stato meglio, se ti piace lodare gli empi senza ascoltare le parole della Scrittura: Chi dice al colpevole: "Sei innocente" sarà maledetto dai popoli, sarà esecrato dalle nazioni, ( Pr 24,24 ) e predicare che essi abbondano di vere virtù?
Quanto sarebbe stato meglio riconoscere che anche queste virtù sono un dono di Dio, al cui decreto occulto ma non ingiusto si deve attribuire se taluni nascono stolti o lentissimi d'ingegno e addirittura ottusi nel capire, se altri nascono smemorati, altri forniti di intelligenza o di memoria o di entrambi i doni, tali da poter acutamente comprendere le cose e quindi conservarle nello scrigno di una tenacissima memoria?
A Dio si deve altresì se taluni sono remissivi di natura, mentre altri sono molto irascibili anche per futili motivi, e se altri, fra questi estremi, pongono un giusto limite alla bramosia della vendetta; se taluni sono impotenti, o talmente freddi al coito da non essere quasi eccitati, mentre altri sono tanto focosi da non potersi frenare ed altri, fra entrambi gli eccessi, sono capaci di eccitarsi e di frenarsi; se taluni sono molto timidi, altri coraggiosissimi ed altri né l'una né l'altra cosa; così pure se alcuni sono ilari, altri tristi ed altri non inclini né all'una né all'altra cosa.
Tutto questo non è attribuito a decisioni o propositi, ma alla natura, tanto che i medici osano attribuirlo alla costituzione fisica.
Anche se si potesse provare che non esiste questione o è già chiusa, si può forse dire che ciascuno ha creato il proprio corpo e può attribuirsi alla volontà di ciascuno il fatto di soffrire in misura maggiore o minore di questi mali naturali?
Certamente, infatti, nessuno, mentre vive quaggiù, in nessuna maniera e per nessun motivo può non patirli.
Pur tuttavia, sia se si è gravati da grandi o da piccoli mali, non è lecito dire a colui che si è fatto da sé, anche se onnipotente, giusto e buono: Perché mi hai fatto così? ( Is 45,9; Rm 9,20 )
Nessuno, se non il secondo Adamo, può liberare dal giogo che grava sui figli del primo Adamo. ( Sir 40,1 )
Quanto sarebbe più accettabile attribuire quelle, che negli infedeli chiami virtù, al dono di Dio più che alla loro volontà soltanto.
Essi però lo ignoreranno fino a quando, se sono del numero dei predestinati, riceveranno da Dio lo spirito per capire i doni ricevuti da Dio. ( 1 Cor 2,12 )
Non può esserci vera virtù senza vera giustizia, né può esserci vera giustizia se non si vive di fede.
È scritto infatti: Il giusto vive di fede. ( Rm 1,17 )
Chi mai tra coloro che vogliono essere ritenuti cristiani, eccetto i soli pelagiani, o eccetto tu solo forse tra i pelagiani, potrà dichiarare giusto un infedele, giusto un empio, giusto uno che appartiene al diavolo?
E questo sia che si tratti di Fabrizio, di Fabio, di Scipione o di Regolo, col nome dei quali hai creduto di spaventarmi come se ci trovassimo in una antica curia romana.
Su questo argomento puoi anche appellarti alla scuola di Pitagora o di Platone, nella quale uomini eccezionalmente eruditi in una filosofia molto più nobile delle altre sostenevano che non esistono vere virtù, se non quelle impresse in certo modo nella mente dalla forma di quella eterna ed immutabile sostanza che è Dio.
Ebbene, con tutta la forza che mi è data, anche nell'interno di questa scuola continuerò a gridare con la libertà della pietà che neppure in quei filosofi c'è vera giustizia.
Il giusto vive di fede. La fede nasce dalla predicazione e la predicazione ha luogo per mezzo della parola di Cristo.
Il termine della legge è Cristo, affinché chiunque creda consegua la giustificazione. ( Rm 10,4.17 )
Come possono essere veramente giusti coloro per i quali è viltà l'umiltà del vero Giusto?
La superbia li ha allontanati dal punto dove li aveva avvicinati l'intelligenza, poiché pur avendo conosciuto Dio, né gli diedero gloria, come a Dio, né gli resero grazie, ma vaneggiarono nei loro ragionamenti ed il loro cuore insensato si offuscò.
Essi che pretendevano di essere sapienti, diventarono stolti. ( Rm 1,21-22 )
Come può esserci vera giustizia se in essi non c'è vera sapienza?
Se noi l'attribuissimo a loro, non ci sarebbe motivo per dire che non arrivano al regno del quale è scritto: Il desiderio della sapienza porta al regno. ( Sap 6,21 )
Cristo sarebbe morto invano se gli uomini, pur senza la fede in Cristo, potessero giungere per qualunque altra ragione o qualunque altra via alla vera fede, alla vera virtù, alla vera giustizia, alla vera sapienza.
E quindi, come l'Apostolo con assoluta verità afferma riguardo alla legge: Se la giustizia si ottiene mediante la legge, Cristo allora è morto inutilmente, ( Gal 2,21 ) alla stessa maniera, con identica verità, si potrebbe dire: se la giustizia si ottiene per mezzo della natura e della volontà, Cristo è morto inutilmente.
Se una giustizia qualsiasi si ottiene per mezzo della dottrina degli uomini, Cristo è morto inutilmente.
Il mezzo che porta alla vera giustizia è lo stesso che porta al regno di Dio.
Dio stesso, infatti - sia ben lontano il pensarlo! -, si dimostrerebbe ingiusto se non ammettesse nel suo regno un vero giusto, dal momento che il suo regno è essenzialmente giustizia, come è scritto: Il regno di Dio non è né cibo né bevanda, ma giustizia, pace e gioia. ( Rm 14,17 )
Di conseguenza se gli empi non hanno vera giustizia, le altre virtù, compagne e colleghe di essa, anche quando sono presenti, non sono vere virtù.
( Quando i doni di Dio non sono riferiti al loro Creatore, per questo stesso fatto i cattivi che se ne servono diventano ingiusti ).
Per tutte queste ragioni la continenza e la castità non possono essere vere virtù negli empi.
Tu intendi molto male le parole dell'Apostolo: Quelli che partecipano alla gara s'impongono ogni sorta di privazioni. ( 1 Cor 9,25 )
Arrivi infatti ad affermare che la continenza, una virtù tanto grande della quale è scritto che nessuno può essere continente se non gli è dato da Dio, ( Sap 8,21 ) la possono possedere anche i flautisti o altri simili individui turpi e infami.
Gli atleti, quando partecipano alla gara, si astengono da ogni cosa per conseguire una corona corruttibile; non si astengono tuttavia dalla cupidigia di questa vanità.
Questa cupidigia vana e perciò cattiva domina o frena in essi le altre cattive cupidigie, per cui sono detti continenti.
Per fare una gravissima offesa agli Scipioni, hai attribuito la continenza tanto lodata in essi, anche agli istrioni, ignorando del tutto che l'Apostolo, nell'esortare gli uomini all'amore della sapienza, ha preso esempi dalle viziose passioni degli uomini, allo stesso modo come, in un altro passo, la Scrittura, per esortare gli uomini all'amore della sapienza, ha detto che bisogna cercarla come il danaro. ( Pr 2,4 )
Si dirà forse per questo che la Sacra Scrittura ha esaltato l'avarizia?
Sono note le fatiche e i dolori a cui si assoggettano con pazienza quelli che cercano avidamente il denaro, ed è noto altresì come essi si astengono dai piaceri sia per l'avidità di accrescere il guadagno, sia per il timore di diminuirlo; si sa con quanta sagacia perseguono il guadagno evitando con accortezza i danni e che per lo più hanno paura di toccare i beni degli altri e talvolta disprezzano i beni ad essi sottratti perché non succeda che, nella pretesa di riaverli o nella lite, finiscano per perderne di più.
Dalla considerazione di tutte queste cose, giustamente siamo esortati ad amare la sapienza così da desiderare avidamente di farne tesoro e da accrescerla sempre più in noi, evitando che abbia a diminuire in qualche parte; così da sopportare le molestie, frenare le passioni, guardare al futuro e conservare l'innocenza e la disposizione a fare il bene.
Quando facciamo tutto questo, abbiamo le vere virtù, perché è vero quello per cui lo facciamo; tutto questo, cioè, è conforme alla nostra natura umana per la salvezza e la vera felicità.
Non è una definizione assurda quella di chi ha detto che "la virtù è un abito dell'anima conforme all'ordine della natura ".9
Ha detto il vero ma ignorava quello che era conforme alla natura dei mortali per liberarla e renderla felice.
Tutti noi non potremmo desiderare per naturale istinto di essere immortali e felici se questo non fosse possibile.
Questo bene sommo però non può pervenire agli uomini se non per mezzo di Cristo e Cristo crocifisso, dalla cui morte è vinta la morte e per le cui ferite la nostra natura è sanata.
Per questo il giusto vive della fede ( Rm 1,17 ) in Cristo.
Per questa fede infatti egli vive con prudenza, fortezza, temperanza e giustizia e proprio perché vive con fede egli vive rettamente e sapientemente con tutte queste vere virtù.
Se le virtù pertanto non giovano all'uomo per il conseguimento della vera beatitudine che la vera fede in Cristo ci ha promesso immortale, non giovano a nulla e in nessun modo possono essere vere virtù.
Vuoi forse chiamare vere virtù quelle degli avari quando escogitano con sagacità le vie del guadagno, quando sopportano molte sofferenze e disagi per accumulare denaro e castigano le varie cupidigie della vita lussuriosa, vivendo con temperanza e sobrietà, o quando, astenendosi dal toccare la roba altrui, disprezzano quello che hanno perduto, cosa che sembrerebbe appartenere alla giustizia, onde evitare il pericolo di perdere di più tra contese e tribunali?
Quando si fa qualcosa con prudenza, fortezza, temperanza e giustizia si agirebbe con tutte e quattro le virtù che, secondo il tuo parlare, sono vere virtù, e per conoscere la loro veridicità fosse sufficiente guardare solo quello che si fa e non per qual motivo lo si fa.
Affinché quindi non abbia a sembrare un calunniatore, citerò le tue stesse parole: "tutte le virtù hanno la loro origine nell'anima razionale; tutte le affezioni per cui siamo buoni fruttuosamente o sterilmente si trovano nel soggetto della nostra mente: la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza.
Quantunque la forza di queste affezioni è presente in tutti secondo natura, essa non porta tutti al medesimo fine.
A seconda del giudizio della volontà, al cui volere ubbidiscono, esse portano ai beni temporali o a quelli eterni.
Quando ciò avviene, variano non in ciò che sono o in ciò che fanno, ma soltanto in ciò che meritano.
Esse pertanto non possono perdere il proprio nome o il proprio genere, ma saranno arricchite dall'ampiezza o deluse dalla pochezza del premio che hanno desiderato".
Dove abbia appreso tutto questo, lo ignoro.
Da esso però appare, mi sembra, che ritieni vere virtù: la prudenza degli avari con cui essi escogitano ogni sorta di guadagno; la giustizia degli avari con cui, per il timore di perdite maggiori, essi sono portati talvolta a disprezzare più facilmente le loro perdite anziché usurpare qualcosa agli altri; la temperanza degli avari con cui essi frenano l'appetito della lussuria, che porterebbe ad un eccessivo dispendio, e si contentano solo del cibo e delle vesti necessarie; la fortezza degli avari, per la quale, come dice Orazio, fuggono la povertà per mare, per terra e per fuoco10 e per la quale, durante l'invasione barbarica, nessun tormento dei nemici riuscì a costringere alcuni di essi a consegnare i beni che avevano.
Queste virtù dunque, turpi e deformi a causa di questo fine, che proprio per questo, in nessun modo sono vere e genuine virtù, a te appaiono talmente vere e belle che "non possono perdere né il nome né il genere, ma possono solo essere deluse dalla pochezza del premio che hanno desiderato", del frutto cioè delle comodità terrene, non dei premi celesti.
Sarebbe dunque vera giustizia per Catilina attirare molti con l'amicizia, il mantenerli con l'ossequio ed il dividere con tutti i propri averi; sarebbe per lui vera fortezza il sopportare il freddo, la fame e la sete e vera pazienza il sopportare il digiuno, il freddo e la veglia più di quanto si possa immaginare.11
Chi, se non un insipiente, può avere convinzioni del genere?
Quantunque sia un uomo erudito, tu sei stato ingannato dall'apparenza di verità che hanno quei vizi.
Essi sembrano confinanti e vicinissimi alle virtù, mentre in realtà sono tanto lontani da esse, quanto i vizi dalle virtù.
La costanza, per esempio, è una virtù a cui si oppone l'incostanza: è un vizio tuttavia la quasi confinante ostinazione che rassomiglia alla costanza.
Voglia il cielo che tu non abbia questo vizio, quando avrai riconosciuto che sono vere le cose che dico, perché non abbia a credere di dover restare con ostinazione nel vizio, credendo di amare la costanza.
I vizi non soltanto sono manifestamente contrari a tutte le virtù, per una evidentissima differenza, come la temerarietà alla prudenza, ma in certo modo anche vicini e simili, non nella realtà, ma per qualche aspetto ingannevole.
Alla prudenza è simile non la temerarietà o l'imprudenza, ma l'astuzia, che è tuttavia un vizio, anche se nella Sacra Scrittura se ne ha una accezione in senso buono nelle parole: Prudenti come i serpenti, ( Mt 10,16 ) e una in senso cattivo quando si dice che nel Paradiso il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche. ( Gen 3,1 )
Per questi vizi, che abbiamo dichiarati quasi confinanti con le virtù, non si possono trovare facilmente neppure i nomi, ma, anche se non si sa come chiamarli, debbono essere ugualmente fuggiti.
Sappi pertanto che le virtù debbono essere distinte dai vizi non per i loro compiti, ma per il fine.
Il compito è quello che si deve fare, il fine è quello per cui lo si deve fare.
Se un uomo fa qualcosa che apparentemente non sembra peccato, si dovrà convincere che è peccato se non lo fa per il fine per il quale lo si deve fare.
Non ponendo attenzione a tutto questo, hai separato il fine dai compiti ed hai finito per chiamare vere virtù i compiti senza il fine.
Ne segue tanta assurdità che sei costretto a chiamare giustizia anche quella che scopri dominata dall'avarizia.
Nell'astenersi dal prendere la roba altrui, se si considera il compito, si ha l'impressione che si tratta di giustizia; se invece si va a cercare il motivo per cui lo si fa e la risposta è che non si perda di più nelle contese, come può essere vera giustizia, quando serve apertamente l'avarizia?
Simili virtù le introdusse Epicuro quali schiave del piacere perché servissero a fare tutto quanto si faceva, unicamente per conseguirlo o per conservarlo.
Ben lontano sia il pensare che le virtù vere possano essere al servizio di altri all'infuori di colui e per colui a cui diciamo: Dio delle virtù, convertici. ( Sal 80,8 )
Le virtù che favoriscono pertanto i diletti della carne o qualsivoglia altra comodità o profitto temporale, non possono decisamente essere vere.
E neppure sono vere virtù quelle che non vogliono essere al servizio di nessuna cosa.
Le vere virtù sono al servizio di Dio negli uomini e da lui sono donate agli uomini; sono al servizio di Dio negli Angeli e da lui sono donate anche agli Angeli.
Tutto quanto di bene viene fatto dagli uomini, anche se dal punto di vista del compito sembra buono, se non lo si fa per il fine indicato dalla vera sapienza, è peccato per la stessa mancanza di rettitudine nel fine.
È possibile dunque che siano fatte delle opere buone, senza che agisca bene chi le fa.
È un bene, per esempio, cercare di aiutare un uomo in pericolo, specie se innocente.
Chi lo aiuta però, se lo fa amando di più la gloria degli uomini che quella di Dio, non compie bene l'opera buona, perché non compie bene quello che non compie con una volontà buona.
Lungi sia chiamare volontà buona quella che cerca la gloria in altri o in se stessa e non in Dio.
Non si può definire buono neppure il suo frutto.
Un albero cattivo, infatti, non può fare frutti buoni.
L'opera buona piuttosto deve essere attribuita a colui che opera bene anche per mezzo dei cattivi.
Per la qual cosa non puoi neppure immaginare quanto t'inganni l'opinione secondo cui "tutte le virtù sono affezioni, grazie alle quali siamo buoni fruttuosamente o sterilmente".
Non possiamo infatti essere buoni sterilmente perché non siamo buoni quando siamo sterili.
Un albero buono produce frutti buoni. ( Mt 7,17-18 )
Lungi sia che Dio buono, che ha preparato la scure per gli alberi che non portano frutti buoni, tagli e getti nel fuoco gli alberi buoni. ( Mt 3,10 )
Gli uomini buoni, per nessuna ragione possono essere sterili.
Quelli invece che non sono buoni, possono essere più o meno cattivi.
Anche quelli che hai voluto ricordare, di cui l'Apostolo ha detto: I pagani pur privi di legge sono legge a se stessi.
Essi mostrano scritta nei loro cuori la realtà della legge, ( Rm 2,14-15 ) non vedo come possano esserti di aiuto.
Hai cercato di dimostrare per mezzo di essi che anche gli estranei alla fede di Cristo possono avere una vera giustizia, per il fatto che, sulla testimonianza dell'Apostolo, essi compiono secondo natura ciò che la legge prescrive. ( Rm 2,14 )
Con maggior evidenza hai espresso qui il vostro domma, per il quale siete nemici della grazia di Dio, che ci viene da Gesù Cristo Signore nostro, che porta via i peccati del mondo: ( Gv 1,17.29 ) hai introdotto cioè un genere di uomini in grado di piacere a Dio per la legge della natura, senza la fede in Cristo.
Questo è il motivo principale per cui la Chiesa cristiana vi detesta.
Ma cosa vuoi che essi siano? Hanno essi vere virtù ma sono sterili poiché non agiscono per Dio, oppure piacciono a Dio anche per queste azioni e da lui sono premiati con la vita eterna?
Se li dichiari sterili, a che giova loro il fatto che, secondo l'Apostolo, li difenderanno i loro pensieri … nel giorno in cui Dio giudicherà le azioni occulte degli uomini? ( Rm 2,16 )
Se poi quelli che sono difesi dai loro pensieri non sono sterili per il fatto che hanno compiuto secondo natura le opere della legge e perciò trovano l'eterna ricompensa presso Dio, senza dubbio alcuno per questo sono giusti poiché vivono della fede. ( Rm 1,17; Eb 10,38; Gal 3,11 )
Hai inteso a tuo piacimento, e l'hai esposto non secondo il suo significato ma secondo quello che gli hai dato, la testimonianza dell'Apostolo da me citata: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato. ( Rm 14,23 )
L'Apostolo infatti parlava di cibi. Dopo aver detto: Se colui che è nel dubbio mangia, è condannato, non avendo agito secondo la fede, ( Rm 14,23 ) ha inteso dimostrare questa specie particolare di peccato con un argomento di ordine generale aggiungendo: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato.
Ti posso concedere qui che si deve intendere soltanto dei cibi.
Cosa invece dirai dell'altra testimonianza che parimenti ti ho citata ed a cui nulla hai obiettato, non avendo trovato una via per girarla a tuo favore, quella cioè scritta agli Ebrei: senza la fede è impossibile piacere? ( Eb 11,6 )
Per fare tale affermazione egli intendeva tutta la vita dell'uomo, nella quale il giusto vive di fede.
Tuttavia, pur essendo impossibile piacere a Dio senza la fede, ti piacciono tanto le virtù senza la fede che vai predicando che sono vere virtù, e che per mezzo di esse gli uomini sono buoni.
Poi, quasi spinto dal pentimento di averle lodate, non esiti a dichiararle sterili.
Questi dunque, che sono giusti secondo la legge naturale, se piacciono a Dio gli piacciono per la fede, perché è impossibile piacergli senza la fede.
E per quale fede essi piacciono, se non per quella di Cristo?
Così infatti si legge negli Atti degli Apostoli: In Lui Dio ha accreditato la fede dinanzi a tutti col risuscitarlo dai morti. ( At 17,31 )
Per questo è stato detto che, pur essendo senza la legge, hanno compiuto le opere della legge secondo natura, perché sono giunti al Vangelo dal paganesimo e non dalla circoncisione a cui era stata affidata la legge.
È stato detto "secondo natura" poiché la natura stessa è stata in essi corretta dalla grazia di Dio affinché potessero credere.
Per mezzo di questi, però, non ti è possibile dimostrare quello che vorresti, che cioè gl'infedeli hanno vere virtù: anch'essi, infatti, sono fedeli.
Se non avessero la fede di Cristo, non potrebbero essere giusti né piacere a Dio, al quale è impossibile piacere senza la fede.
Nel giorno del giudizio i loro pensieri li difenderanno solo per essere puniti in maniera più blanda, per il fatto che hanno comunque compiuto secondo natura le opere della legge, portando scritta nel proprio cuore l'opera della legge al punto da non fare agli altri quello che essi non avrebbero voluto soffrire.
Hanno mancato solo nel fatto che, non avendo fede, non hanno indirizzato queste opere al fine al quale avrebbero dovuto indirizzarle.
Fabrizio sarà punito meno di Catilina, non perché egli era buono, ma soltanto perché questi era più cattivo.
Fabrizio era meno empio di Catilina non perché possedeva vere virtù, ma solo perché ha deviato di meno dalle vere virtù.
A tutti costoro che hanno dimostrato alla patria terrena un amore profano ed hanno servito con virtù civile, non vera, ma simile alla vera, i demoni o la gloria umana, a tutti costoro, voglio dire, ai vari Fabrizio, Regolo, Fabio, Scipione, Camillo ed a tutti gli altri, al pari dei fanciulli morti senza battesimo, preparerete forse un luogo intermedio tra la perdizione ed il regno dei cieli, dove non siano nel tormento ma in una gioia eterna, essi che non sono piaciuti a Dio, al quale è impossibile piacere senza la fede, che non hanno avuto mai né nelle opere né nel cuore?
Non riesco a credere che la vostra spregiudicatezza possa estendersi fino a simili impudenze.
"Andranno dunque, tu ci chiedi, alla perdizione eterna quelli in cui c'era la vera giustizia?".
O voce avventata per impudenza ancora maggiore! In loro non c'era la vera giustizia, lo ripeto, perché le azioni si giudicano dal fine e non semplicemente dagli atti.
Da uomo elegantissimo e garbatissimo, con tono faceto e spiritoso dichiari: "Se si afferma che la castità degli infedeli non è castità, per la stessa ragione si deve dire che il corpo dei pagani non è corpo; che gli occhi dei pagani non hanno la capacità di vedere; che il grano che cresce nel campo dei pagani non è grano e tante altre cose di tale assurdità da muovere al riso gli uomini intelligenti".
Il vostro riso per la verità muove gli intelligenti al pianto e non al riso, come il riso dei pazzi muove al pianto il cuore degli amici sani.
In contrasto con la Sacra Scrittura pertanto osi negare che l'animo dell'infedele è idolatra, oppure affermare che nel suo animo idolatra c'è vera castità, e ridi e sei sano di mente?
Da che parte, in che modo, per quale motivo può avvenire questo?
Ebbene, la loro non è vera castità e la vostra non è vera sanità.
Nell'animo dell'idolatra non c'è vera castità, e c'è veramente pazzia nell'uomo che fa tale vergognosa affermazione e ci ride su.
Lungi da noi dire che il corpo dei pagani non è corpo o altro del genere.
E per giunta non è neppure conseguente che se non è vera la virtù di cui l'empio possa gloriarsi, non è vero neppure il suo corpo che è creato da Dio.
Tranquillamente, invece, possiamo affermare che la fronte degli eretici non è fronte, se col nome di fronte intendiamo non la parte del corpo creata da Dio, ma il pudore.
Cosa avresti detto se, nello stesso mio libro al quale ti vanti di aver risposto, non avessi preammonito che nella tesi secondo cui affermiamo che tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato, ( Rm 14,23 ) non siano incluse quelle cose che negli infedeli sono dono di Dio sia nei beni dell'anima che in quelli del corpo?
Ivi sono inclusi singolarmente anche questi che vai garrendo a vuoto: il corpo, gli occhi e tutte le altre membra.
A quel genere appartiene anche il grano che cresce nel campo dei pagani, del quale non essi, ma Dio è il creatore.
Non hai forse citato fra le altre anche queste mie parole: "L'anima, il corpo, ogni altro bene insito naturalmente nell'anima o nel corpo sono doni di Dio anche nei peccatori, perché non essi ma Dio li ha fatti, mentre delle opere che essi compiono è detto: Tutto ciò che non viene dalla fede è peccato"?
Se avessi tenuto a mente questo mio breve ma preciso pensiero, non saresti stato tanto impudente da affermare che noi avremmo potuto ritenere che "il corpo dei pagani non sia corpo, che i loro occhi non abbiano la possibilità di vedere o che il grano del campo dei pagani non è grano".
Come svegliato dal sonno, ti ripeto le mie parole che probabilmente sono sfuggite alla tua memoria se hai fatto simili affermazioni: "Sono doni di Dio anche nei peccatori, perché non essi ma Dio li ha creati; mentre delle opere che essi compiono è detto: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato".
Quando dici cose insensate e ridi, sei simile ad un pazzo; quando poi non fai attenzione o dimentichi le cose vere dette da me e ricordate da te poco fa, e inserite nella stessa opera con cui ti vanti di rispondere alla mia, non rassomigli a chi è pazzo ma a chi è in letargo.
Con ironia, dichiari "di meravigliarti che un ingegno tanto grande, il mio cioè, non ha capito quanto vi ho anche aiutato con l'affermazione: "alcuni peccati sono vinti da altri".
Subito dopo aggiungi e concludi: "l'uomo può essere privo di peccati molto facilmente con l'amore della santità, che Dio aiuta.
Se infatti, i peccati sono vinti dai peccati, quanto più facilmente i peccati possono essere vinti dalle virtù?".
Come se noi negassimo che l'aiuto di Dio abbia tanta forza da privarci oggi stesso, se lo volesse, da tutte le cattive cupidigie, contro cui combattiamo vittoriosamente.
Tutto questo però non avviene e neppure tu lo neghi.
Perché poi non avvenga, chi può conoscere la mente di Dio? ( Rm 11,34 )
Non credo di sapere poco tuttavia, quando so che, qualunque ne sia il motivo, in Dio giusto non c'è iniquità, né debolezza nella sua onnipotenza.
C'è dunque qualcosa nel suo sublime e nascosto disegno per cui durante tutto il tempo nel quale viviamo in questa carne mortale ci deve essere in noi un male contro cui deve combattere il nostro spirito e per cui dobbiamo dire: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6, 12 )
Ma per parlarti da uomo a uomo, da uomo a cui la dimora terrena opprime l'animo teso verso l'alto, ( Sap 9,15 ) per quanto attiene ai meriti delle nature volute da Dio, non c'è nulla nelle creature di più eminente della mente razionale.
Logico quindi che una mente buona piaccia maggiormente a se stessa e si diletti maggiormente di se stessa più di qualsiasi altra creatura.
Sarebbe troppo lungo voler dimostrare disputando quanto sia pericoloso, anzi dannoso per la ragione un simile compiacimento, mentre si gonfia per questo tifo e si innalza per la malattia dell'orgoglio per tutto il tempo che non vede, come lo vedrà alla fine, quel Sommo ed Immutabile Bene, al cui paragone disprezzerà se stessa e, per amor Suo, diventerà ai suoi occhi tanto vile e si riempirà talmente dello spirito di Dio da porselo innanzi non solo con la ragione, ma anche con un amore eterno.
Lo comprende bene colui che, stanco per la fame, rientra in se stesso e dice: Mi leverò e ritornerò da mio padre. ( Lc 15,18 )
Questo male della superbia allora soltanto finirà di tentare ed allora soltanto cesserà di essere nostro avversario di lotta, quando l'anima sarà saziata di tale meravigliosa visione e sarà infiammata da tanto amore per il Bene superiore, che non le sarà più possibile staccarsi dall'amore suo per compiacersi di se stessa.
Non potrebbe essere questo il motivo per cui in questo luogo di debolezza dobbiamo vivere giorno per giorno, sotto il peso della remissione dei peccati per evitare di vivere con superbia?
Proprio a causa di questo male della superbia, l'apostolo Paolo non poté fare affidamento sul suo arbitrio.
Poiché non era ancora giunto alla partecipazione di un bene così grande, allorquando non sarebbe stato più possibile insuperbirsi, gli fu posto accanto un angelo di satana che lo schiaffeggiasse quaggiù dove è possibile insuperbirsi. ( 2 Cor 12,7 )
Sia questo il motivo o ce ne sia un altro molto più nascosto, non si può tuttavia dubitare del fatto che fin quando cammineremo sotto il peso di questo corpo corruttibile, se diciamo di non aver peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. ( 1 Gv 1,8 )
Per questo la S. Chiesa, anche in quelle membra in cui non c'è macchia di crimine o ruga di falsità, ( Ef 5,27 ) nonostante l'opposizione della vostra superbia, non cessa di ripetere a Dio: Rimetti a noi i nostri debiti. ( Mt 6, 12 )
Chi non conosce i vostri dommi non può capire con quanta arroganza e con quale presunzione della vostra virtù tu abbia detto: "Con l'amore della santità e l'aiuto di Dio, l'uomo può essere privo di peccati molto facilmente".
Voi, infatti, volete che nella volontà dell'uomo ci sia preventivamente, senza l'aiuto di Dio, l'amore della santità, che poi Dio deve aiutare secondo il merito, non gratuitamente.
Siete così convinti che in questa vita piena di travagli l'uomo possa essere privo di peccati tanto da non avere motivo di dire: Rimetti a noi i nostri debiti.
Talvolta però dai l'impressione di aver fatto l'affermazione con una certa timidezza, per il fatto che non hai detto: "può essere privo di tutti i peccati".
In verità non hai voluto dire nemmeno "alcuni", ma, come arrossendo dinanzi a te stesso per l'eccessiva vostra presunzione, hai moderato il pensiero così che potesse essere difeso da noi e da voi.
Qualora si discutesse tra i pelagiani si dovrebbe asserire che non è stato detto "alcuni" perché tu hai affermato che l'uomo può essere privo di tutti i peccati.
Qualora poi si discutesse tra noi, si dovrebbe rispondere che non è stato detto "tutti", perché hai voluto intendere che qualsiasi uomo si trova nella necessità di chiedere perdono per alcuni peccati.
Noi però che conosciamo il vostro pensiero, non possiamo ignorare con quale significato l'avete detto.
Tu dirai: "Se un pagano veste una persona nuda, la sua azione è forse peccato perché non viene dalla fede?".
Certamente, in quanto non proviene dalla fede è peccato, ma non perché è peccato l'azione in se stessa, l'atto cioè di vestire l'ignudo: solo l'empio però nega che è peccato il gloriarsi di tale opera al di fuori del Signore.
Anche se si è discusso già abbastanza, siccome è un argomento tanto importante, ti prego di ascoltarmi ancora un tantino affinché lo comprenda.
Citando le tue stesse parole: "Se un pagano, ( che non vive della fede ), veste un ignudo, libera qualcuno dal pericolo, cura le ferite di un malato, spende le ricchezze per oneste amicizie e non può essere spinto alla falsa testimonianza neppure con i tormenti", ti domando se queste opere buone le fa bene o male.
Se le fa male, quantunque esse siano buone, non puoi negare che commette peccato appunto perché compie male qualcosa.
Ma poiché non vuoi ammettere che, facendo tali azioni, egli fa peccato, senza dubbio dirai che egli compie buone azioni e le compie bene.
Un albero cattivo dunque produce frutti buoni, cosa che la Verità nega possa avvenire.
Non precipitare. Esamina piuttosto con attenzione cosa ti convenga rispondere.
Puoi forse affermare che l'infedele è un albero buono?
Piace dunque a Dio: al Buono non può non piacere ciò che è buono.
E dove vanno a finire le parole: senza la fede è impossibile piacere a Dio? ( Eb 11,6 )
O forse risponderai che è un albero buono non in quanto è infedele, ma in quanto è un uomo?
Di chi allora il Signore ha detto: Non può un albero cattivo produrre frutti buoni, ( Mt 7,18 ) dal momento che chiunque esso sia, può essere solo un uomo o un angelo?
Ma se un uomo in quanto uomo è un albero buono, anche un angelo in quanto angelo è un albero buono.
Entrambi sono opera di Dio, Creatore delle nature buone.
Ma così non esisterà un albero cattivo, di cui è stato detto che non può produrre frutti buoni.
Quale infedele pensa così infedelmente?
Non in quanto uomo, pertanto, perché è opera di Dio, ma in quanto uomo di cattiva volontà, uno è albero cattivo e non può portare frutti buoni.
Vedi dunque se puoi osare chiamare buona una volontà infedele.
Forse dirai: la volontà misericordiosa è buona.
Sarebbe esatta questa affermazione se la misericordia fosse sempre buona come è sempre buona la fede di Cristo, la fede cioè operante per mezzo della carità. ( Gal 5,6 )
Ma se si trova una misericordia cattiva come quella per cui in giudizio viene esaltata la persona di un povero, ( Es 23,3 ) o quella per cui il re Saul ha meritato dal Signore una condanna e con misericordia per giunta poiché, mosso da affetto umano, contro il suo comando, aveva perdonato il re prigioniero, ( 1 Sam 15 ) rifletti seriamente se per caso la misericordia buona non sia se non quella di questa fede buona.
Affinché possa vedere questo senza ombra di dubbio, dimmi se ritieni buona una misericordia senza fede.
Se, infatti, è vizio aver misericordia in modo cattivo, senza dubbio è vizio aver misericordia senza fede.
Se poi anch'essa di per se stessa per naturale compassione, è un'opera buona, di questa fa cattivo uso chi ne fa uso senza fede.
Chi compie quest'opera buona senza fede, la compie male ed indubbiamente pecca chi compie male qualcosa.
Da questo si deduce che le stesse opere buone che compiono gl'infedeli non sono di loro, ma di Colui che fa buon uso dei cattivi.
Sono di loro invece i peccati per i quali fanno male anche le cose buone, perché le fanno non con volontà fedele, ma infedele, vale a dire, le fanno con volontà stolta e nociva.
Questa volontà - nessun cristiano ne dubita - è l'albero cattivo, che non può produrre se non frutti cattivi, cioè i peccati.
Tutto ciò che non deriva dalla fede, infatti, che tu lo voglia o no, è peccato. ( Rm 14,23 )
Per questo Dio non può amare tali alberi e deciderà di tagliarli, se tali rimarranno, poiché senza la fede è impossibile piacere a Dio. ( Eb 11,6 )
Mi sto fermando su questo punto però come se tu non li avessi già dichiarati sterili.
Come è possibile che tu non stia giocando in queste dispute o non stia delirando, se insisti a lodare i frutti di alberi sterili?
Questi frutti o non esistono o, se sono cattivi, non debbono essere lodati.
Se poi i frutti sono buoni, gli alberi non possono certo essere sterili, anzi debbono essere buoni, essendo buoni i loro frutti e debbono pure piacere a Dio, al quale i buoni alberi non possono non piacere.
In tal caso però sarebbe falso quello che è scritto: Senza la fede è impossibile piacere. ( Eb 11,6 )
Cosa risponderai se non parole vuote? "lo ho dichiarato, tu dici, sterilmente buoni quegli uomini che non indirizzano a Dio le opere buone che compiono e che, di conseguenza, non ricevono da lui la vita eterna".
Dio dunque, buono e giusto, condanna i buoni alla morte eterna?
Mi rincresce finanche dire quante stupidaggini ti vengono dietro mentre pensi, dici, e scrivi tali cose e nel riprenderti in tali cose come censore, che anch'io non finisca di istupidirmi allo stesso modo.
Brevemente, perché non succeda che, mentre in queste cose tu sbagli molto di più di quanto è ammissibile, io dia l'impressione di dibattere con te solo sulle parole.
Cerca di comprendere le parole del Signore: Se il tuo occhio è malato, tutto intero il tuo corpo sarà tenebroso, se il tuo occhio è sano, tutto intero il tuo corpo sarà illuminato. ( Mt 6,22-23 )
Sappi vedere in quest'occhio l'intenzione con cui ognuno compie le sue opere e per questo riconosci che chi compie le opere buone senza l'intenzione della fede buona, di quella cioè che opera per amore, significa che quasi tutto il corpo, costituito da quelle opere come da membra, è tenebroso, pieno cioè dell'oscurità dei peccati.
Come alternativa, in considerazione della tua ammissione che le opere degl'infedeli, che pur ti sembrano buone, non riescono a condurre gli uomini alla salvezza eterna ed al regno, sappi che noi siamo convinti che quel bene, quella buona volontà, quell'opera buona non possono essere concesse a nessuno senza la grazia di Dio per mezzo dell'Unico Mediatore tra Dio e gli uomini.
Solo attraverso quel bene è possibile arrivare al dono eterno di Dio ed al suo regno.
Tutte le altre opere che sembrano poter meritare apprezzamento tra gli uomini, siano pur viste da te come vere virtù, come opere buone e fatte senza peccato.
Per quanto mi riguarda questo so, che non le fa una volontà buona: una volontà infedele ed empia infatti non può essere buona.
Volontà del genere, però, anche se da te sono dette alberi buoni, è sufficiente che siano sterili presso Dio, perché non siano buone.
Siano pure fruttuose fra gli uomini per i quali sono anche buone, magari per tuo interessamento, per la tua lode e, se vuoi, mentre ne sei tu il piantatore, tu lo voglia o no, io rimango convinto che l'amore del mondo, per cui ciascuno è amico di questo mondo, non viene da Dio; che l'amore di gioire di qualsiasi creatura, senza l'amore del Creatore, non viene da Dio; che l'amore di Dio, infine, con cui si arriva fino a Dio non può derivare che da Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo con lo Spirito Santo.
Per quest'amore del Creatore ciascuno fa buon uso anche delle creature.
Senza quest'amore del Creatore invece, nessuno ne fa buon uso.
Questo amore è necessario perché anche la castità coniugale sia bene beatifico, perché, quando si fa uso della carne del coniuge, l'intenzione sia rivolta non al piacere della libidine, ma alla volontà della procreazione, e perché qualora vinca il piacere e diriga l'azione a se stesso e non alla propagazione dei figli, si commetta un peccato veniale in virtù del matrimonio cristiano.
Indice |
7 | De nupt. et concup. 1,3,4 |
8 | De nupt. et concup. 1,4,5 |
9 | Cicerone, De invent. rethor. 2, 53 |
10 | Orazio, Ep. 1, 1, 46 |
11 | Sallustio, De con. Cat. 3, 5 |