Summa Teologica - II-II |
Infra, q. 32, a. 9; In 3 Sent., d. 29, q. 1, a. 6, ad 3, 5; De Virt., q. 2, a. 9, ad 14; In Gal., c. 6, lect. 2
Pare che non siamo tenuti a beneficare maggiormente i congiunti più prossimi.
1. Sta scritto nel Vangelo [ Lc 14,12 ]: « Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti ».
Ma questi sono i congiunti più prossimi.
Quindi nel bisogno non si devono beneficare maggiormente i congiunti, ma piuttosto gli estranei: infatti il Vangelo [ Lc 14,13 ] continua: « Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi » ecc.
2. Il beneficio più grande è quello di aiutare uno nella guerra.
Ma in guerra un soldato deve aiutare un commilitone estraneo più che un consanguineo nemico.
Perciò i benefici vanno impartiti di preferenza ai congiunti più stretti.
3. È più doveroso restituire un debito che elargire un beneficio gratuito.
Ora, è cosa dovuta che uno presti un beneficio a colui dal quale è stato beneficato.
Quindi si devono beneficare più i benefattori che i congiunti.
4. Come sopra [ q. 26, a. 9 ] si è visto, si devono amare più i genitori che i figli.
Eppure si devono beneficare più i figli che i genitori, poiché S. Paolo [ 2 Cor 12,14 ] dice che « non spetta ai figli mettere da parte per i genitori ».
Quindi non siamo tenuti a beneficare maggiormente i congiunti più stretti.
S. Agostino [ De doctr. christ. 1,28 ] insegna: « Non essendo tu in grado di aiutare tutti, devi provvedere soprattutto a coloro che quasi per un destino sono a te più strettamente uniti secondo le varie circostanze di luogo e di tempo ».
La grazia e la virtù imitano l'ordine della natura istituito dalla sapienza divina.
Ora, secondo questo ordine ogni agente naturale irradia maggiormente il suo influsso sulle cose più vicine: come il fuoco riscalda maggiormente ciò che gli è più vicino.
E Dio stesso, come nota Dionigi [ De cael. hier. 4,3 ], diffonde in maniera primaria e più copiosa i doni della sua bontà sugli esseri a lui più prossimi.
Ora, la prestazione dei benefici è un effetto della carità sugli altri.
Perciò è necessario essere più benefici verso i congiunti più stretti.
Ma i legami di un uomo con un altro possono essere considerati secondo i vari beni in cui gli uomini comunicano tra loro: tra i consanguinei, p. es., c'è la parentela, tra i concittadini la vita civile, tra i fedeli i beni spirituali e così via.
E secondo i vari legami si devono impartire diversamente i vari benefici: infatti a ciascuno si deve impartire maggiormente, parlando in senso assoluto, quel beneficio che si riferisce a ciò su cui è basato il nostro legame con lui.
Però questo criterio può variare secondo le diversità di luogo, di tempo e di circostanze: infatti in certi casi si deve aiutare più un estraneo, p. es. quando questi si trovasse in estrema necessità, che non il proprio padre che non si trovasse in così grande bisogno.
1. Il Signore non proibisce in modo assoluto di invitare a pranzo gli amici e i parenti, ma proibisce di invitarli con l'intenzione di essere da loro riinvitati, poiché ciò non è dettato dalla carità, ma dalla cupidigia.
Tuttavia può capitare che gli estranei vadano preferiti in qualche caso per una maggiore indigenza.
Infatti resta inteso che i congiunti più stretti vanno beneficati maggiormente, a parità di condizioni.
Se poi di due persone una è più prossima e l'altra più indigente, non si può determinare con una norma generale chi vada maggiormente soccorso, poiché molti sono i gradi dell'indigenza e della prossimità: nel caso quindi si richiede il giudizio di una persona prudente.
2. Il bene comune di molti è un bene più divino di quello di un solo individuo.
Per cui è un atto virtuoso esporre al pericolo anche la propria vita per il bene comune, spirituale o temporale, della patria.
Siccome quindi i vincoli della milizia sono ordinati alla tutela della patria, il soldato che presta in guerra il suo aiuto a un commilitone non lo offre a una persona privata, ma a soccorso di tutto lo stato.
Per cui non c'è da meravigliarsi se in ciò un estraneo viene preferito a un proprio consanguineo.
3. Il debito è di due specie.
Il primo è da enumerarsi non tra i beni di colui che deve, ma tra quelli di colui a cui esso è dovuto.
Se uno, p. es., ha nelle mani il danaro o la roba di un altro perché l'ha rubata, o la ha avuta in prestito o in deposito, o in qualche altro modo simile, in tal caso è tenuto più a rendere il debito che a fare del bene ai congiunti.
A meno che questi non fossero in tale necessità da rendere lecito impossessarsi della roba altrui per soccorrere un indigente.
Purché chi ha diritto a quella restituzione non si trovi in una simile necessità.
Tuttavia in questi casi bisogna valutare col giudizio di una persona prudente la condizione dell'uno e dell'altro individuo in base alle varie circostanze: poiché in simili congiunture non si può dare una regola generale, per la varietà dei singoli casi, come scrive il Filosofo [ Ethic. 9,2 ].
C'è poi un altro debito, da computarsi tra i beni di colui che deve, e non tra quelli di colui al quale è dovuto: p. es. quando esso è dovuto non a rigore di giustizia, ma per una certa equità morale, come avviene nei benefici ricevuti gratuitamente.
Ora, nessun beneficio è così grande come quello dei genitori: quindi nella riconoscenza i genitori vanno preferiti a tutti gli altri; a meno che dall'altra parte non ci sia il peso di una grave necessità, o di qualche altra condizione: p. es. il comune vantaggio, della Chiesa o dello stato.
In tutti gli altri casi invece si deve misurare il legame di affinità e la grandezza del beneficio ricevuto.
E anche qui non è possibile determinare una norma universale.
4. I genitori sono come i superiori: perciò l'amore dei genitori tende a beneficare, mentre l'amore dei figli tende a onorare i genitori.
Tuttavia in caso di estrema necessità sarebbe più tollerabile abbandonare i figli che i genitori: non essendo lecito abbandonare questi ultimi in alcuna maniera, a motivo dei benefici da essi ricevuti, come nota il Filosofo [ Ethic. 8,14 ].
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