Summa Teologica - II-II |
Quodl., 12, q. 22, a. 2
Pare che il giudizio originato da un sospetto non sia illecito.
1. Il sospetto non è altro che la conoscenza incerta di un peccato: infatti anche il Filosofo [ Ethic. 6,3 ] insegna che il sospetto è sospeso tra il vero e il falso.
Ora, sui singolari contingenti non si può avere altro che un'opinione incerta.
Siccome dunque il giudizio umano ha per oggetto le azioni umane, che sono singolari e contingenti, pare che non sarebbe lecito alcun giudizio se non fosse lecito giudicare partendo da un sospetto.
2. Con un giudizio illecito si fa un torto al prossimo.
Ma il sospetto maligno si riduce a una semplice opinione personale, per cui non pare costituire un torto per gli altri.
Quindi il giudizio fondato sul sospetto non è illecito.
3. Se è illecito, deve ridursi a un'ingiustizia: poiché, come si è detto [ a. 1 ], il giudizio è un atto di giustizia.
Ora, l'ingiustizia è sempre nel suo genere un peccato mortale, come si è visto sopra [ q. 59, a. 4 ].
Perciò il giudizio che nasce dal sospetto, se fosse illecito, sarebbe sempre un peccato mortale.
Ma ciò è falso, poiché la Glossa [ P. Lomb. di Agost. ], a commento di quel testo di S. Paolo [ 1 Cor 4,5 ]: « Non vogliate giudicare nulla prima del tempo », afferma che « non possiamo evitare i sospetti ».
E così il giudizio fondato sul sospetto non è illecito.
Illustrando il precetto evangelico [ Mt 7,1 ]: « Non giudicate », il Crisostomo [ Op. imperf. in Mt hom. 17 ] scrive: « Il Signore con questo comandamento non proibisce ai cristiani di correggere gli altri, con benevolenza, ma proibisce di disprezzare altri cristiani con l'ostentazione della propria onestà, spesso condannando e odiando gli altri per dei semplici sospetti ».
Come scrive Cicerone [ Tusc. disp. 4,7 ], il sospetto implica un'opinione cattiva fondata su indizi insignificanti.
E ciò può derivare da tre moventi.
Primo, dal fatto che uno è egli stesso malvagio, per cui conoscendo la propria malizia facilmente è portato a pensar male degli altri; secondo le parole dell'Ecclesiaste [ Qo 10,3 Vg ]: « Quando lo stolto cammina per via, essendo egli insipiente, tutti reputa stolti ».
- Secondo, può derivare dal fatto che uno è mal disposto verso un altro.
Quando infatti si disprezza o si odia una persona, o ci si adira contro di essa, bastano lievi indizi per pensarne male: poiché ciascuno crede facilmente ciò che desidera.
- Terzo, ciò può derivare da una lunga esperienza: per cui il Filosofo [ Reth. 2,13 ] rileva che « i vecchi sono sommamente sospettosi, avendo molte volte sperimentato i difetti degli altri ».
Ora, i primi due moventi del sospetto sono dovuti chiaramente alla perversità degli affetti.
Invece il terzo diminuisce l'infondatezza del sospetto: in quanto l'esperienza giova alla certezza, la quale riduce ciò che caratterizza il sospetto.
Quindi il sospetto implica un certo vizio: e più esso procede, più è vizioso.
Ci sono poi tre gradazioni del sospetto.
La prima consiste nel prospettarsi dei dubbi sulla bontà di uno per degli indizi insignificanti.
E questo è un peccato leggero e veniale: ciò infatti - stando alla Glossa [ P. Lomb. di Agost. ] sul testo di S. Paolo [ 1 Cor 4,5 ]: « Non vogliate giudicare nulla prima del tempo » - « fa parte della tentazione umana, che non manca mai nella vita presente ».
- Il secondo grado si ha invece quando uno, per leggeri indizi, ritiene certa la malizia di un altro.
E questo, se si tratta di una cosa grave, è un peccato mortale, in quanto non può verificarsi senza il disprezzo del prossimo: per cui la Glossa aggiunge: « Sebbene dunque non si possano evitare i sospetti, essendo noi uomini, tuttavia dobbiamo trattenerci dal dare giudizi, cioè sentenze ferme e definitive ».
- Si ha infine il terzo grado quando un giudice per un sospetto arriva a condannare qualcuno.
E ciò appartiene direttamente all'ingiustizia.
Per cui è un peccato mortale.
1. Degli atti umani si può avere una qualche certezza, anche se non come nelle scienze dimostrative, bensì soltanto come comporta tale materia: p. es. mediante la testimonianza di persone idonee.
2. Per il fatto stesso che uno ha una cattiva opinione di un altro senza un motivo sufficiente, viene a disprezzarlo.
E così gli fa un torto.
3. La giustizia e l'ingiustizia hanno per oggetto le azioni esterne, come si è notato [ q. 58, aa. 8,10,11; q. 59, a. 1, ad 3 ]: per cui il giudizio temerario costituisce direttamente un'ingiustizia quando si esprime in un atto esterno.
E allora, come si è detto [ nel corpo ], è un peccato mortale.
Invece il giudizio interno appartiene alla giustizia in quanto esso sta al giudizio esterno come gli atti interni agli esterni: come il desiderio impuro sta alla fornicazione, e l'ira all'omicidio.
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