Summa Teologica - II-II |
I-II, q. 60, a. 3; In 3 Sent., d. 9, q. 1, a. 1, sol. 1
Pare che la religione non sia una virtù.
1. Alla religione spetta prestare riverenza a Dio.
Ma il riverire è un atto del timore, che è un dono, come sopra [ q. 19, a. 9 ] si è visto.
Quindi la religione non è una virtù, ma un dono.
2. La virtù dipende sempre da una libera volizione: infatti viene definita [ Ethic. 2,6 ] « un abito elettivo », o volontario.
Invece alla religione, come sopra [ a. 1, ad 3 ] si è detto, appartiene la latria, che implica una certa servitù.
Quindi la religione non è un abito virtuoso.
3. Come insegna Aristotele [ Ethic. 2,1 ], le attitudini virtuose sono in noi per natura: infatti gli atti propri delle virtù derivano dal dettame della ragione naturale.
La religione invece ha il compito di « offrire alla natura divina delle cerimonie ».
Ora le cerimonie, come sopra [ I-II, q. 99, a. 3, ad 2 ] si è notato, non derivano dal dettame della ragione naturale.
Quindi la religione non è una virtù.
La religione viene elencata tra le altre virtù, come risulta evidente da quanto abbiamo detto [ q. 80 ].
Secondo le spiegazioni date [ q. 58, a. 3; I-II, q. 55, a. 3, s. c. ], « la virtù è quella disposizione che rende buono chi la possiede e l'atto che egli compie ».
Si deve perciò concludere che qualsiasi atto buono appartiene a una virtù.
Ora, è evidente che rendere a qualcuno quanto gli è dovuto ha natura di bene: poiché il fatto che uno renda a un'altra persona ciò che le deve lo determina e in qualche modo lo ordina nella proporzione conveniente riguardo ad essa.
D'altra parte l'ordine è un elemento essenziale del bene, come il modo e la specie, secondo l'insegnamento di S. Agostino [ De nat. boni 3 ].
Siccome quindi alla religione spetta rendere l'onore dovuto a qualcuno, e precisamente a Dio, è chiaro che la religione è una virtù.
1. Sentire riverenza verso Dio è un atto del dono del timore, ma compiere delle cose per riverenza verso Dio spetta alla religione.
Per cui da ciò non segue che la religione si identifichi col dono del timore, ma che essa è ordinata al dono come a un dato principale.
Infatti, come si è detto sopra [ q. 9, a. 1, ad 3; I-II, q. 68, a. 8 ], i doni sono superiori alle virtù morali.
2. Un servo può compiere anche volontariamente le prestazioni che deve al suo padrone, e così « fa di necessità virtù » [ Gerol., Epist. 54 ], rendendo volontariamente quanto deve.
Parimenti può essere un atto di virtù prestare a Dio la servitù a lui dovuta, in quanto un uomo lo fa volontariamente.
3. Il dettame della ragione naturale arriva a stabilire che l'uomo deve fare qualcosa per riverenza verso Dio; ma che debba fare questa cosa o quell'altra non lo dice il dettame della ragione naturale, bensì la determinazione della legge divina o umana.
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