Summa Teologica - II-II |
Infra, q. 189, a. 2; C. G., III, c. 138; Contra Retr., cc. 11 sqq.; De perf. vitae spir., c. 12; Quodl., 3, q. 5, a. 2, ad 3
Pare che sia più lodevole e meritorio fare una cosa senza il voto che con il voto.
1. S. Prospero [ De vita contempl. 2,24 ] afferma: « Dobbiamo fare astinenza e digiunare senza sottoporci alla necessità di farlo: affinché non ci capiti di farlo non già con devozione, ma contro voglia ».
Ora, chi emette il voto di digiunare si sottopone alla necessità di farlo.
Perciò sarebbe meglio che digiunasse senza farne il voto.
2. L'Apostolo scrive [ 2 Cor 9,7 ]: « Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, poiché il Signore ama chi dona con gioia ».
Ma ci sono di quelli che fanno con rincrescimento o tristezza le cose che hanno promesso con voto; e ciò pare che sia dovuto alla necessità imposta dal voto, poiché « la necessità è rattristante », come dice Aristotele [ Met. 5,5 ].
Perciò è meglio fare una cosa senza il voto che con il voto.
3. Il voto è necessario per confermare la volontà in ciò che viene promesso, come si è detto sopra [ a. 4 ].
Ma la volontà non può essere confermata in una cosa meglio che facendola realmente.
Quindi fare una cosa con il voto non è meglio che farla senza voto.
Nel commentare l'esortazione del Salmista [ Sal 76,12 ]: « Fate voti e adempiteli », la Glossa [ P. Lomb. ] afferma: « Fare voti è consigliato alla volontà ».
Ma il consiglio viene dato soltanto riguardo a un bene migliore.
Perciò è meglio fare una cosa migliore per un voto fatto che senza voto: poiché chi la fa senza il voto osserva un consiglio soltanto, cioè quello di compierla, mentre chi la fa con il voto osserva due consigli, cioè quello di fare voti e quello di adempierli.
Compiere un'azione con il voto è cosa migliore e più meritoria che compierla senza voto, per tre motivi.
Primo, perché fare un voto, come si è visto [ a. 5 ], è un atto di latria, che è la prima delle virtù morali.
Ora, l'atto di una virtù superiore è migliore e più meritorio.
Quindi gli atti di una virtù inferiore sono migliori e più meritori per il fatto che vengono comandati da una virtù superiore, di cui diventano altrettanti atti attraverso il comando: come gli atti di fede e di speranza diventano migliori se vengono comandati dalla carità.
Per cui gli atti delle altre virtù morali, come ad es. il digiunare, che è un atto dell'astinenza, e l'osservare la continenza, che è un atto della castità, sono migliori e più meritori se compiuti per voto: poiché così appartengono al culto divino, come altrettanti sacrifici fatti a Dio.
Per cui S. Agostino [ De virginit. 8 ] insegna che « la verginità stessa è onorata non perché è verginità, ma perché è consacrata a Dio, ed è alimentata e custodita dalla continenza dettata dalla pietà ».
Secondo, perché chi fa voto di una cosa e poi la compie sottomette se stesso a Dio più di chi la compie soltanto.
Egli infatti si sottomette a Dio non solo quanto all'atto, ma anche quanto alla stessa facoltà, poiché in seguito non può più fare diversamente: come chi desse a un uomo un albero assieme ai suoi frutti darebbe di più di chi desse soltanto i frutti, come scrive S. Anselmo [ De similit. 8,4 ].
E per questo motivo si ringraziano anche coloro che promettono, come si è detto [ a. 5, ad 2 ].
Terzo, perché con il voto la volontà si determina al bene stabilmente.
Ora, come insegna il Filosofo [ Ethic. 2,4 ], fare una cosa con la volontà confermata nel bene è un elemento che rientra nella perfezione della virtù: come anche l'ostinazione della volontà aggrava la colpa, e ne fa un peccato contro lo Spirito Santo, come si è visto [ q. 14, a. 2 ].
1. La frase di S. Prospero va riferita alla necessità di coazione, che causa un atto involontario ed elimina la devozione.
Per cui a ragione egli dice: « Affinché non ci capiti di farlo non già con devozione, ma contro voglia ».
Invece la necessità del voto dipende dall'immutabilità del volere, per cui il voto rafforza la volontà e accresce la devozione.
Quindi l'argomento non regge.
2. La necessità dovuta alla costrizione, essendo contraria alla volontà, causa tristezza, come nota il Filosofo, ma la necessità imposta dal voto non causa tristezza, bensì gioia in coloro che sono ben disposti, poiché rafforza la volontà.
Da cui le parole di S. Agostino [ Epist. 127 ] ad Armentario e Paolina: « Non ti pentire di aver fatto il voto.
Anzi, rallegrati, perché ormai non ti è più lecito fare ciò che ti sarebbe stato lecito a tuo danno ».
E se poi l'opera promessa, in sé considerata, dovesse risultare penosa e contraria alla volontà dopo il voto, restando però fermo il volere di adempiere il voto, l'atto sarebbe anche in questo caso più meritorio che se fosse compiuto senza il voto: poiché l'adempimento di un voto è un atto di religione, che è una virtù superiore all'astinenza, a cui appartiene l'atto del digiunare.
3. Chi compie una cosa senza averne fatto voto ha il volere determinato rispetto all'atto singolo che compie, e al momento di compierlo, ma il suo volere non rimane del tutto determinato per il futuro come quello di chi ha fatto un voto, il quale ha obbligato così la propria volontà a compiere una data cosa anche prima di fare quell'opera particolare, e forse anche a ripeterla più volte.
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