Summa Teologica - II-II |
In 3 Sent., d. 39, q. 1, a. 3, sol. 1, 2; Quodl., 3, q. 5, aa. 2, 4; 5, q. 13, a. 2; 12, q. 14, a. 2
Pare che il giuramento non abbia la forza di obbligare.
1. Il giuramento viene fatto per confermare la verità di ciò che si dice.
Ma quando uno dice qualcosa che riguarda il futuro, può dire il vero anche se poi ciò che ha detto non avviene.
Come non si può dire che S. Paolo abbia mentito [ cf. 2 Cor 1,15ss ] anche se non andò a Corinto come aveva promesso [ 1 Cor 16,5 ].
Non pare quindi che il giuramento sia obbligatorio.
2. Come insegna Aristotele [ Praed. 8 ], una virtù non può essere contraria a un'altra virtù.
Ora, stando alle cose già dette [ a. 4 ], il giuramento è un atto di virtù.
Ma talora si andrebbe contro la virtù, o la si ostacolerebbe, se uno mantenesse quanto ha promesso con giuramento: nel caso, p. es., che uno abbia giurato di compiere un peccato, o di desistere da un atto virtuoso.
Quindi il giuramento non sempre è obbligatorio.
3. In certi casi uno è costretto suo malgrado a promettere qualcosa con giuramento.
Ora, nei Canoni [ Decretales 2,24,15 ] è stabilito che « tali persone vengano sciolte dal giuramento per l'autorità del Romano Pontefice ».
Quindi il giuramento non sempre è obbligatorio.
4. Nessuno può essere obbligato a due cose opposte.
Ma talvolta colui che giura intende l'opposto di ciò che intende la persona a cui si presta il giuramento.
E così il giuramento non sempre è obbligatorio.
Sta scritto [ Mt 5,33 ]: « Adempi con il Signore i tuoi giuramenti ».
L'obbligo dice rapporto a qualcosa da farsi o da omettersi.
Esso perciò non interessa il giuramento assertorio, che si riferisce al presente o al passato, e neppure il giuramento riguardante cose che devono essere operate da altre cause, come quando uno giurasse che domani pioverà, ma solo il giuramento riguardante cose che devono essere fatte da colui che giura.
Ora, come deve essere veritiero il giuramento assertorio, che si riferisce al passato o al presente, così deve esserlo anche il giuramento che riguarda le cose che noi dobbiamo compiere nel futuro.
Quindi entrambi i giuramenti hanno una certa obbligazione: però in una maniera diversa.
Poiché nel giuramento riguardante il passato o il presente l'obbligo non è relativo alle cose che sono già state o che sono, ma all'atto del giuramento: ossia c'è l'obbligo di giurare il vero, attuale o passato.
Invece nel giuramento che facciamo sulle cose che dobbiamo compiere noi, l'obbligo cade sulla cosa che uno ha confermato col giuramento.
Si è tenuti infatti a compiere quanto si è giurato: altrimenti viene a mancare la veracità del giuramento.
Se però la cosa promessa è tale da non essere in nostro potere, allora il giuramento manca di giudizio discretivo: a meno che tale cosa non sia stata resa impossibile per qualche imprevisto, come quando uno giura di dare del danaro che un furto in seguito gli fa perdere.
Nel qual caso uno è scusato dal fare quanto aveva giurato, sebbene sia tenuto a fare quanto può: come si è detto sopra [ q. 88, a. 3, ad 2 ] a proposito dell'obbligatorietà del voto.
Se invece la cosa è possibile, ma non è da farsi, o perché è cattiva, o perché è di ostacolo al bene, allora il giuramento manca di giustizia.
Per cui il giuramento non va osservato nel caso in cui è una colpa, o è di impedimento al bene: poiché allora « fa capo a un effetto pernicioso » [ cf. Beda, Hom. 2,20 ].
Perciò si deve concludere che chi giura di fare una cosa è obbligato a compierla, affinché si compia la verità; purché però non manchino gli altri due requisiti, cioè il giudizio e la giustizia.
1. Il caso della semplice affermazione è diverso dal caso del giuramento, in cui si invoca la testimonianza di Dio.
Infatti per la verità di un'affermazione basta che uno dica quello che si propone di fare, poiché ciò è già vero nella sua causa, cioè nel proposito di chi intende farlo.
Invece non si deve ricorrere al giuramento se non per cose di cui uno è assolutamente certo.
Nel caso quindi in cui uno abbia giurato, per rispetto alla divina testimonianza invocata è tenuto a far sì che diventi vero ciò che ha giurato, nei limiti delle sue possibilità: a meno che, come si è detto [ nel corpo ], non ne risulti un effetto pernicioso.
2. Il giuramento può determinare un effetto pernicioso in due modi.
Primo, perché lo presuppone in partenza.
O perché è intrinsecamente cattivo, come quando uno giura di compiere un adulterio, o perché è di ostacolo a un bene maggiore: p. es. quando uno giurasse di non farsi religioso o chierico, oppure di non accettare prelature anche nel caso in cui farebbe bene ad accettarle, o in altri casi del genere.
Ora, simili giuramenti sono illeciti fin dal principio: però in grado diverso.
Perché se uno giura di compiere un peccato, pecca sia nel giurare che nell'osservare il giuramento.
Se invece giura di non compiere un bene maggiore, a cui non è tenuto, pecca nel giurare, in quanto resiste allo Spirito Santo ispiratore dei buoni propositi, però non pecca se osserva il giuramento, anche se farebbe molto meglio a non osservarlo.
Secondo, il giuramento può determinare un effetto pernicioso per un fatto nuovo e imprevisto: come avvenne nel giuramento di Erode [ Mt 14,7 ], il quale giurò promettendo alla fanciulla di darle ciò che chiedeva.
Ora, tale giuramento poteva essere inizialmente lecito con la dovuta condizione sottintesa, se cioè chiederà qualcosa che è lecito concedere; fu invece l'adempimento a essere illecito.
Da cui le parole di S. Ambrogio [ De off. 1,50 ]: « Spesso è contro il dovere adempiere il giuramento: come nel caso di Erode, che uccise Giovanni per mantenere la promessa ».
3. Nel giuramento fatto per costrizione si devono distinguere due obblighi.
L'uno verso la persona a cui si è promesso qualcosa.
E questo obbligo è eliminato dalla costrizione: poiché chi usa violenza merita l'inadempimento della promessa.
L'altro obbligo è invece verso Dio, riguardo al quale uno è obbligato a compiere quanto ha promesso nel suo nome.
E tale obbligo in coscienza non cessa: poiché si è tenuti a sostenere anche un danno temporale piuttosto che violare il giuramento.
Tuttavia uno può reclamare in giudizio quanto ha dato, o denunziarlo ai superiori, anche se aveva giurato di non farlo: poiché tale giuramento avrebbe un effetto pernicioso, essendo contro la giustizia civile.
- I Romani Pontefici poi hanno assolto gli uomini da simili giuramenti non già dichiarando che essi non sono obbligatori, ma dispensando dal loro obbligo per giusti motivi.
4. Quando l'intenzione di chi giura è diversa da quella di chi è interessato al giuramento, la promessa va osservata secondo la sana comprensione di quest'ultimo, se la divergenza dipende dall'inganno di chi giura.
Da cui le parole di S. Isidoro [ Sent. 2,31 ]: « Qualunque sia l'artificio di parole con cui uno giura, Dio, che è testimone della coscienza, intende la cosa come colui a cui viene fatto il giuramento ».
E che si parli del giuramento capzioso è evidente da quanto si dice più avanti: « È doppiamente colpevole colui che nomina invano il nome di Dio, e gioca il prossimo con l'inganno ».
Se invece chi giura non usa inganni, allora è obbligato secondo la propria intenzione.
Da cui le parole di S. Gregorio [ Mor. 26,10 ]: « Le orecchie degli uomini giudicano le nostre parole così come suonano esternamente, ma Dio nei suoi giudizi le intende come esse promanano dall'intimo del cuore ».
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