Summa Teologica - II-II |
Expos. in Decal., c. De Nono Praecepto; In Hebr., c. 13, lect. 1; In 5 Ethic., lect. 5
Pare che l'avarizia non sia un peccato.
1. Avarizia suona aeris - aviditas [ avidità di danaro ]: poiché consiste nel desiderio del danaro, cioè dei beni esterni.
Ma desiderare i beni esterni non è un peccato.
L'uomo infatti li desidera in forza della sua natura: sia perché essi sono naturalmente soggetti all'uomo, sia perché servono a conservare la vita umana, tanto che sono chiamati anche sostanze dell'uomo.
Quindi l'avarizia non è un peccato.
2. Un peccato o è contro Dio, o è contro il prossimo, o è contro se stessi, come sopra [ I-II, q. 72, a. 4 ] si è visto.
Ma propriamente l'avarizia non è un peccato contro Dio: essa infatti non si contrappone né alla religione, né alle virtù teologali, che regolano la condotta dell'uomo verso Dio.
E neppure è un peccato contro se stessi: poiché ciò è proprio della gola e della lussuria, come risulta dalle parole dell'Apostolo [ 1 Cor 6,18 ]: « Chi commette fornicazione pecca contro il proprio corpo ».
Parimenti non è un peccato contro il prossimo: poiché il ritenere i propri beni non fa ingiuria a nessuno.
Quindi l'avarizia non è un peccato.
3. I difetti che sono dovuti alla natura non sono peccati.
Ora, l'avarizia è un difetto che deriva naturalmente dalla vecchiaia e da qualsiasi altro malanno, come fa notare il Filosofo [ Ethic. 4,1 ].
Quindi l'avarizia non è un peccato.
S. Paolo [ Eb 13,5 ] esorta: « La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di ciò che avete ».
In quelle cose la cui bontà consiste nella debita misura, l'eccesso o il difetto in riferimento a tale misura costituisce necessariamente un male.
Ora, per i mezzi che sono ordinati al fine la bontà consiste in una certa misura, dato che i mezzi devono essere proporzionati al fine: p. es. la medicina alla guarigione, come nota il Filosofo [ Polit. 1,3 ].
Ma i beni esterni sono beni utili per il raggiungimento del fine, come si è spiegato sopra [ q. 117, a. 3; I-II, q. 2, a. 1 ].
Per cui la bontà dell'uomo nei loro riguardi consiste in una certa misura: nel desiderare cioè il possesso delle ricchezze in quanto sono necessarie alla vita, secondo le condizioni di ciascuno.
Quindi nell'eccedere tale misura si ha un peccato: quando cioè uno le vuole acquistare o conservare più del dovuto.
E ciò costituisce l'avarizia, che viene definita « uno smoderato amore di possedere ».
Per cui è evidente che l'avarizia è un peccato.
1. Per l'uomo è naturale il desiderio dei beni esterni come di mezzi ordinati al fine.
Di conseguenza tale desiderio in tanto è onesto in quanto rientra nella norma imposta dal conseguimento del fine.
Ora, l'avarizia eccede questa norma.
Quindi è un peccato.
2. L'avarizia può essere immoderata in due maniere rispetto ai beni esterni.
Primo, direttamente, cioè acquistandoli o conservandoli più del dovuto.
E da questo lato essa è un peccato contro il prossimo: poiché nelle ricchezze materiali uno non può sovrabbondare senza che un altro rimanga nell'indigenza, dato che i beni temporali non possono essere posseduti simultaneamente da più persone.
- Secondo, l'avarizia può comportare una mancanza di moderazione negli affetti che uno prova per le ricchezze: p. es. se uno le ama o le desidera in modo eccessivo, o si compiace in esse.
E da questo lato l'avarizia è un peccato verso se stessi: poiché si ha in ciò un disordine negli affetti, anche se non si ha un disordine nel corpo come nei peccati carnali.
- Di conseguenza poi l'avarizia è anche un peccato contro Dio, come tutti i peccati mortali: poiché con essa per i beni temporali si disprezzano i beni eterni.
3. Le inclinazioni naturali vanno regolate secondo la ragione, che nella natura umana occupa il primo posto.
Quindi gli anziani, sebbene per la loro debolezza naturale cerchino con maggiore avidità il soccorso dei beni esterni, come anche ogni indigente cerca un sussidio alla propria indigenza, tuttavia non sono scusati dal peccato se passano la debita misura della ragione nell'attaccamento alle ricchezze.
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