Summa Teologica - II-II |
In 2 Sent., d. 43, q. 2, a. 3, ad 1; De Malo, q. 13, a. 1
Pare che l'avarizia non sia un peccato specifico.
1. S. Agostino [ De lib. arb. 3,17.48 ] ha scritto: « L'avarizia, che in greco si dice filargiria, non va intesa solo dell'argento o della moneta, ma va estesa a tutte le cose che sono bramate senza moderazione ».
Ora, in ogni peccato si riscontra una brama smoderata di qualcosa: poiché il peccato consiste nell'aderire a dei beni creati disprezzando il bene increato, come si è visto sopra [ I-II, q. 71, a. 6, ob. 3 ].
Quindi l'avarizia è un peccato generico.
2. Secondo S. Isidoro [ Etym. 10 ], avaro deriva da avidus - aeris, avido di danaro: infatti in greco l'avarizia è detta filargiria, cioè amore dell'argento.
Ma col termine argento, che sta a indicare il danaro, vengono designati tutti i beni esterni che possono essere valutati in danaro, come sopra [ q. 117, a. 2, ad 2 ] si è detto.
Perciò l'avarizia consiste nel desiderio di qualsiasi bene esterno.
È quindi chiaro che essa è un peccato generico.
3. A commento di quel testo di S. Paolo [ Rm 7,7 ]: « Non avrei conosciuto la concupiscenza », la Glossa [ ord. ] afferma: « La legge è buona, poiché col proibire la concupiscenza proibisce qualsiasi peccato ».
Ma l'antica legge, a quanto pare, proibisce in modo speciale la concupiscenza dell'avarizia con il comandamento [ Es 20,17 ]: « Non desiderare la roba d'altri ».
Quindi in questa concupiscenza è incluso ogni male.
E così l'avarizia è un peccato generico.
S. Paolo [ Rm 1,29 ] enumera l'avarizia tra altri peccati specifici: « ripieni di ogni ingiustizia, malvagità, fornicazione, avarizia », ecc.
I peccati, come si è visto [ I-II, q. 72, a. 1 ], ricevono la specie dal loro oggetto.
Ma l'oggetto del peccato è il bene verso cui tende l'appetito disordinato.
Quindi dove si riscontra una speciale forma di bene disordinatamente bramato, là si trova una speciale forma di peccato.
Ora, la struttura del bene utile è diversa da quella del bene dilettevole, e le ricchezze sono per se stesse dei beni utili: sono infatti desiderate perché possono essere usate dall'uomo.
Perciò l'avarizia è un peccato specifico, essendo la passione disordinata di avere dei possessi, designati col termine danaro, il quale giustifica l'etimologia del nome avarizia [ cf. ob. 2 ].
Siccome però il verbo avere, che in primo luogo si riferisce alle sostanze di cui siamo padroni in senso pieno, può applicarsi anche a molte altre cose - per cui si dice, come nota Aristotele [ Praed. 12 ], che un uomo ha la salute, la moglie, il vestito, ecc. -, anche il termine avarizia viene esteso talvolta a ogni appetito disordinato di avere qualsiasi cosa.
P. es. S. Gregorio [ In Evang. hom. 16 ] afferma che « non c'è soltanto l'avarizia del danaro, ma c'è pure quella della scienza e dell'ambizione, quando si aspira troppo a salire ».
Ora, presa in questo senso l'avarizia non è un peccato specifico.
Ed è così che la intende S. Agostino nel testo riferito [ ob. 1 ].
1. È così risolta la prima obiezioni.
2. Tutti i beni esterni a servizio della vita umana sono compresi nel termine danaro, in quanto hanno l'aspetto di beni utili.
Ci sono però dei beni esterni conseguibili col danaro, come gli onori, i piaceri, ecc., i quali sono appetibili per altri motivi.
Perciò la brama di essi non può dirsi avarizia nel senso in cui questa è un vizio speciale.
3. Il testo della Glossa parla della concupiscenza disordinata di qualsiasi cosa.
Infatti si può intendere facilmente che col proibire la concupiscenza delle ricchezze si è voluta proibire la concupiscenza di quanto si può acquistare con esse.
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