Summa Teologica - II-II

Indice

Articolo 8 - Se le figlie dell'avarizia siano quelle comunemente indicate

Supra, q. 55, a. 8; De Malo, q. 13, a. 3

Pare che le figlie dell'avarizia non siano quelle comunemente indicate, cioè: « il tradimento, la frode, la bugia, gli spergiuri, l'inquietudine, le violenze e la durezza di cuore ».

Infatti:

1. Abbiamo detto [ a. 3 ] che l'avarizia si contrappone alla liberalità.

Ora il tradimento, la frode e la bugia si contrappongono alla prudenza, gli spergiuri alla religione, l'inquietudine alla speranza, o alla carità che si acquieta nella persona amata, le violenze alla giustizia, la durezza alla misericordia.

Perciò questi vizi non hanno alcun legame con l'avarizia.

2. Il tradimento, la frode e la bugia paiono ridursi alla stessa cosa, cioè all'inganno del prossimo.

Quindi non vanno enumerate come tre figlie distinte dell'avarizia.

3. S. Isidoro [ Quaest. in Dt 16 ] enumera nove figlie dell'avarizia: «l a menzogna, la frode, il furto, lo spergiuro, la brama di illeciti guadagni, le false testimonianze, le violenze, l'inumanità, la rapacità ».

Quindi il primo elenco non era esauriente.

4. Il Filosofo [ Ethic. 4,1 ] accenna a più specie di vizi appartenenti all'avarizia, da lui denominata illiberalità, ricordando « gli spilorci, i taccagni, i venditori di cumino, coloro che compiono opere illiberali, gli sfruttatori delle meretrici, gli usurai, i giocatori d'azzardo, i violatori dei sepolcri, i briganti ».

Perciò l'elenco indicato è insufficiente.

5. I tiranni sono quelli che infliggono ai loro sudditi le violenze più gravi.

Ora, il Filosofo [ ib. ] afferma che « i tiranni che devastano le città e depredano i templi non li chiamiamo illiberali », cioè avari.

Quindi la violenza non può essere considerata una figlia dell'avarizia.

In contrario:

S. Gregorio [ Mor. 31,45 ] assegna all'avarizia le figlie sopra indicate.

Dimostrazione:

Si dicono figlie dell'avarizia i vizi che da essa derivano specialmente sotto l'aspetto della causalità finale.

Essendo dunque l'avarizia l'amore eccessivo delle ricchezze, va notato che l'eccesso può verificarsi in due modi.

Primo, nel trattenerle.

E allora dall'avarizia nasce la durezza di cuore: poiché il cuore dell'avaro non si intenerisce con la misericordia, così da soccorrere i poveri con le sue ricchezze.

- Secondo, è proprio dell'avarizia eccedere nel prendere.

E sotto questo aspetto il vizio può essere considerato in due fasi distinte.

Prima di tutto in quanto è nell'affetto.

E allora dall'avarizia nasce l'inquietudine, poiché essa suscita nell'uomo preoccupazione e premure eccessive: infatti, come si legge [ Qo 5,9 ], « chi ama il danaro mai si sazia di danaro ».

- In secondo luogo si può considerare l'avarizia nell'effetto.

E allora essa nell'acquistare la roba altrui talora usa la forza, e abbiamo la violenza; talora invece usa l'inganno.

E se questo avviene mediante la parola, si avrà la bugia, nelle semplici asserzioni, e lo spergiuro quando a conferma si aggiunge il giuramento.

Se poi l'inganno avviene con i fatti, allora se si tratta di cose avremo la frode, se di persone invece avremo il tradimento, come è evidente nel caso di Giuda, il quale fu spinto dall'avarizia a tradire Cristo [ Mt 26,15 ].

Analisi delle obiezioni:

1. Non è necessario che le figlie di un peccato capitale appartengano al genere di quest'ultimo: poiché al fine di un dato vizio possono essere indirizzati anche i peccati di un altro genere.

Infatti una cosa sono le figlie e un'altra le specie di un peccato.

2. Quei tre peccati si distinguono nel modo che abbiamo detto [ nel corpo ].

3. Le nove figlie ricordate da S. Isidoro si riducono alle sette sopra indicate.

Infatti la menzogna e la falsa testimonianza sono incluse nella bugia: poiché la falsa testimonianza non è che una specificazione della menzogna; come anche il furto è una certa specificazione della frode, per cui è incluso nella frode.

La brama poi di illeciti guadagni rientra nell'inquietudine.

Invece la rapacità non è che una specie della violenza.

L'inumanità, poi, si identifica con la durezza di cuore.

4. I vizi ricordati da Aristotele non sono figlie, bensì specie della illiberalità, o avarizia.

Infatti uno può dirsi illiberale, o avaro, per il fatto che è restio a dare: se dà poco viene detto tirchio; se non dà nulla taccagno, e se dà con grande obiezioni viene detto venditore di cumino, poiché fa tanto sforzo per cose da nulla.

- Altre volte invece si dice che uno è illiberale, o avaro, perché eccede nel prendere.

E ciò può avvenire in due modi.

Primo, perché uno fa dei guadagni turpi: o con l'esercizio di mestieri vili e da schiavi mediante opere illiberali; o col guadagnare mediante atti peccaminosi, cioè col meretricio, o con altre azioni del genere; oppure perché, come fanno gli usurai, si arricchisce con prestazioni che dovrebbero essere concesse gratuitamente; o anche perché « affronta gravi fatiche per guadagnare una piccolezza ».

- Secondo, perché si arricchisce agendo contro la giustizia: o facendo violenza ai vivi, come i briganti; oppure « spogliando i morti », o rovinando gli amici, come fanno i giocatori d'azzardo.

5. L'illiberalità, come anche la liberalità, riguarda ricchezze di modeste proporzioni.

Perciò i tiranni, che con la violenza si impossessano di valori ingenti, non vanno detti illiberali, ma ingiusti.

Indice