Summa Teologica - II-II |
Infra, q. 162, a. 1, ad 3; In 4 Ethic., lect. 11
Pare che la pusillanimità non si contrapponga alla magnanimità.
1. Il Filosofo [ Ethic. 4,3 ] scrive che « il pusillanime misconosce se stesso: se infatti si conoscesse bramerebbe i beni di cui è degno ».
Ora, il misconoscimento di sé si contrappone alla prudenza.
Quindi anche la pusillanimità si contrappone alla prudenza.
2. Il Signore [ Mt 25,26 ] chiama « cattivo e pigro » il servo che si rifiutò di trafficare il danaro.
E anche il Filosofo [ l. cit. ] dice che i pusillanimi « sono dei pigri ».
Ma la pigrizia è il contrario della sollecitudine, che è un atto della prudenza, come sopra [ q. 47, a. 9 ] si è detto.
Perciò la pusillanimità non si contrappone alla magnanimità.
3. La pusillanimità pare derivare da un timore eccessivo.
Da cui le parole di Isaia [ Is 35,4 ]: « Dite ai pusillanimi: Coraggio! Non temete ».
E così pure pare derivare da un'ira smodata, stando a quelle altre parole di S. Paolo [ Col 3,21 ]: « Padri, non esasperate i vostri figli, perché non divengano pusillanimi ».
Ora, l'eccesso del timore si contrappone alla fortezza, e quello dell'ira alla mansuetudine.
Quindi la pusillanimità non si contrappone alla magnanimità.
4. Il vizio che si oppone a una virtù è tanto più grave quanto meno le è simile.
Ma la pusillanimità assomiglia alla magnanimità meno della presunzione.
Se quindi essa fosse effettivamente contraria alla magnanimità sarebbe un peccato più grave della presunzione.
Ciò però va contro quel detto della Scrittura [ Sir 37,3 Vg ]: « O presunzione nefanda, da dove sei uscita? ».
Quindi la pusillanimità non si contrappone alla magnanimità.
La pusillanimità e la magnanimità, come dice il nome stesso, sono contrarie come la piccolezza e la grandezza.
Ma grande e piccolo sono termini opposti.
Quindi la pusillanimità si contrappone alla magnanimità.
La pusillanimità può essere considerata sotto tre aspetti.
Primo, in se stessa.
E sotto questo aspetto è evidente che per sua natura essa si contrappone alla magnanimità, dalla quale differisce come la grandezza e la piccolezza rispetto all'identica cosa: come infatti il magnanimo tende per se stesso alle cose grandi, così il pusillanime per la sua piccolezza d'animo se ne ritrae.
Secondo, la pusillanimità può essere considerata nella sua causa: e questa dal lato dell'intelletto è il misconoscimento delle proprie capacità, mentre dal lato della volontà è il timore di non riuscire nelle cose che uno crede falsamente superiori alle sue possibilità.
Terzo, può essere considerata nel suo effetto, che è la rinunzia alle cose grandi di cui uno è degno.
Ma la contrarietà dei vizi alle virtù, come sopra [ q. 127, a. 2, ad 2 ] si è detto, va rilevata più in base alla loro rispettiva natura specifica che in base alle cause o agli effetti.
Quindi la pusillanimità si contrappone direttamente alla magnanimità.
1. L'argomento si basa sulla pusillanimità considerata nella sua causa di ordine intellettivo.
E tuttavia non si può dire propriamente che essa si contrappone alla prudenza, neppure rispetto alla sua causa: poiché tale misconoscimento non deriva da insipienza, ma piuttosto dalla pigrizia nel valutare le proprie capacità, come dice Aristotele [ l. cit. nell'ob. ], o nell'intraprendere ciò di cui uno è capace.
2. La obiezioni si basa sulla pusillanimità considerata nei suoi effetti.
3. L'obiezione si ferma a considerare la pusillanimità nelle sue cause.
Non sempre però il timore che causa la pusillanimità ha per oggetto i pericoli di morte.
Quindi anche da questo lato non segue necessariamente che la pusillanimità si contrapponga alla fortezza.
- L'ira poi, considerata nel suo moto connaturale che porta a insorgere per vendicarsi, non produce la pusillanimità, che deprime l'animo, ma piuttosto la elimina.
Induce però alla pusillanimità a motivo delle sue cause, che sono le ingiurie ricevute, dalle quali l'animo di chi le subisce risulta depresso.
4. La pusillanimità per sua natura è un peccato più grave della presunzione: poiché con essa l'uomo si ritrae dal bene, il che, secondo il Filosofo [ l. cit. ], è la cosa peggiore.
Si dice tuttavia che la presunzione è nefanda a motivo della superbia da cui deriva.
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