Summa Teologica - II-II |
Infra, q. 142, a. 1; I-II, q. 63, a. 4; De Malo, q. 14, a. 1, ad 1; In 3 Ethic., lect. 21
Pare che la regola della temperanza non vada desunta in base alle necessità della vita presente.
1. Ciò che è superiore non deve essere regolato da ciò che è inferiore.
Ora la temperanza, essendo una virtù dell'anima, è superiore alle necessità del corpo.
Quindi la regola della temperanza non va desunta dalle necessità corporali.
2. Chi non rispetta la regola fa peccato.
Se quindi la necessità del corpo fosse la regola della temperanza, chiunque si servisse di un qualche piacere oltre la necessità della natura, la quale si accontenta di molto poco, peccherebbe contro la temperanza.
Il che è inammissibile.
3. Chi sta alla regola non pecca.
Ora, se la necessità del corpo fosse la regola della temperanza, chiunque si servisse di un qualche piacere per una necessità del corpo, p. es. per la guarigione, sarebbe immune dal peccato.
Ma ciò è falso.
Quindi la necessità del corpo non è la regola della temperanza.
S. Agostino [ De mor. Eccl. 1,21 ] insegna: « L'uomo temperante ha riguardo alle cose della vita presente questa regola stabilita nell'uno e nell'altro Testamento: cioè di non amarne e non desiderarne alcuna per se stessa, ma di servirsene per le necessità e i compiti della vita presente quanto basta: con la moderazione di chi ne usa, non già con l'affetto di chi le ama ».
Come si è già spiegato [ q. 123, a. 12 ], il bene di una virtù morale consiste principalmente nell'ordine della ragione: infatti « il bene dell'uomo è di essere conforme alla ragione », secondo l'espressione di Dionigi [ De div. nom. 4 ].
Ora, l'ordine principale della ragione consiste nell'ordinare le cose al loro fine, ed è in questo ordine che massimamente consiste il bene della ragione: infatti il bene ha natura di fine, e il fine stesso è la regola dei mezzi ordinati al fine.
Ma tutte le cose piacevoli che l'uomo può usare sono ordinate come a loro fine a una necessità della vita presente.
Quindi la temperanza prende le necessità di questa vita come regola nei piaceri di cui si serve: in modo da farne uso secondo quanto richiede la necessità della vita presente.
1. Le necessità di questa vita possono fungere da regola in quanto costituiscono un fine, come si è detto [ nel corpo ].
Ora, si deve notare che talvolta il fine dell'operante è distinto dal fine intrinseco dell'opera: come il fine della costruzione è la casa, ma il fine del costruttore può essere il guadagno.
Così dunque il fine e la regola della temperanza stessa è la beatitudine, ma il fine e la regola di ciò di cui essa si serve sono le necessità della vita umana, al di sotto delle quali si trova ciò che è al servizio della vita.
2. Il necessario alla vita umana può essere inteso in due modi:
primo, nel senso di « indispensabile all'esistenza », come il cibo è necessario all'animale [ Arist., Met. 4,5 ];
secondo, nel senso di « indispensabile per esistere in maniera conveniente » [ ib. 11,7 ].
Ora, la temperanza non guarda soltanto al primo, ma anche al secondo tipo di necessità: infatti il Filosofo [ Ethic. 3,11 ] afferma che « il temperante desidera le cose piacevoli per la salute, o per il benessere ».
Invece le altre cose che non sono necessarie a questi fini possono essere di due generi.
Alcune sono di impedimento alla salute e al benessere.
E di esse l'uomo temperante in nessun modo fa uso: poiché sarebbe un peccato contro la temperanza.
Altre invece non pregiudicano tali cose.
E di esse l'uomo temperante fa uso con moderazione secondo le circostanze di tempo e di luogo, e in rapporto alle persone con le quali convive.
Per cui il Filosofo aggiunge che il temperante desidera « le altre cose piacevoli », cioè quelle che non sono indispensabili per la salute e il benessere, « in quanto non sono di ostacolo a questi beni ».
3. La temperanza, come sopra [ ad 2 ] si è detto, considera la necessità secondo le esigenze della vita presente.
E queste non si limitano alle necessità del corpo, ma abbracciano anche le esigenze dei beni esterni, quali ad es. le ricchezze e le cariche; e più ancora le esigenze dell'onestà.
Infatti il Filosofo nel testo citato aggiunge che l'uomo temperante nell'usare dei piaceri cerca non soltanto che non siano di ostacolo alla salute e al benessere del corpo, ma anche che non siano « al di là del bene », cioè contro l'onestà; e che non siano « al di là delle sostanze », ossia superiori ai propri mezzi economici.
E S. Agostino [ De mor. Eccl. 1,21 ] insegna che l'uomo temperante non guarda solo « alla necessità della vita presente », ma anche « ai propri compiti ».
Indice |