Summa Teologica - II-II |
In 3 Sent., d. 33, q. 3, a. 2
Pare che Cicerone [ De invent. 2,54 ] non abbia ben determinato le parti della temperanza, che a suo parere sono « la continenza, la clemenza e la modestia ».
1. Aristotele [ Ethic. 7, cc. 1,9 ] contrappone la continenza alla virtù.
Ma la temperanza rientra nelle virtù.
Quindi la continenza non è una parte della temperanza.
2. La clemenza è chiamata a moderare l'odio, o l'ira.
Ma la temperanza, come si è visto [ q. 141, a. 4 ], non ha tali oggetti, bensì piuttosto i piaceri del tatto.
Perciò la clemenza non è una parte della temperanza.
3. La modestia riguarda gli atti esterni, come appare dalle parole dell'Apostolo [ Fil 4,5 ]: « La vostra modestia sia nota a tutti gli uomini ».
Ma gli atti esterni sono materia della giustizia, come sopra [ q. 58, a. 8 ] si è spiegato.
Quindi la modestia appartiene più alla giustizia che alla temperanza.
4. Macrobio [ Sup. somn. Scip. 1,8 ] enumera molte altre parti della temperanza: egli scrive infatti che accompagnano la temperanza « la modestia, la vergogna, l'astinenza, la castità, l'onestà, la moderazione, la parsimonia, la sobrietà, la pudicizia ».
E anche Andronico [ De affect. ] insegna che appartengono alla famiglia della temperanza « l'austerità, la continenza, l'umiltà, la semplicità, il decoro, il buon ordine e l'economia ».
Quindi l'enumerazione di Cicerone è inadeguata.
Una virtù cardinale, come si è visto [ q. 48, q. 128 ] può avere tre tipi di parti, cioè: integranti, soggettive e potenziali.
Si dicono parti integranti di una virtù quelle condizioni che devono concorrere a costituirla.
E in questo senso due sono le parti integranti della temperanza: cioè la vergogna, che spinge a fuggire la turpitudine contraria alla temperanza e l'onestà, che porta ad amarne la bellezza.
Infatti la temperanza, come si è già spiegato [ q. 141, a. 2, ad 3; a. 8, ad 1; q. 142, a. 4 ], fra tutte le virtù è quella che maggiormente implica un certo decoro, e i vizi ed essa contrari sono quelli più indecorosi.
Le parti soggettive di una virtù sono invece le sue specie.
Ora, le specie di una virtù si distinguono in base alla materia, ossia all'oggetto.
Ma la temperanza ha per oggetto i piaceri del tatto, che sono di due generi.
Alcuni sono ordinati alla nutrizione.
E rispetto ad essi in rapporto al cibo abbiamo l'astinenza, e in rapporto alla bevanda abbiamo propriamente la sobrietà.
- Altri piaceri invece sono ordinati alla generazione.
E rispetto ad essi in rapporto al piacere principale dell'atto sessuale stesso abbiamo la castità, mentre in rapporto ai piaceri connessi, come i baci, i toccamenti e gli abbracci, abbiamo la pudicizia.
Infine le parti potenziali di una data virtù sono quelle virtù secondarie che in certe altre materie meno difficili si regolano come la virtù principale nella sua materia propria.
Ora, la temperanza ha il compito di moderare i piaceri del tatto, che sono i più difficili a moderarsi.
Perciò tutte le altre virtù che comportano una certa moderazione o un freno dell'appetito verso qualcosa possono essere considerate parti della temperanza, come virtù annesse.
E ciò può avvenire in tre modi:
primo, nei moti interiori dell'animo;
secondo, nei moti e negli atti esterni del corpo;
terzo, nelle cose esterne.
Ora nell'anima, oltre al moto della concupiscenza, che è tenuto a freno dalla temperanza, ci sono tre moti appetitivi.
Il primo è il moto della volontà agitata dall'impeto della passione: e questo moto è tenuto a freno dalla continenza, la quale fa sì che, nonostante i moti incomposti della concupiscenza, tuttavia la volontà non sia sopraffatta.
Il secondo moto interiore che tende verso qualcosa è invece il moto della speranza, e dell'audacia che la accompagna: e questo moto viene tenuto a freno dall'umiltà.
Il terzo infine è il moto dell'ira, che tende alla vendetta: ed esso è tenuto a freno dalla mansuetudine, o clemenza.
- Moderare poi e frenare gli atti del corpo è proprio della modestia, che Andronico divide nelle sue tre funzioni.
La prima consiste nel discernere ciò che è da farsi o da omettersi, nello stabilire in quale ordine procedere, e infine nel persistere con fermezza in quanto si è deciso: e quanto a ciò egli assegna il buon ordine.
La seconda consiste invece nell'agire rispettando le convenienze: e quanto a ciò egli parla di decoro.
La terza infine si applica ai colloqui con gli amici, o con altre persone qualsiasi: e in rapporto ad essa abbiamo l'austerità.
- In rapporto poi alle cose esterne due sono le norme che la moderazione consiglia di applicare.
Primo, che non si cerchi il superfluo: e così Macrobio nomina la parsimonia, e Andronico l'economia.
Secondo, che non si cerchino cose troppo delicate: e in proposito Macrobio parla di moderazione, e Andronico di semplicità.
1. La continenza, come vedremo meglio in seguito [ q. 155, a. 1 ], differisce dalla virtù come l'imperfetto differisce dal perfetto.
Tuttavia essa coincide con la temperanza nella materia, avendo per oggetto i piaceri del tatto; e anche nell'atteggiamento, poiché consiste nel porre un certo freno.
È quindi giusto che venga posta fra le parti della temperanza.
2. La clemenza, o mansuetudine, è una parte della temperanza non per l'identità della materia, ma in quanto è affine ad essa poiché, come si è visto [ nel corpo ], frena e modera l'appetito.
3. Negli atti esterni la giustizia considera solo il debito verso gli altri.
Invece la modestia non bada a questo, ma solo a imporre una certa moderazione.
E così essa non viene posta fra le parti della giustizia, ma fra quelle della temperanza.
4. Cicerone col termine modestia abbraccia tutto ciò che riguarda la moderazione delle cose esterne e dei moti del corpo; e persino la moderazione della speranza, che come si è visto [ ib. ] appartiene all'umiltà.
Indice |