Summa Teologica - II-II |
III, q. 15, a. 9; In 3 Sent., d. 15, q. 2, a. 2, sol. 2; De Malo, q. 12, a. 1; Expos. in Decal., c. De Quarto Praecepto; In Iob., c. 17, lect. 1; In Ephes., c. 4, lect. 8
Pare che non possa mai essere lecito adirarsi.
1. S. Girolamo [ In Mt ], nel commentare quel testo di S. Matteo [ Mt 5,22 ]: « Chiunque si adira con il proprio fratello », ecc., afferma: « In alcuni codici c'è l'aggiunta: "senza motivo"; però nei migliori l'affermazione è categorica, e l'ira è del tutto proibita ».
Quindi in nessun modo è lecito adirarsi.
2. Secondo Dionigi [ De div. nom. 4 ] « il male dell'anima sta nell'agire senza ragione ».
Ma l'ira è sempre senza ragione, poiché il Filosofo [ Ethic. 7,6 ] insegna che « l'ira non ascolta perfettamente la ragione ».
Inoltre S. Gregorio [ Mor. 5,45 ] scrive che « quando l'ira turba la tranquillità dell'anima, in qualche modo la sbrana e la spezza ».
E Cassiano [ De instit. coenob. 8,6 ] dichiara: « Qualunque sia la causa del divampare dell'ira, essa acceca l'occhio del cuore ».
Perciò adirarsi è sempre un peccato.
3. Come dice la Glossa [ ord. su Lv 19,17 ], « l'ira è il desiderio della vendetta ».
Ma desiderare la vendetta non è lecito, poiché essa va lasciata a Dio, secondo le parole del Deuteronomio [ Dt 32,35 ]: « A me la vendetta ».
Quindi adirarsi è sempre un peccato.
4. Tutto ciò che ci rende dissimili da Dio è peccaminoso.
Ma l'ira ci rende sempre dissimili da Dio: poiché Dio, come dice la Scrittura [ Sap 12,18 ], « giudica con mitezza ».
Quindi adirarsi è sempre un peccato.
Il Crisostomo [ Op. imp. in Mt hom. 11 ] afferma: « Chi si adira senza ragione è colpevole, ma non lo è chi si adira con ragione.
Infatti senza l'ira l'insegnamento non riesce, la giustizia non si regge e i delitti non vengono repressi ».
Perciò l'ira non è sempre peccaminosa.
Propriamente parlando, l'ira è una certa passione dell'appetito sensitivo, dalla quale prende nome la facoltà dell'irascibile, come si è detto nel trattato sulle passioni [ I-II, q. 25, a. 3, ad 1; q. 46, a. 1 ].
Ora, nelle passioni il peccato può trovarsi in due modi.
Primo, per la natura stessa della passione, natura che viene desunta dal suo oggetto.
L'invidia, p. es., per sua natura implica un peccato, essendo il dispiacere per il bene altrui, dispiacere che per se stesso ripugna alla ragione.
Perciò, come dice il Filosofo [ Ethic. 2,6 ], l'invidia « nel suo nome stesso indica qualcosa di peccaminoso ».
Ma questo non è il caso dell'ira, che è una brama di vendetta: poiché il desiderio di vendicarsi può essere buono o cattivo.
Secondo, il peccato può riscontrarsi in una passione per l'intensità di questa, cioè per i suoi eccessi o per la sua debolezza.
E da questo lato nell'ira è possibile riscontrare il peccato: quando cioè uno si adira più o meno di quanto esiga la retta ragione.
Se invece uno si adira secondo la retta ragione, allora l'ira è lodevole.
1. Gli Stoici consideravano l'ira e le altre passioni come degli affetti estranei all'ordine della ragione, e quindi le ritenevano cattive, come si è detto sopra trattando delle passioni [ I-II, q. 24, a. 2 ].
Ed è in questo senso che parla dell'ira S. Girolamo: poiché egli parla dell'ira verso il prossimo come di qualcosa che tende al male del medesimo.
- Invece secondo i Peripatetici, la cui dottrina S. Agostino [ De civ. Dei 9,4 ] considera più giusta, l'ira e le altre passioni dell'anima sono dei moti dell'appetito sensitivo più o meno regolati dalla ragione.
Per cui l'ira non è sempre peccaminosa.
2. Due possono essere i rapporti dell'ira con la ragione.
Primo, l'ira può essere antecedente.
E allora svia la ragione dalla sua rettitudine, per cui è peccaminosa.
Secondo, può essere conseguente: in quanto cioè l'appetito sensitivo viene mosso contro i vizi secondo l'ordine della ragione.
E questa ira è buona, ed è chiamata zelo.
Da cui le parole di S. Gregorio [ Mor. 5,45 ]: « Si deve soprattutto badare a che l'ira, di cui ci si serve come di uno strumento della virtù, non domini l'animo: affinché non vada innanzi da padrona, ma sia soggetta alla ragione come serva, e la segua sempre ».
E sebbene quest'ira nell'esecuzione dell'atto ostacoli in qualche modo il giudizio della ragione, tuttavia non ne compromette la rettitudine.
Per cui S. Gregorio aggiunge: « L'ira dello zelo turba l'occhio della ragione, ma l'ira del peccato lo acceca ».
Ora, non è contro la virtù interrompere la funzione del deliberare mentre si mettono in esecuzione le deliberazioni della ragione.
Poiché anche l'arte sarebbe impedita nei suoi atti se quando deve agire deliberasse ancora sul da farsi.
3. Desiderare la vendetta per il male di chi va punito è illecito, ma desiderarla per la soppressione dei vizi e la conservazione del bene della giustizia è lodevole.
E l'appetito sensitivo può tendere a ciò sotto la mozione della ragione.
Inoltre quando la vendetta è fatta secondo giustizia viene da Dio, del quale l'autorità che punisce è ministra, come dice S. Paolo [ Rm 13,4 ].
4. Noi possiamo e dobbiamo assomigliare a Dio nel desiderio del bene, ma nel modo non possiamo assomigliargli del tutto: poiché in Dio non c'è, come in noi, l'appetito sensitivo, i cui moti devono seguire la ragione.
Per cui S. Gregorio [ l. cit. ] afferma che « la ragione si erge con più forza contro i vizi quando è accompagnata e assecondata dall'ira ».
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