Summa Teologica - II-II |
In 3 Sent., d. 35, q. 2, a. 3, sol. 3
Pare che gli atteggiamenti esterni del corpo non siano oggetto di alcuna virtù.
1. Tutte le virtù rientrano nella bellezza spirituale dell'anima, a proposito della quale si legge [ Sal 45,14 Vg ]: « Tutta la gloria della figlia del re è nell'interno », « ossia nella coscienza », spiega la Glossa [ interlin. ].
Ora, gli atteggiamenti del corpo non sono interni, ma esterni.
Quindi tali atteggiamenti non possono essere oggetto di virtù.
2. Come insegna Aristotele [ Ethic. 2,1 ], « le virtù non sono in noi per natura ».
Invece i moti esterni del corpo sono dovuti alla natura: cosicché alcuni sono più veloci, altri più lenti; e lo stesso si dica delle altre proprietà di questi moti.
Perciò tali moti non sono oggetto di virtù.
3. Tutte le virtù morali riguardano o gli atti esterni che si riferiscono al prossimo, come la giustizia, oppure le passioni, come la temperanza e la fortezza.
Ora, i moti esterni del corpo non servono agli altri e non riguardano le passioni.
Quindi non sono oggetto di alcuna virtù.
4. Ogni atto virtuoso esige una certa cura, come si è visto sopra [ q. 166, a. 1, ob. 1; a. 2, ad 1 ].
Invece aver cura degli atteggiamenti esterni è riprovevole; scrive infatti S. Ambrogio [ De off. 1,18 ]: « C'è un incedere degno di approvazione e che denota autorità, gravità, tranquillità, però senza cura ricercata o affettazione, ma con un atteggiamento puro e semplice ».
Non c'è quindi alcuna virtù riguardo all'atteggiamento esterno.
La bellezza dell'onestà è propria della virtù.
Ora, la compostezza degli atteggiamenti esterni rientra in tale bellezza; scrive infatti S. Ambrogio [ De off. 1,19 ]: « Come non approvo nella voce e nel gesto alcunché di svenevole e di languido, così non approvo alcunché di rozzo e di villano.
Imitiamo la natura, che è esempio di disciplina e modello di onestà ».
Quindi la compostezza degli atteggiamenti esterni è oggetto di virtù.
La virtù morale consiste nel regolare con la ragione gli atti umani.
Ora, è evidente che gli atteggiamenti esterni dell'uomo sono ordinabili dalla ragione: poiché le membra esterne sono mosse dal suo comando.
Per cui è evidente che questi moti sono oggetto di una virtù morale.
Ora, l'ordine di questi moti deve badare a due cose: primo, al decoro personale; secondo, all'attenzione dovuta ad altre persone, cose o luoghi.
Da cui le parole di S. Ambrogio [ De off. 1,19 ]: « Vivere in bellezza è rispettare la convenienza di ogni sesso e di ogni persona ».
E ciò riguarda il primo punto.
Quanto al secondo poi aggiunge: « Ecco il miglior modo di comportarsi; ecco l'ornamento più indicato per ogni nostra azione ».
In base a ciò Andronico [ De affect. ] nomina due disposizioni a proposito di questi moti esterni.
« Il decoro », che riguarda la persona interessata, e che a suo dire è « la scienza delle buone creanze nel moto e nell'atteggiamento », e « il buon ordine », che riguarda le attenzioni dovute agli affari che si trattano e alle loro circostanze, e che a suo dire è « l'esperienza del discernimento », cioè della distinzione, « delle azioni ».
1. Gli atteggiamenti esterni sono l'indice delle disposizioni interne, poiché sta scritto [ Sir 19,27 ]: « Il vestito di un uomo, la bocca sorridente e la sua andatura rivelano chi egli è ».
E S. Ambrogio [ De off. 1,18 ] afferma che « le disposizioni della mente si scorgono nell'atteggiamento del corpo »; e che « i moti del corpo sono come l'espressione dell'animo ».
2. Sebbene l'uomo sia predisposto per natura a questo o a quell'altro atteggiamento esterno, tuttavia si può supplire con la ragione a ciò che manca alla natura.
Da cui le parole di S. Ambrogio [ ib. ]: « La natura dà forma al movimento; ma se nella natura c'è un vizio, l'educazione lo corregga ».
3. I moti esterni, come si è detto [ ad 1 ], sono l'indice delle disposizioni interiori, che sono determinate soprattutto dalle passioni.
Perciò la disciplina dei moti esterni richiede la disciplina delle passioni interne.
Per cui S. Ambrogio [ l. cit. ] afferma che « da questo », cioè dai moti esteriori, « si conosce se il nostro uomo interiore è leggero, superbo o agitato; oppure se è grave, costante, illibato e maturo ».
Inoltre in base ai movimenti esterni siamo giudicati dagli altri uomini, secondo quelle parole [ Sir 19,26 ]: « Dall'aspetto si conosce l'uomo, e dal volto si conosce l'uomo di senno ».
Perciò la disciplina dei moti esterni in qualche modo è ordinata agli altri, come accenna S. Agostino [ Epist. 211 ]: « In tutto il vostro comportamento non fate nulla che offenda lo sguardo altrui, ma tutto sia conforme alla vostra santità ».
E così la disciplina dei moti esteriori si può ridurre alle due virtù di cui parla il Filosofo nell'Etica [ 4, cc. 6,7 ].
Tali moti infatti, in quanto ordinano i nostri rapporti con gli altri sono moderati dall'« amicizia o affabilità », la quale ha il compito di partecipare con le parole e con i fatti alle gioie e ai dolori delle persone con le quali conviviamo.
In quanto invece sono i segni delle disposizioni interiori sono moderati dalla « veracità », o sincerità, con cui uno si mostra a parole e a fatti quale è interiormente.
4. Nella compostezza dei moti esterni viene biasimata quella cura con la quale uno arriva deliberatamente a travisare con essi le disposizioni interiori.
Bisogna invece impiegare quella cura che è necessaria per correggere gli eventuali difetti di tali moti.
Da cui l'ammonizione di S. Ambrogio [ De off. 1,18 ]: « Si elimini l'artificio, ma non manchi la correzione ».
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