Summa Teologica - II-II |
In 4 Sent., d. 14, q. 4, a. 2, sol. 1; C. G., III, c. 25; In Is., c. 3; In 4 Ethic., lect. 16
Pare che il gioco non possa essere oggetto di virtù.
1. S. Ambrogio [ De off. 1,23 ] scrive: « Il Signore ha detto: "Guai a voi che ora ridete, perché piangerete".
Perciò io penso che si debbano evitare non solo i giochi smodati, ma tutti i giochi ».
Ora, ciò che può essere compiuto in modo virtuoso non è da evitarsi totalmente.
Quindi il gioco non può essere oggetto di virtù.
2. La virtù, come sopra [ I-II, q. 55, a. 4 ] si è detto, « viene prodotta da Dio in noi senza di noi ».
Ora, il Crisostomo [ In Mt hom. 6 ] afferma: « Non Dio, ma il diavolo ispira il gioco.
Senti che cosa capitò ai giocatori: "Il popolo sedette per mangiare e per bere, e poi si alzò per darsi al gioco" » [ Es 32,6 ].
Quindi non ci può essere una virtù riguardante il gioco.
3. Il Filosofo [ Ethic. 10,6 ] insegna che « i giochi non sono ordinati a un altro fine ».
Invece per la virtù si richiede « che si agisca per un fine », come egli dice [ Ethic. 2,4 ].
Quindi il gioco non può essere oggetto di alcuna virtù.
Scrive S. Agostino [ De musica 2,14.26 ]: « Voglio inoltre che tu abbia compassione di te stesso: poiché è bene che il savio allenti la tensione dell'animo ».
Ora, il rilassamento dell'animo dal lavoro si compie con parole e con atti scherzosi.
Quindi alla persona sapiente e virtuosa spetta ogni tanto ricorrere a queste cose.
- E anche il Filosofo [ Ethic. 2,7; 4,8 ] a proposito del gioco parla dell'eutrapelìa, che noi potremmo chiamare giovialità.
Come l'uomo ha bisogno del riposo fisico per ritemprare il corpo, il quale non può lavorare di continuo per la limitazione delle sue energie, così ne ha bisogno anche dalla parte dell'anima, le cui forze sono adeguate solo per determinate attività.
Perciò quando l'anima si occupa oltre misura in qualche lavoro, sente lo sforzo e la fatica: specialmente perché nelle attività dell'anima collabora anche il corpo, dato che anche l'anima intellettiva si serve di facoltà che agiscono mediante organi corporei.
Ora, i beni connaturali all'uomo sono quelli sensibili.
E così quando l'anima, occupata in attività di ordine razionale, sia in campo pratico che speculativo, si eleva al disopra delle realtà sensibili, sente una certa fatica.
Soprattutto però se attende all'attività contemplativa, perché allora si eleva maggiormente sui sensi; sebbene forse la fatica del corpo in certe attività della ragione pratica sia maggiore.
Tuttavia, sia nel primo che nel secondo caso, tanto più uno si affatica nell'anima quanto più grande è l'impegno col quale attende alla sua attività razionale.
Ora, come la fatica fisica si smaltisce con il riposo del corpo, così la fatica dell'anima deve smaltirsi con il riposo dell'anima.
Ma il riposo dell'anima è il piacere, come si è detto sopra [ I-II, q. 25, a. 2; q. 31, a. 1, ad 2 ] nel trattato sulle passioni.
Quindi per lenire la fatica dell'anima bisogna ricorrere a un piacere, interrompendo la fatica delle occupazioni di ordine razionale.
Come in Cassiano [ Coll. 24,21 ] si legge che S. Giovanni Evangelista, essendosi alcuni scandalizzati per averlo trovato mentre giocava con i suoi discepoli, comandò a uno di loro, che aveva un arco, di lanciare una freccia.
E avendo costui fatto questo più volte, gli domandò se poteva ripetere di continuo quel gesto.
L'arciere rispose che in tal caso l'arco si sarebbe spezzato.
E allora S. Giovanni replicò che anche l'animo si spezzerebbe se non gli fosse mai concesso un po' di riposo.
Ora, le parole e gli esercizi in cui si cerca soltanto la distensione dell'animo vengono detti scherzosi, o giocosi.
È quindi necessario ricorrere ad essi a ristoro dell'anima.
Per questo il Filosofo [ Ethic. 4,8 ] afferma che « nel corso della vita si ha un riposo nel gioco »: quindi talora bisogna ricorrervi.
Però in proposito occorre badare specialmente a tre cose.
Prima di tutto a che questo piacere non venga mai cercato in atti o parole turpi o dannose.
Per cui Cicerone [ De off. 1,29 ] scrive in proposito che « c'è un tipo di gioco scortese, insolente, delittuoso e osceno ».
- La seconda cosa a cui badare è che l'anima non abbandoni del tutto la sua gravità.
Da cui le parole di S. Ambrogio [ De off. 1,20 ]: « Nel rilassare l'animo badiamo a non dissolvere ogni armonia, che è come l'accordo delle opere buone ».
E Cicerone [ l. cit. ] scrive che « come ai fanciulli non diamo ogni libertà nel gioco, ma solo quella che non si scosta dall'onestà, così anche nel nostro gioco deve brillare la luce dell'animo retto ».
- In terzo luogo si deve badare, qui come anche in tutte le altre azioni umane, a che il divertimento sia adatto alle persone, al tempo, al luogo e a tutte le altre debite circostanze: cioè, come scrive Cicerone [ ib. ], a che « sia degno del tempo e dell'uomo ».
Ora, tutte queste norme sono ordinate dalla ragione.
Ma un abito che agisce in conformità con la ragione è una virtù.
Quindi il gioco può essere oggetto di una virtù, che il Filosofo chiama « eutrapelìa ».
E si dice che uno è eutrapelos da buona versione: poiché sa volgere bene in ischerzo i fatti e le parole.
E siccome questa virtù fa evitare gli eccessi nel gioco, essa rientra nella modestia.
1. Lo scherzo deve essere adatto alle cose e alle persone, come si è spiegato [ nel corpo ].
Per cui anche Cicerone [ De invent. 1,17 ] scrive che quando gli uditori sono stanchi «può essere utile all'oratore rifarsi a qualcosa di nuovo e di ridicolo; a meno che la gravità dell'argomento non escluda la possibilità di scherzare ».
Ora, l'insegnamento sacro verte sulle cose più importanti, secondo le parole della Sapienza [ Pr 8,6 ]: « Ascoltate, perché dirò cose elevate ».
Perciò S. Ambrogio non esclude totalmente il gioco dal vivere umano, ma solo dall'insegnamento sacro.
Aveva infatti già detto in precedenza: « Sebbene talora lo scherzo sia onesto e gradito, tuttavia esso non è compatibile con la disciplina ecclesiastica: e come oseremo noi introdurre ciò che non si riscontra nella Sacra Scrittura? »
2. Le parole del Crisostomo si riferiscono a quelli che abusano del gioco, e specialmente a coloro che mettono nel piacere del gioco il loro fine ultimo; come quelli di cui parla la Scrittura [ Sap 15,12 ]: « Pensano che la nostra vita sia un gioco ».
Contro di essi Cicerone [ l. cit. ] afferma: « Non siamo stati generati dalla natura per il gioco e il divertimento, ma piuttosto per le cose serie, e per degli impegni più gravi e più importanti ».
3. I giochi secondo la loro natura non sono ordinati a un fine, ma il piacere che procurano è ordinato alla ricreazione e al riposo dell'anima.
E per questo è lecito servirsi di essi, se vengono praticati con moderazione.
Scrive infatti Cicerone [ ib. ]: « È lecito fare uso anche del gioco e del divertimento, come è lecito il sonno e ogni altro riposo, ma solo dopo aver soddisfatto agli impegni gravi e seri ».
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