Summa Teologica - III

Indice

L'Eucaristia

( III, qq. 73-83 )

1 - È stato affermato più volte che un trattato teologico, per essere un contributo valido allo sviluppo del dogma, deve nascere da un'anima quale vitale esercizio delle sue virtù teologali, ebbene il De Eucharistia di S. Tommaso possiamo considerarlo come la riprova più convincente di codesta affermazione.

Esso infatti si presenta non solo come il frutto maturo di lunghi anni di riflessione e di studio; ma prima ancora come espressione serena ed equilibrata di tutta una vita eucaristica.

I Il trattato sull'Eucarestia nella vita di S. Tommaso.

2 - L'agiografia scarna e frammentaria dell'Aquinate non ci fa conoscere che pochi particolari della sua esistenza, data la lontananza della canonizzazione e delle biografie dalla morte del Santo; ma il suo fervore eucaristico fu così grande, da imprimersi nella memoria di quanti lo conobbero.

I testimoni giurati del processo canonico ricordano tutti la sua messa quotidiana, seguita immancabilmente dal ringraziamento, che consisteva nell'assistere alla celebrazione di un'altra messa.

Il fervore di quel sacrificio mattutino ( e i testi rilevano unanimi che al Santo era riservata la prima messa ) talora era accompagnato dal rapimento, stando a certe testimonianze.

Abbiamo poi il racconto particolareggiato della sua ultima comunione, che esprime tutto il travaglio della sua esistenza, insistendo in modo speciale su quella che era stata la fatica più grave degli ultimi mesi: "Ricevo te, o prezzo della mia redenzione; ricevo te, o viatico del mio pellegrinaggio, per il cui amore ho studiato, ho vegliato e lavorato.

Te io ho predicato ed insegnato, e mai ho detto nulla contro di te: e se l'avessi detto, l'ho detto per ignoranza e non voglio essere pertinace nel sostenerlo.

Ma se mi sono espresso male a proposito di questo Sacramento come pure degli altri, lascio tutto alla correzione della santa Romana Chiesa, nella cui obbedienza ora passo da questa vita è ( GUGLIELMO DI TOCCO, « Historia beati Thomae de Aquino è, in Thomae Aquin. Vitae Fontes praecipui, Alba, 1968, p. 108 ).

Del resto è notorio, ma non troppo, che l'Aquinate era stato a contatto diretto con quel movimento eucaristico dal quale scaturì la Bolla Transiturus di Urbano IV.

Il movimento ebbe il suo centro d'irradiazione a Liegi, che per i domenicani era allora più vicina a Parigi di quanto non lo sia oggi.

Infatti il convento domenicano di Liegi apparteneva allora alla Provincia Franciae.

Ora, sappiamo che sui progetti eucaristici della Beata Giuliana di Monte Carnillon non solo erano stati interpellati i teologi di quel convento, ma lo stesso Provinciale, che era allora Ugo di S. Caro, il futuro cardinale, che insisterà qualche anno più tardi presso il maestro Generale dell'Ordine, per ottenere che il giovane Fra Tommaso d'Aquino fosse inviato a Parigi come baccelliere.

- Ebbene, sia Ugo di S. Caro che i teologi consultati a Liegi, tutti favorevoli all'introduzione della festa del Corpus Domini, si trovano a operare nello stesso ambiente e negli stessi anni in cui visse e operò l'Autore della Somma Teologica ( cfr. FRED. CALLEY, « Origine e sviluppo della festa del Corpus Domini» e in Eucaristia, Roma, 1957, pp. 917 ss. ).

Sarebbe quindi un'ipotesi davvero inverosimile che tutti questi domenicani avessero promosso con tanto zelo il culto eucaristico, senza che il grande teologo italiano, ospite dei medesimi conventi, venisse a conoscere codesto movimento.

L'ipotesi è anche più assurda, se pensiamo quali furono i rapporti di codesto teologo con il consigliere più autorevole e fervente delle B. Giuliana, cioè con Giacomo Pantaleone, diventato Papa il 29 Agosto 1261 sotto il nome di Urbano IV.

S. Tommaso durante quel pontificato fu il teologo di corte, e per incarico del Papa mise mano alla Catena Aurea e ad altre opere minori.

Né va escluso che il suo incarico alla corte pontificia sia stato sollecitato dal suo confratello card. Ugo di S. Caro, che visse nella curia romana dal 1253 al 1264 cioè fino alla morte.

3 - Tra le opere del Santo esiste anche un discorso, sebbene di dubbia autenticità, sulla festa del Corpus Domini « tenuto in pieno Concistoro ».

Inoltre i suoi biografi, e prima di loro il suo discepolo e confessore Tolomeo di Lucca, sono unanimi nell'attribuirgli la paternità dell' Ufficio del SS. Sacramento che certo non è indegno del suo genio.

Sappiamo bene quanto la critica moderna, anzi l'ipercritica, ha detto contro codesta attribuzione.

Ma sappiamo pure quanto sono inconsistenti codeste riserve, riferite ultimamente da Dom C. Lambot con tutti i possibili suffragi ( vedi « L'Ufficio del SS. Sacramento », in Eucaristia, Roma, 1957, pp. 827- 835 ).

Storicamente è assai meno sicuro quanto riferisce Bernardo Guidonis a proposito di una disputa eucaristica, cui il Santo avrebbe partecipato a Parigi.

« Ventilandosi a Parigi tra i maestri una questione molto ardua circa il santissimo sacramento del Corpo del Signore, a proposito delle dimensioni e degli accidenti, in che modo essi potessero sussistere senza soggetto in questo mirabile sacramento, e non accordandosi i maestri fra di loro, convennero in questa proposta, di accettare tutti quanto il maestro Fra Tommaso avesse giudicato e definito ….

Viene dunque presentata a lui per iscritto la questione con le argomentazioni a favore di ciascuna sentenza.

Allora il devoto maestro pensò come al solito, quale altro Mosè, che si dovesse chiedere l'ardua soluzione di tale problema al Signore; e dopo aver pregato, scrisse quello che lo spirito di Dio gli dettava.

Ciò fatto, tornò col suo quaderno all'altare per pregare, e, depositato il quaderno sull'altare dinanzi a Cristo sommo maestro, elevate direttamente le mani al Crocifisso offrì l'incenso dicendo: "Signore Gesù Cristo, che sei contenuto in questo mirabile sacramento in realtà e verità, e che mirabilmente in esso operi come creatore di tutte le cose e sapienza di Dio, ti prego supplichevole di poter comprender e d'insegnare con verità le cose che cerco; e quindi, concedimi, se quanto ho scritto è vero, d'insegnarlo e di illustrarlo chiaramente.

Se invece ciò che è scritto non è consono alla tua fede, e lontano dalla verità di questo sacramento, impediscimi di proporlo".

- Cosa mirabile! Mentre là appariva visibilmente Cristo, al compagno del santo Dottore e ad altri frati che osservavano fu dato di udire a proposito del quaderno posto sull'altare le parole seguenti: "Hai scritto bene di questo sacramento del mio corpo, o Tommaso, e hai ben determinato la questione proposta, per quanto può essere compresa e definita da un uomo nella vita presente » ( Vitae Fontes praecipui, pp. 156 s. ).

Anche se il racconto di Bernardo Guidonis fosse una leggenda, sarebbe pur sempre una testimonianza dell'ispirazione soprannaturale che i contemporanei riconoscevano all'Aquinate e ai suoi scritti, specialmente per quanto si riferisce all'Eucarestia.

Del resto, a prescindere dalla diretta approvazione di Cristo, tale dottrina ha riscosso sempre quella incondizionata della Chiesa Cattolica.

Il Concilio di Firenze del 1439, e soprattutto il Concilio Tridentino [ 1545-63 ] hanno assunto non poche delle sue stesse espressioni verbali, per definire la dottrina cristiana e difenderla dall'errore.

Dopo le definizioni del Tridentino è superfluo spender parole nell'affermare la perenne attualità della dottrina tomistica.

Essa può essere considerata fuori moda oggi solo da quei teologi che credono possibile un rinnegamento di quelle definizioni.

Ma non si tratta di teologi cattolici, evidentemente, anche se furono battezzati nella vera Chiesa di Cristo.

II Prospettive per un'esatta interpretazione.

4 - Pretendere per questo che tutto sia ugualmente valido nel trattato tomistico sarebbe un'esagerazione S. Tommaso è pur sempre un uomo, con i limiti imposti dal tempo e dalla cultura dell'epoca in cui visse.

I suoi stessi commentatori più devoti cercarono d'integrarne la dottrina con nuovi apporti: soprattutto cercarono di supplire con varie teorie, risultate poi inconsistenti, all'apparente disimpegno dell'Aquinate circa l'essenza del sacrificio della Messa.

Perciò pensiamo che non si possa fare nessun rimprovero a quegli studiosi che avanzano qualche dubbio circa il valore di qualche aspetto o di qualche elemento del trattato che presentiamo in lingua volgare al pubblico italiano.

Merita di esser preso in considerazione, p. es., il rilievo del benedettino Ghislain Lafont, che trova nella sacramentaria di S. Tommaso un grave inconveniente nel fatto che non viene dato concretamente e in modo esplicito all'Eucarestia quel primato che solo genericamente ed implicitamente le viene riconosciuto.

Per essere più chiari diremo che l'illustre studioso rimprovera a S. Tommaso di non aver organizzato tutti i sacramenti partendo dal principio che l'Eucarestia forma il loro punto di partenza, quale sacramento costitutivo dell'unità della Chiesa.

Tale unità, che è la res dell'Eucarestia, dovrebbe essere ricordata espressamente tra gli effetti di codesto sacramento, anche là dove si parla della grazia sacramentale concessa ai singoli cristiani.

Cosicché la stessa grazia concessa negli altri sacramenti dovrebbe avere sempre un riferimento esplicito alla nostra incorporazione a Cristo nella Chiesa, che ha il suo compimento nell'Eucarestia ( cfr. GH. LAFONT, Structures et Méthode dans la Somme Theologique de S. Th. d'Aquin, Bruges, 1961, pp. 455 ss. ).

Sembra che S. Tommaso abbia una certa esitazione a tirare tutte le conseguenze dal fatto che l'Eucarestia causa l'unità del corpo mistico, pur essendo esplicito nell'affermare che la causa e la significa.

« Noi non abbiamo trovato nulla [ nell'articolo decisivo: III, q. 79, a. 1 ] che richiami il legame dell'unità ecclesiale con la grazia di ognuno, come ci era stato espresso il legame dell'incorporazione a Cristo mediante il Battesimo e il dono della grazia santificante.

Si è in diritto di deplorare questa assenza di legame esplicito.

Noi avremmo desiderato riscontrano: come il dottore angelico ha saputo legare armoniosamente nella sua teologia del Verbo Incarnato l'analisi approfondita della struttura dell'unione e il tema della capitalità, mostrando la loro distinzione e la loro unione, così si sarebbe potuto sperare di veder qui sottolineato il legame tra l'effetto ecclesiale e l'effetto personale dell'Eucarestia.

Può darsi, come noi abbiamo suggerito più sopra, che ciò si debba attribuire a una valorizzazione unilaterale della presenza reale, conforme alla sensibilità liturgica dell'epoca.

È certo che S. Tommaso considera la presenza reale non solo nella sua realtà sostanziale, ma nel suo influsso causale: egli avrebbe potuto ugualmente mostrare il significato nell'insieme dell'economia cristiana » ( op. cit., p. 458 ).

5 - A noi sembra che questo rilievo sia più di metodo che di sostanza.

Nei teologi scolastici l'analisi prevale sulla sintesi come metodo espositivo.

Per il resto, cioè per il coordinamento sintetico, ci si rimette spesso all'intelligenza dei lettori.

Ma non oseremmo dire che codesto coordinamento manca in S. Tommaso a proposito del primato dell'Eucarestia nella teologia sacramentaria.

- Spesso certe visioni d'insieme si riscontrano dove meno ci si aspetterebbero.

Nel breve commento, p. es., che egli ha dedicato al Simbolo degli Apostoli, troviamo un brano che merita di essere ben meditato in proposito.

Si parla della « comunione dei santi ».

« Tra le altre cose da credere gli Apostoli trasmisero questo, che nella Chiesa c'è la comunicazione dei beni: è quello che si chiama la Comunione dei Santi.

Ma tra gli altri membri della Chiesa il principale è Cristo, che ne è il capo [ Ephes. 1,22 ]: "Ipsum dedit caput super omnem Ecclesiam, quae est corpus ipsius".

Perciò il bene di Cristo viene comunicato a tutti i cristiani, come la virtù del capo viene comunicata a tutte le membra; e tale comunicazione vien fatta mediante i sacramenti della Chiesa, nei quali opera la virtù della passione di Cristo, che opera appunto nel senso che conferisce la grazia in remissione dei peccati » ( In Symbol. Apost., art. X ).

Forse le preoccupazioni « ecclesiali » di molti teologi modernissimi possono trovare il migliore orientamento da questo continuo ritorno tomistico a Cristo medesimo, « membro principale della Chiesa ».

La sua presenza nell'Eucarestia, e quindi nell'anima che la riceve non risolve forse automaticamente il problema dell'inserimento del cristiano nel corpo mistico?

6 - Ma prima ancora di completare il pensiero di S. Tommaso con quanto egli ha scritto altrove, per una buona interpretazione della Somma abbiamo sempre insistito, e continueremo a farlo, sulla necessità di cercare quei brani che completano i singoli trattati nell'Opera stessa.

Anche per il De Eucharistia daremo qualche suggerimento in questo senso.

S. Tommaso già nel tracciare lo schema della Secunda Secundae ci avverte che si potrebbe inserire un trattato sui sacramenti nel De Religione ( cfr. II-II, q. 89, prol. ).

Comunque è innegabile che l'Eucarestia merita di esser tenuta presente in una questione importantissima di codesto trattato, in cui si parla appunto del sacrificio ( II-II, q. 85 ).

E a sua volta codesta questione è chiamata a integrare il trattato sull'Eucarestia.

Dato poi lo stretto legame esistente tra l'Eucarestia e il sacrificio del Calvario, non va dimenticato nella III Parte l'articolo 3 della q. 48: « Utrum passio Christi fuerit operata per modum sacrificii ».

Sarebbe poi addìrittura imperdonabile studiare il De Eucharistia in S. Tommaso, trascurando il breve trattato De Sacramentis in genere ( III, qq. 60-65 ).

Infatti in codesto trattato i riferimenti al sacramento per antonomasia sono continui.

- Anzi la riflessione teologica su questo sacramento esige il ricordo costante del suo inserimento nella Terza Parte, che è dedicata al Verbo Incarnato.

Il disegno di Cristo nell'istituzione di esso non è concepibile, né storicamente spiegabile, senza ammettere la divinità dell'istitutore.

I razionalisti che vorrebbero prescindere dalla chiara coscienza in Cristo del proprio essere divino, non possono offrirci altro, sull'Eucarestia, che meschine e inconcludenti ipotesi, le quali spesso si succedono senza convincere nessuno.

III Fonti e luoghi paralleli.

7 - Chi si accingeva a scrivere sull'Eucarestia verso la metà del secolo XIII era costretto a tener presenti due raccolte autorevoli di antichi testi, le quali risalivano al primo decennio del secolo precedente: cioè le Sentenze di Pietro Lombardo e il Decreto di Graziano.

Sul Quarto libro delle Sentenze, dd. 8-13 si esercitarono scolari e maestri, fino a tutto il secolo XV, trattando dell'Eucarestia.

S. Tommaso aveva commentato ampiamente il testo di Pietro Lombardo, cosicché tale commento fornisce i luoghi paralleli più importanti del trattato che presentiamo.

Eppure le Sentenze, indubbiamente sfruttate anche qui nella Somma, non vengono qui mai citate.

Spessissimo invece viene citato il Decreto, che potremmo considerare una delle fonti principali del trattato, se fosse un'opera originale e non una raccolta di brani più o meno autorevoli.

Graziano dedica all'Eucarestia le due prime distinzioni della terza Parte, «De Consecratione », per complessivi 170 canoni.

È qui che S. Tommaso attinge di continuo soprattutto per risolvere problemi pratici e per suffragare con i canoni gli usi legittimi della Chiesa.

È vero infatti che il Decreto non è stato mai proposto dall'autorità ecclesiastica come una raccolta ufficiale, ma di fatto e ufficiosamente è stato sempre accettato come un vero codice di diritto canonico.

Era giusto ricordare per prime le due raccolte autorevoli cui l'Aquinate ha chiesto continua ispirazione nel De Eucharistia, ma non sarebbe giusto dimenticare la parte preminente che occupa in questo trattato la Sacra Scrittura.

I testi principali che vi si riferiscono erano stati già commentati ampiamente dall'Autore ( cfr. In 1 Cor., c. 11, lect. 5 ; In Matth., e. 26: In Ioann., o. 6, lectt. 6, 7) , al punto che codesti commenti diventano quanto mai preziosi, per eliminare tutte le ambiguità che potrebbero nascere nell'interpretazione della Somma.

- A proposito della Scrittura va notata l'assenza strana di quel passo di Malachia, 1,11, in cui, a cominciare dalla Didachè, tutte le generazioni cristiane hanno visto una profezia del sacrificio eucaristico.

Accanto alla Scrittura troviamo le frequenti citazioni dei Padri; e tra questi, come al solito, il primo posto spetta a S. Agostino.

È considerevole anche l'apporto di S. Ambrogio con il suo De Sacramentis.

Né mancano le affermazioni più significative degli altri dottori Occidentali, quali S. Girolamo e S. Gregorio Magno, S. Ilario e S. Beda.

Il pensiero dei Padri Orientali affiora dai testi dello Pseudo-Dionigi, del Crisostomo, di S. Cirillo d'Alessandria e del Damasceno.

Tutto sommato, la documentazione patristica è scarsa, in rapporto al materiale che offre l'erudizione moderna.

Più scarso ancora appare l'interesse per gli autori medioevali.

L'unico che venga citato con una certa frequenza è Innocenzo III [ + 1216 ].

Viene poi ricordato, per riprovarne la dottrina, Berengario di Tours [ 1000-1080 ]; ed è citato una volta Ugo di S. Vittore [ 1096-1141 ].

Tutti gli altri teologi, liturgisti e canonisti fioriti in Europa dal secolo VIII al secolo XII, che scrissero sull'Eucarestia, sono relegati nel limbo dell'anonimato: aliqui, alii.

Soltanto l'erudizione moderna ci ha detto chi erano costoro.

8 - Ma torniamo a parlare delle altre opere del Santo in cui si tratta dell'Eucarestia, e che all'occorrenza possono fornire un'illustrazione del testo della Somma Teologica.

- Nella Summa Contra Gentiles vengono dedicati al nostro tema nove capitoli ( cfr. 4 Cont. Gent., cc. 61-69 ).

Ma la preoccupazione apologetica, che è preminente in codesta opera, riduce il breve trattato a una difesa della transustanziazione e della presenza reale.

Nell'opuscolo Contra errores Graecorum ( c. 32, a. 1, n. 37 ) non si discute altro che la questione del pane azzimo, contro le obiezioni dei greci scismatici.

- Opuscoli minori dove l'Eucarestia ottiene un minimo di attenzione sono il De Articulis Fidei et Sacramentis Ecclesiae ( 3 sacr. ); la Responsio de articulis 36 ( q. 35 ), e il già ricordato commento In Symbolum Apostolorum ( art. X ).

Quesiti particolari furono poi affrontati nelle questioni quodlibetali: cfr. Quodl. 3, q. 1, a. 1, ad 1; Quodl. 5, q. 6, aa. 1, 2; Quodl. 7, q. 4, a. 3; Quodl. 9, q. 3, a. un.

In tutte queste opere S. Tommaso si mostra sempre coerente a se stesso: teologo speculativo ben fondato sulle Scritture e sulla tradizione ecclesiastica, preoccupato di trasmettere un sacro deposito di verità, senza ambizione di originalità o di successo personale.

Tuttavia basta confrontare lo schema del trattato eucaristico che si riscontra nelle Sentenze di Pietro Lombardo e dei suoi commentatori con quello della Somma Teologica, per comprendere la distanza che separa l'Aquinate dai suoi predecessori.

Praticamente il primo precede senza un ordine prestabilito: passa così dalle figure dell'antico Testamento all'istituzione, dall'istituzione alla forma, per poi distinguere tra sacramentum e res ( d. 8 ).

Nella distinzione seguente, dalle varie maniere di sumere questo sacramento si passa a parlare dell'errore di chi nega la recezione del sacramento da parte dei peccatori, nonché dell'ambiguità di certe espressioni usate dai Padri in proposito ( d. 9 ).

La d. 10 è dedicata all'errore di Berengario e alla sua confutazione.

La successiva ( d. 11 ) comincia col proposito di spiegare il modo della transustanziazione, e finisce spiegando il motivo per cui l'Eucarestia fu istituita sotto due specie e perché al vino si aggiunga l'acqua.

La d. 12 è spezzettata in vari argomenti molto eterogenei: il soggetto delle specie eucaristiche, i problemi relativi alla frazione e partizione delle specie consacrate, il valore sacrificale della Messa, la causa dell'istituzione di questo sacramento.

La distinzione tredicesima si limita invece a discutere se questo sacramento possa essere validamente consacrato dagli eretici e dagli scomunicati.

L'Aquinate aveva provato a mettere un po' d'ordine in questo guazzabuglio fin dal suo commento giovanile alle Sentenze.

Ma nella Somma concepì un riordinamento di tutta la materia in modo semplicissimo, partendo da sette divisioni principali

1) il sacramento dell'Eucarestia in se stesso ( q. 73 )

2) materia di esso e problemi connessi ( qq. 74-77 )

3) la sua forma ( q. 78 )

4) i suoi effetti ( q. 79 )

5) problemi relativi ai soggetti che ne partecipano ( qq. 80,81 )

6) il suo ministro ( q. 82 )

7) rito e celebrazione dell'Eucarestia ( q. 83 ).

Il trattato tomistico non conosce quindi la divisione tra l'Eucarestia considerata come sacramento e l'Eucarestia considerata come sacrificio, che è invece comune ai trattati moderni.

Vedremo in seguito ( n. 14 ss. ) quale sia il motivo che ha dettato codesta omissione.

( omissis )

11 - Ecco in breve come S. Tommaso stesso presenta e risolve il problema [ della transustanziazione ] nel Quodlibeto IX: « Dagli accidenti non è possibile avere la generazione di una sostanza.

Ma dalle specie eucaristiche vediamo che si generano vermi e ceneri, che certamente non si generano dal corpo di Cristo.

Dunque gli accidenti non possono sussistere nell'Eucarestia senza subietto ».

« Circa quanto si genera dalle specie eucaristiche, vermi, ceneri o altre cose consimili, due sono le opinioni più probabili.

La prima di esse afferma che [ nel momento della trasformazione ] ritorna la sostanza del pane dalla quale tali cose possono essere generate.

- Ma codesta opinione contiene evidentemente un'incongruenza per due motivi, a meno che non venga interpretata nel debito modo.

Primo, perché è impossibile che ritorni in esse la sostanza del pane.

Infatti questo ritorno, o avverrebbe mentre rimangono le specie: e allora, poiché il corpo di Cristo rimane nel sacramento fino a che rimangono le specie, ne seguirebbe che a un certo momento verrebbero a trovarsi insieme il corpo di Cristo e la sostanza del pane; e questo è incompatibile con la ragione.

Oppure ciò avverrebbe dopo la distruzione delle specie: e anche questo è insostenibile, che cioè la sostanza del pane esista senza gli accidenti propri del pane.

- Secondo, l'incongruenza si riscontra nel termine ritorno.

Se infatti una cosa si è convertita in un'altra non si può dire che ritorna, se quest'altra non si converte in essa.

Ora, la sostanza del pane non si è annichilata, ma transustanziata nel corpo di Cristo.

Quindi non si può ammettere che la sostanza del pane ritorni, se il corpo di Cristo non si riconverte in pane, il che è assurdo.

« Perciò, se si dovesse sostenere codesta opinione, per sostanza del pane si dovrebbe intendere la materia del pane.

Non che ritorni quella che esisteva prima, ma per il fatto che alla distruzione delle specie viene provvista in esse da Dio una materia, o per creazione, o in qualsiasi altro modo: dalla quale materia possono essere generati codesti esseri corporei.

« La seconda opinione è più semplice, ritenendo essa che come a quegli accidenti dalla virtù di Dio è dato di sussistere, così da questa è loro dato di agire, e che da essi verrebbe a prodursi tutto quello che potrebbe derivare dalla sostanza del pane, se fosse là presente; e per tale virtù essi possono nutrire oppure generare vermi o ceneri » ( Quodl. 9, q. 3, arg. 3, et ad 3 ).

Questa seconda opinione che S. Tommaso fa sua, e che egli considerava « planior », ossia meno ostica, non è stata trovata tale da alcuni celeberrimi suoi discepoli.

Perché in ultima analisi si tratta di concedere che la virtù divina possa far sì che un accidente generi sostanza.

Ma codesta opera è così straordinaria da essere molto affine alla creazione stessa.

Di qui la perplessità nell'accettare la spiegazione tomista, tanto più che il miracolo verrebbe qui a prodursi non in forza delle parole consacratorie, e neppure per l'attuazione di un mistero di grazia.

Ma verrebbe a prodursi solo come mezzo di restaurazione dell'ordine naturale.

12 - Ebbene, a noi sembra che si potrebbe ovviare a questi inconvenienti tenendo presente la permanenza virtuale degli elementi nel misto, secondo la concezione moderna delle scienze naturali.

Pane e vino, che costituiscono la materia remota del sacramento eucaristico, sono aggregati di molecole di una determinata specie, sostanze che hanno una consistenza piuttosto precaria e quasi soltanto artificiale.

Comunque codeste sostanze, al pari di tutti gli altri esseri corporei, sono composte di atomi e di subatomi, i quali hanno la loro propria struttura.

Struttura che si conserva anche quando atomi e subatomi sono inseriti nella molecola di un corpo composto qualsiasi, o addirittura in un corpo vivente.

In quest'ultimo caso però, secondo la teoria ilemorfa più aggiornata, atomi e subatomi non sono ontologicamente autonomi, ma parti di un tutto.

« Gli elementi », abbiamo scritto nell'Introduzione Generale ( p. 292 ), « possono considerarsi come strutture di parti integranti nel tutto.

Una cellula del mio organismo può vivere anche se avulsa e sistemata in un preparato; ma finché è in me vive nella mia vita, è me, è parte integrante come un braccio o una mano.

Lo stesso si dica delle molecole e degli atomi che concorrono a compaginare il mio corpo.

La loro permanenza perciò è soltanto virtuale, non attuale.

Hanno cioè la potenza, la virtualità di costituirsi separatamente come altrettante unità; ma finché sono incardinate in un tutto non sono entità metafisicamente distinte, se non come accidenti o forme accessorie e proprietà dell'unica sostanza ».

Ora, se noi applichiamo queste nozioni al caso della transustanziazione, saremo costretti certo a riconoscere che dopo la consacrazione la sostanza del pane ( forma e materia ) si è convertita nel Corpo di Cristo, così da inverare le sue parole: « Questo è il mio corpo ».

Però tra gli accidenti rimasti non vedremo solo quelli che colpiscono direttamente i sensi, bensì anche quelli che vengono rilevati dall'indagine scientifica, e cioè le strutture atomiche ed infraatomiche di quello che prima era pane e vino, che in quanto cibi ordinari dell'uomo sono stati assunti nell'Eucarestia e convertiti nel corpo e nel sangue di Cristo.

Quando perciò vengono a cessare le condizioni indispensabili per assicurare lo stato naturale del pane e del vino, la presenza eucaristica di Cristo nelle specie sacramentali cessa; e quelle strutture inframolecolari che erano allo stato virtuale ( sia nel pane e nel vino, sia nelle sacre specie ) diventano attuali come sostanze autonome.

13 - Possiamo forse meglio capire questo processo mediante l' « analogia fidei », cioè riflettendo su problemi analoghi sollevati dal mistero cristiano.

- Come nell'unione ipostatica l'umanità del Verbo manca della sussistenza personale, così nelle specie eucaristiche viene a mancare la sussistenza naturale propria della loro sostanza.

Ma come l'umanità di Cristo rimane integra nella sua natura, così le specie, ossia tutti gli accidenti del pane e del vino, a consacrazione avvenuta rimangono integre nella loro natura e nelle loro operazioni, per svolgere così le loro funzioni sacramentali di signum e di figura.

Ebbene, come nella materia di ricambio, che si staccava dal corpo di Cristo reale nella sua specie propria e passibile, veniva a cessare l'ipostasi divina per riassumere la sussistenza naturale, così nella materia delle specie eucaristiche si ha la riassunzione della sussistenza naturale da parte degli elementi, una volta sparita la presenza eucaristica.

Nessuno pensi che, mentre esistono le specie del pane e del vino dopo la consacrazione, le loro strutture inframolecolari non siano vero corpo e sangue di Cristo, considerate nel loro misterioso principio materiale.

Lo sono però proprio in quanto parti integranti del pane e del vino e loro accidenti, rimasti miracolosamente senza il proprio supposito naturale, che di per sé altro non potrebbe essere che pane e vino.

Ora, nessuno ci obbliga a pensare che codeste strutture non riprendano naturalmente la loro autonomia ontologica, dopo che il corpo di Cristo, sostituitosi al pane, cessa di sussistere assieme agli accidenti di quest'ultimo.

- S. Tommaso, come abbiamo visto, non trovava assurdo che la materia venisse ricostruita « in una qualche maniera »: ci sembra che le nozioni fisico-chimiche dei nostri tempi ci aiutino a scorgere concrete possibilità per una ricostruzione del genere, senza bisogno di ricorrere a miracoli imbarazzanti.

Rientra infatti nel piano della divina provvidenza il criterio di non sconvolgere l'ordine naturale, negl'interventi soprannaturali, più di quanto è indispensabile per gli effetti di ordine superiore.

Questa nostra ipotesi di soluzione è ben lontana come ognuno può vedere, dalle ipotesi di certi teologi contemporanei, pronti a lanciare l'accusa di fisicismo ai loro colleghi tuttora persuasi della sostanziale validità del sistema aristotelico-tomistico.

Essi preferiscono appellarsi alla categoria di relazione, affermando che tra le specie eucaristiche e il Signore esistente nei cieli ci sarebbe « una relazione sedicente reale ed essenziale di contenenza e di presenza ».

Ma già Pio XII replicava che codeste teorie non salvano la verità della presenza eucaristica di Cristo ( cfr. Messaggio del 22 Sett. 1956, A. A. S., 1956, p. 720 ).

V L'essenza del sacrificio eucaristico.

14 - In tutti i manuali moderni, come sopra abbiamo accennato, il De Eucharistia è normalmente diviso in due parti ben distinte: da una parte l'Eucarestia è considerata come sacrificio, dall'altra è considerata come sacramento.

I commentatori stessi di S. Tommaso già nel secolo XVI cercarono d'introdurre codesta divisione persino nel testo della Somma, in cui le prime dieci questioni tratterebbero del sacramento, mentre l'undicesima tratterebbe del sacrificio.

Questa divisione, così marcata nei trattati successivi alla crisi protestante, deriva chiaramente da codesta crisi.

Non che nella teologia precedente mancasse la considerazione dei due aspetti dell'Eucarestia; ma non si sentì il bisogno di trattarli a parte, fino a che Lutero e i suoi seguaci non scatenarono la ben nota offensiva contro il sacrificio eucaristico.

Forse l'eresiarca non avrebbe osato tanto, se avesse potuto conoscere in precedenza quello che l'erudizione storica avrebbe accertato in seguito sul significato sacrificale della celebrazione eucaristica fin dai primordi del cristianesimo.

Gli studiosi cattolici hanno potuto scaraventare così contro le posizioni protestanti una valanga di documenti, che dimostra l'originalità davvero cervellotica e inaudita della pseudo riforma nel negare contro tutta la tradizione uno degli aspetti fondamentali del mistero eucaristico.

Per riportare codesta documentazione e per discutere contro le fragili impalcature degli avversari, i teologi della controriforma diedero al trattato delle proporzioni spesso mastodontiche.

Vincenzo Contenson [ 1674 ], p. es., dedica all'Eucarestia ben 137 pagine in folio a due colonne fittissime della sua Theologia mentis et Cordis, sempre polemizzando con i Luterani e specialmente contro i Calvinisti.

Ma se, per riaffermare il valore tradizionale dell'Eucarestia quale sacrificio, i teologi cattolici ebbero buon gioco attingendo concordemente a piene mani dal tesoro della tradizione, per rispondere direttamente alle argomentazioni avversarie si lasciarono talvolta trascinare fuori strada.

I protestanti partivano da un concetto univoco di sacrificio, che esigeva l'immolazione cruenta e la distruzione della vittima.

E dal momento che nella messa questa distruzione non avviene, perché Cristo nell'Eucarestia è presente nella sua impassibilità di risorto, concludevano che in nessun modo si può considerare sacrificio la celebrazione eucaristia ( cfr. ZWINGLI, Opera, t. II, p. 200 ; CALVIN0, Institutions, lib. IV, e. 15, n. 5 ).

15 - A cominciare da Domenico Soto ( cfr. In IV Sententiarum, tom. I, d. 13, q. 2, a. 1, ed. Venezia, 1575, pp. 209 s. ) non pochi teologi credettero di poter trovare nel rito stesso della messa, fuori del simbolismo sacrificale delle specie distinte, l'immolazione propria che costituirebbe codesto sacrificio.

Il celeberrimo teologo tridentino trovò la distruzione della vittima voluta dai protestanti nella consumazione delle specie; e molti lo seguirono su codesta strada, tra i quali S. Roberto Belarmino.

- Altri pensarono di scorgere il sacrificio nel fatto che la consacrazione eucaristica mette il corpo di Cristo in uno stato di minorazione.

- Alcuni trovarono l'essenza del sacrificio eucaristico addirittura nella distruzione delle specie per il loro transustanziarsi nel corpo e nel sangue di Cristo, presumendo così di aver riscontrato una distruzione perfettiva.

Finalmente ci fu un ritorno a posizioni più ragionevoli, rinunziando a trovare nel sacrificio della Messa un'immolazione reale del corpo di Cristo, per restringersi alla sua oblazione sacramentale.

Fondamentali a tale scopo furono le opere di M. De la Taille e di M. Lepin, che però non giunsero fino alle ultime conseguenze di risuscitare l'antica sentenza, accolta anche dal Tridentino, di un'immolazione soltanto sacramentale, fatta da Cristo come sacerdote principale, mediante il ministero dei sacerdoti.

Il De la Taille, p. es., vedeva la possibilità di un sacrificio perenne piuttosto nel fatto che Cristo è rivestito eternamente del suo stato di vittima.

Ma dal suo punto di vista non si comprende bene come ogni messa sia un'immolazione memorativa, attuale e per di più incruenta, ossia « sub signis visibilibus », secondo l'espressione del Tridentino ( DENZ.-S., 1741 ).

I tomisti non hanno che da rallegrarsi di questo ritorno verso le posizioni dei teologi più antichi, immuni dalle sollecitazioni pericolose del protestantesimo.

Tale infatti è la posizione chiarissima di S. Tommaso, dimostrata anche dal fatto che egli non ha creduto bene di distinguere tra Eucarestia come sacramento e Eucarestia come sacrificio.

16 - Spesso si è rimproverato alla scolastica di eccedere nelle distinzioni; ma, in questo caso almeno, l'eccesso non lo troviamo nei grandi scolastici del secolo XIII, bensì nei teologi più recenti, senza escludere dalla serie neppure gli « oblazionisti » cui abbiamo accennato.

Anche codeste teorie infatti esagerano nel distinguere tra offerta e sacrificio, come se fossero atti che si susseguono o che si completano reciprocamente.

Per S. Tommaso è certo che ogni sacrificio è anche un'offerta, anche se non è sempre vero il contrario ( cfr. II-II, q. 85, a. 3, ad 3 ).

Perciò nel sacrificio eucaristico è inutile cercare di distinguere l'oblazione dall'immolazione.

Le due cose coincidono al punto che nella messa non si può distinguere un'oblazione nuova dall'immolazione della croce.

I teologi più recenti hanno avuto torto nel voler separare nella messa questi due atti, come se si trattasse di atti eterogenei si tratterebbe cioè di un'immolazione, fatto unico e storico, diventato sacramentale in virtù di un'oblazione nuova che sarebbe così un atto reale.

« E sarebbe questa composizione di due atti differenti per la loro data storica e il loro livello esistenziale, a conferire a questa commemorazione che è la messa il valore di un vero sacrificio ».

- Ma tale ricostruzione è inaccettabile: « Alla croce come alla messa l'oblazione ingloba il sacrificio …

La messa non commemora una parte o un aspetto della croce, per esempio il suo aspetto interiore o religioso, lasciando chiuso il resto nella sua unicità storica e le sue circostanze singolari impossibili a rinnovarsi.

È tutto l'atto storico, concreto, religioso, redentore della croce che è commemorato, rappresentato e applicato dalla messa.

La messa è sacrificio perché rende presente tutto il sacrificio di Cristo secondo il modo sacramentale, che il Concilio di Trento chiama "incruento".

- Si vede dunque che la dottrina di S. Tommaso non ha affatto bisogno di essere perfezionata.

Se la sappiamo ben comprendere inserendola nell'insieme del suo pensiero sul sacramento, sul sacrificio e sull'Eucarestia, essa è pienamente soddisfacente.

S. Tommaso aveva espresso il suo parere sull'essenza del sacrificio eucaristico in una formula quanto mai semplice e concisa: « In nova lege verum Christi sacrificium communicatur fidelibus sub specie panis et vini » ( III, q. 22, a. 6, ad 2 ).

( Omissis )

P. TIT0 S. CENTI, O. P.

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