Summa Teologica - III |
Infra, a. 4; a. 8, ad 2; a. 9, ad 1; I-II, q. 65, a. 5, ad 3; In 3 Sent., d. 13, q. 1, a. 2, sol. 1, ad 1; d. 36, q. 1, a. 2, ad 3; In 4 Sent., d. 33, q. 3, a. 2, ad 6; De Verit., q. 29, a. 4, ad 15; De Virt., q. 4, a. 1, ad 12
Pare che Cristo avesse la fede.
1. La fede è una virtù più nobile delle virtù morali, per es. della temperanza e della liberalità.
Ma queste virtù c'erano in Cristo, come si è detto [ a. prec. ].
Molto più dunque c'era in lui la fede.
2. Cristo non insegnava delle virtù che egli stesso non avesse, secondo quelle parole [ At 1,1 ]: « Gesù cominciò a fare e a insegnare ».
Ma di Cristo si dice [ Eb 12,2 ] che è « autore e perfezionatore della fede ».
Quindi in lui la fede ci fu in grado sommo.
3. Tutto ciò che comporta imperfezione va escluso dai beati.
Ma nei beati c'è la fede: infatti alle parole dell'Apostolo [ Rm 1,17 ]: « In esso si rivela la giustizia di Dio di fede in fede », la Glossa [ ord. ] aggiunge: « dalla fede nelle parole di speranza alla fede nelle realtà manifestate ».
Quindi anche in Cristo c'era la fede, non implicando essa alcuna imperfezione.
L'Apostolo [ Eb 11,1 ] afferma che « la fede è prova delle cose che non si vedono ».
Ma a Cristo nulla era ignoto, secondo ciò che a lui disse S. Pietro [ Gv 21,17 ]: « Tu sai tutto ».
In Cristo dunque non c'era la fede.
L'oggetto della fede, come si è detto nella Seconda Parte [ II-II, q. 4, a. 1 ], è la realtà divina non evidente.
Ora l'abito della fede, come anche ogni altro, riceve la sua specificazione dall'oggetto.
Se dunque si toglie l'inevidenza della realtà divina, viene meno la fede.
Ma Cristo fin dal primo istante della sua concezione ebbe la piena visione dell'essenza di Dio, come vedremo [ q. 34, a. 4 ].
Quindi non ci poteva essere in lui la fede.
1. La fede è più nobile delle virtù morali perché ha un oggetto più alto; tuttavia il modo in cui lo attinge comporta una certa imperfezione, che in Cristo non c'era.
Quindi in lui non ci poteva essere la fede, sebbene ci fossero le virtù morali, che non comportano tale imperfezione relativamente al loro oggetto.
2. Il merito della fede consiste in questo, che l'uomo per obbedienza a Dio ritiene come vero ciò che non gli è evidente, secondo le parole di S. Paolo [ Rm 1,5 ]: « Per ottenere l'obbedienza alla fede da parte di tutte le genti a gloria del suo nome ».
Ora, Cristo ebbe una perfettissima obbedienza verso Dio, come asserisce l'Apostolo [ Fil 2,8 ]: « Facendosi obbediente fino alla morte ».
È quindi vero che egli non insegnò nulla di meritorio che egli stesso non eseguisse in un modo più eccellente.
3. Come dice la Glossa [ ord. di Agost. ] nel medesimo passo, « la fede consiste propriamente nel credere le cose che non si vedono ».
Perciò quella che ha per oggetto le realtà evidenti viene detta fede in senso improprio, e per una certa somiglianza nella certezza o fermezza dell'assenso.
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