Summa Teologica - III |
In 3 Sent., d. 13, q. 1, a. 2, sol. 1; d. 15, q. 1, a. 2, ad 5; Comp. Theol., cc. 213, 214; In Ioan., c. 1, lect. 8
Pare che Cristo non avesse la pienezza della grazia.
1. Dalla grazia scaturiscono le virtù, come si è detto nella Seconda Parte [ I-II, q. 110, a. 4, ad 1 ].
Ma in Cristo non c'erano tutte le virtù: mancavano infatti in lui la fede e la speranza, come si è dimostrato [ aa. 3,4 ].
Quindi in Cristo non c'era la pienezza della grazia.
2. Come risulta dalla Seconda Parte [ I-II, q. 111, a. 2 ], la grazia si divide in operante e cooperante.
Ora, si dice operante la grazia che giustifica il peccatore.
Ma la giustificazione non ebbe luogo in Cristo, che non fu mai soggetto al peccato.
Quindi Cristo non ebbe la pienezza della grazia.
3. La Scrittura [ Gc 1,17 ] dice: « Ogni grazia eccellente e ogni dono perfetto discende dall'alto, dal Padre della luce ».
Ma ciò che discende è ricevuto parzialmente, e non con pienezza.
Quindi nessuna creatura, neppure l'anima di Cristo, può avere la pienezza dei doni di grazia.
S. Giovanni [ Gv 1,14 ] dichiara: « Lo abbiamo visto pieno di grazia e di verità ».
Avere la pienezza di una cosa vuol dire possederla totalmente e perfettamente.
Ma la totalità e la perfezione possono essere considerate sotto due aspetti.
Primo, quanto all'intensità: avrebbe, p. es., pienamente la bianchezza chi ne avesse tanta quanta se ne può avere.
Secondo, quanto alla virtualità: ha, p. es., la pienezza della vita chi ne possiede tutti gli effetti o le opere.
E così ha la pienezza della vita l'uomo, non i bruti né le piante.
Ora, sotto ambedue gli aspetti Cristo ebbe la pienezza della grazia.
Primo, perché l'aveva nel grado sommo e nel modo più perfetto in cui la si può avere.
E ciò si spiega innanzitutto per l'intimità fra l'anima di Cristo e la fonte della grazia.
Si è detto infatti [ a. 1 ] che quanto più un essere ricettivo è vicino alla causa influente, tanto più ne riceve.
Così dunque l'anima di Cristo, che è unita a Dio più intimamente di tutte le creature razionali, riceve da lui la massima effusione di grazia.
- Secondo, in rapporto all'effetto.
Poiché l'anima di Cristo riceveva la grazia con il compito di farla rifluire sugli altri.
Perciò occorreva che avesse la grazia al massimo grado: come il fuoco, che causa il calore nelle altre cose, è caldo in sommo grado.
Parimenti anche riguardo alla virtualità della grazia egli ne ebbe la pienezza: poiché l'ebbe per tutte le operazioni e per tutti gli effetti ad essa propri.
E ciò perché la grazia venne conferita a lui quale principio universale nei riguardi di tutti coloro che la ricevono.
Ora, la virtù del primo principio in ogni ordine di cose si estende a tutti gli effetti di quell'ordine: come il sole, che secondo Dionigi [ De div. nom. 4 ] è la causa di ogni generazione, estende il suo potere a tutti i fenomeni della generazione.
E così la seconda pienezza della grazia in Cristo viene intesa nel senso che la sua grazia si estende a tutti i suoi effetti, che sono le virtù, i doni e altre simili cose.
1. La fede e la speranza sono effetti della grazia connessi con alcune imperfezioni dalla parte del soggetto, in quanto cioè la fede è di cose non viste e la speranza di cose non possedute.
Non era quindi necessario che in Cristo, autore della grazia, ci fossero i difetti propri della fede e della speranza.
Tutto ciò invece che c'è di perfezione nella fede e nella speranza si trova in Cristo in un modo molto più perfetto.
Come nel fuoco non si riscontrano le deficienze del calore che dipendono dal soggetto in cui esso si trova, ma tutto ciò che costituisce la perfezione del calore.
2. Il compito della grazia operante è di per sé quello di rendere giusto l'uomo; che invece lo renda giusto da peccatore che era dipende dal soggetto che si trova in stato di peccato.
Ora, l'anima di Cristo fu giustificata dalla grazia operante in quanto da essa fu resa giusta e santa fin dal principio della sua concezione, senza che prima fosse peccatrice o anche soltanto non giusta.
3. La pienezza di grazia accordata all'anima di Cristo va giudicata secondo la capacità della creatura, non secondo l'infinita ricchezza della bontà divina.
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