Summa Teologica - III |
In 4 Sent., d. 11, q. 1, a. 1, sol. 2; d. 12, q. 1, a. 1, sol. 2; C. G., IV, cc. 62, 63, 65; De rat. fidei, c. 8; In 1 Cor., c. 11, lect. 5
Pare che in questo sacramento non rimangono gli accidenti del pane e del vino.
1. Rimosso ciò che precede, viene meno ciò che segue.
Ora, per natura la sostanza precede l'accidente, come prova Aristotele [ Met. 7,1 ].
Poiché dunque in questo sacramento, fatta la consacrazione, non rimane la sostanza del pane, non rimangono neppure i suoi accidenti.
2. Nel sacramento della verità non ci dev'essere alcun inganno.
Ma dagli accidenti noi giudichiamo della sostanza.
Se quindi rimanessero gli accidenti senza che rimanga la sostanza del pane, il giudizio dell'uomo risulterebbe ingannato.
Ciò dunque non conviene a questo sacramento.
3. La nostra fede, sebbene non sia subordinata alla ragione, tuttavia non è contro, ma sopra di essa, come si è detto all'inizio di quest'opera [ I, q. 1, a. 6, ad 2; a. 8 ].
Ora, la nostra ragione prende le mosse dai sensi.
Perciò la nostra fede non deve mettersi contro i sensi, in modo da ritenere sostanza del corpo di Cristo quanto i nostri sensi giudicano essere pane.
Non è quindi conveniente che in questo sacramento rimangano gli accidenti del pane come oggetto dei sensi, e non rimanga la sostanza del pane.
4. Ciò che rimane dopo la conversione è il soggetto della mutazione.
Se dunque a conversione avvenuta rimangono gli accidenti del pane, si dovrà dire che gli stessi accidenti sono il soggetto della conversione.
Il che è impossibile, poiché « non esiste l'accidente di un altro accidente ».
Non devono quindi rimanere in questo sacramento gli accidenti del pane e del vino.
S. Agostino [ Lanfranco, De corp. et sang. Dom. 13 ] afferma: « Sotto le specie del pane e del vino che vediamo, noi onoriamo delle realtà invisibili, cioè la carne e il sangue ».
Con i sensi si costata che, fatta la consacrazione, rimangono tutti gli accidenti del pane e del vino.
E ciò fu disposto sapientemente dalla provvidenza divina.
Primo, poiché non essendo abituale per gli uomini, ma ripugnante, mangiare carne umana e bere sangue umano, di conseguenza la carne e il sangue di Cristo ci vengono presentati sotto le specie di quei cibi che più frequentemente sono usati dagli uomini, cioè del pane e del vino.
Secondo, affinché questo sacramento non sia oggetto di derisione da parte degli infedeli, come avverrebbe se mangiassimo nostro Signore nelle sue proprie sembianze.
Terzo, affinché il ricevere in modo invisibile il corpo e il sangue del Signore giovi ad accrescere il merito della fede.
1. L'effetto, come nota Aristotele [ De causis 1 ], dipende più dalla causa prima che dalla causa seconda.
Quindi per la virtù di Dio, che è la causa prima di tutte le cose, possono rimanere le realtà conseguenti anche tolte le precedenti.
2. In questo sacramento non c'è alcun inganno: infatti gli accidenti, di cui giudicano i sensi, rimangano nella loro realtà.
L'intelletto poi, che ha per oggetto proprio la sostanza, come dice Aristotele [ De anima 3,6 ], viene preservato dall'inganno mediante la fede.
3. E così è risolta anche la terza obiezione.
La fede infatti non è contro i sensi, ma riguarda cose a cui i sensi non possono giungere.
4. Questa conversione, come si è notato [ a. 4, ad 1 ], non ha propriamente un soggetto.
Tuttavia gli accidenti, che rimangono, hanno una certa somiglianza con esso.
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