Summa Teologica - III |
In 4 Sent., d. 11, expos.; d. 13, expos.
Pare che non si possa rimediare sufficientemente ai difetti occorrenti nella celebrazione di questo sacramento, osservando le prescrizioni della Chiesa.
1. Talvolta accade che il sacerdote celebrante prima o dopo la consacrazione muoia, impazzisca o venga colto da qualche malore, per cui non può ricevere il sacramento e condurre a termine la messa.
Quindi non è possibile stare alla prescrizione della Chiesa, che ordina al sacerdote consacrante di comunicare al proprio sacrificio.
2. Talvolta accade che il sacerdote prima o dopo la consacrazione si ricordi di aver mangiato o bevuto qualcosa, oppure di essere in peccato mortale, o di essere incorso in una scomunica di cui prima non si ricordava.
È inevitabile quindi che chi si trova in tale situazione pecchi mortalmente, poiché agirà comunque contro le prescrizioni ecclesiastiche, tanto se si comunica quanto se non si comunica.
3. Talvolta capita che una mosca o un ragno o un animale velenoso cada nel calice dopo la consacrazione; oppure il sacerdote viene a sapere che nel calice è stato versato del veleno da un malintenzionato per ucciderlo.
Nel qual caso se si comunica pecca mortalmente: o perché si uccide, o perché tenta Dio.
E così pure, se non si comunica, pecca contravvenendo alla prescrizione della Chiesa.
Quindi viene a trovarsi in una situazione di perplessità, ed è costretto a peccare, il che è inammissibile.
4. Talvolta accade che per negligenza del ministro l'acqua non viene versata, o addirittura neppure il vino, e alla fine il sacerdote se ne accorge.
E anche in questo caso egli rimane perplesso: tanto se assume il corpo senza il sangue, compiendo un sacrificio imperfetto, quanto se non assume né il corpo né il sangue.
5. Può accadere che il sacerdote non si ricordi se ha pronunziato le parole della consacrazione, oppure le altre parole prescritte nella celebrazione di questo sacramento.
E in tal caso egli pecca tanto se ripete sulla medesima materia le parole che forse ha già detto, quanto se si comunica con del pane e del vino non consacrati come se fossero consacrati.
6. Talvolta succede che per il freddo l'ostia cada di mano al sacerdote nel calice, o prima o dopo la frazione.
In tal caso dunque il sacerdote non potrà attenersi al rito della Chiesa riguardante la frazione dell'ostia, o alla norma di metterne dentro il calice solo una terza parte.
7. Talvolta succede che per negligenza del sacerdote si versi il sangue di Cristo; oppure che il sacerdote vomiti il sacramento dopo la comunione, o che le ostie consacrate vengano serbate così a lungo da putrefarsi, o addirittura che siano rose dai topi, o vadano comunque in rovina.
Nei quali casi non è possibile tributare a questo sacramento la debita riverenza secondo le prescrizioni della Chiesa.
Quindi non pare possibile rimediare sufficientemente a tali difetti o pericoli stando alle prescrizioni della Chiesa.
La Chiesa, come Dio, « non prescrive nulla di impossibile ».
Ai pericoli o difetti possibili nei riguardi di questo sacramento si può ovviare in due modi.
Primo, prevenendoli, perché non accadano.
Secondo, provvedendo adeguamente dopo che sono accaduti: cioè correggendo il difetto o con l'impiego del rimedio opportuno, o almeno con l'espiazione da parte di chi si è reso colpevole di negligenza circa questo sacramento.
1. Se il sacerdote viene colpito dalla morte o da una grave malattia prima della consacrazione del corpo o del sangue del Signore, non è necessario che un altro lo supplisca.
Se invece ciò accade dopo che la consacrazione ha già avuto inizio, p. es. quando è già stato consacrato il corpo e non ancora il sangue, o dopo la consacrazione dell'uno e dell'altro, allora la celebrazione della messa deve essere terminata da un altro sacerdote.
Perciò nei Canoni di un Concilio di Toledo [ Decr. di Graz. 2,7,1,16 ] si legge: « Stabiliamo che quando i sacerdoti consacrano i santi misteri nella celebrazione della messa, qualora accada un fatto di malattia tale da impedire ai sacerdoti di terminare il mistero iniziato, si lasci libertà al vescovo o a un altro sacerdote di completare la consacrazione iniziata.
Poiché i misteri iniziati non possono essere condotti a termine se non con la benedizione di un sacerdote che inizia o che prosegue: essi infatti non possono essere compiuti se non sono completati secondo l'ordine stabilito.
Poiché infatti tutti siamo una sola cosa in Cristo, la diversità di persone non porta alcun ostacolo dove l'identità della fede garantisce l'efficacia dello stesso effetto.
Si badi però che la norma richiesta dall'infermità della natura non ingeneri un peccato di presunzione.
Nessun ministro o sacerdote quindi osi in alcun modo lasciare incompiuti i misteri iniziati senza un malore evidente.
E se qualcuno temerariamente oserà farlo, sarà colpito da sentenza di scomunica ».
2. Nelle obiezioni dobbiamo attenerci sempre al pericolo minore.
Ora, riguardo a questo sacramento il pericolo più grave è costituito dall'incompletezza del sacramento: poiché questo è un enorme sacrilegio.
Di minore entità sono invece i difetti dalla parte di chi lo riceve.
Se quindi il sacerdote, iniziata la consacrazione, si ricorda di aver mangiato o bevuto qualcosa, deve ugualmente portare a termine il sacrificio e assumere il sacramento.
Parimenti, se si ricorda di avere commesso un peccato, deve pentirsene con il proposito di confessarsi e di riparare: e allora non riceve il sacramento indegnamente, ma con frutto.
- E la stessa cosa vale se si rammenta di essere stato colpito da una scomunica.
Deve infatti fare il proposito di chiederne l'assoluzione: e così dall'invisibile Pontefice Gesù Cristo sarà assolto in ordine al compimento dei divini misteri.
Se invece il sacerdote si ricordasse di tali cose prima della consacrazione, stimerei cosa più sicura, specialmente in caso di violazione del digiuno e di scomunica, interrompere la celebrazione della messa iniziata, eccetto il pericolo di un grave scandalo.
3. Se una mosca o un ragno cade nel calice prima della consacrazione, oppure se il sacerdote si accorge che c'è stato messo del veleno, deve gettare via tutto e, purificato il calice, porre di nuovo dell'altro vino da consacrare.
- Se invece ciò accade dopo la consacrazione, l'insetto deve essere preso con cautela, lavato diligentemente e bruciato, gettando poi le ceneri e l'acqua dell'abluzione nel sacrario.
Se invece avverte che vi è stato messo del veleno, il sacerdote non deve berlo né darlo ad altri, affinché il calice di vita non si cambi in morte, ma deve riporlo in un vaso adatto e conservarlo nel tabernacolo.
Poi, perché il sacramento non rimanga incompleto, deve versare nel calice dell'altro vino, e ricominciando dalla consacrazione del sangue, portare a termine il sacrificio.
4. Se il sacerdote prima della consacrazione del sangue e dopo la consacrazione del corpo si accorge che nel calice non c'è vino o non c'è acqua, deve subito metterli e consacrare.
- Se invece si accorge della mancanza dell'acqua dopo le parole della consacrazione, deve andare avanti, poiché l'aggiunta dell'acqua non è necessaria alla validità del sacramento, come si è detto sopra [ q. 74, a. 7 ].
Chi però è colpevole del fatto, deve essere punito.
In nessun modo comunque si deve aggiungere dell'acqua al vino già consacrato: poiché ne seguirebbe la parziale corruzione del sacramento, come si è visto [ q. 77, a. 8 ].
Se invece dopo le parole della consacrazione il sacerdote si accorge che nel calice non è stato messo il vino, se lo avverte prima della comunione del corpo deve, buttando via l'acqua eventualmente infusa nel calice, mettere nel calice vino con acqua e ricominciare dalle parole della consacrazione del sangue.
- Se invece lo avverte dopo la comunione del corpo, allora deve prendere un'altra ostia e consacrarla insieme con il sangue.
E dico questo perché se pronunziasse soltanto le parole della consacrazione del sangue non osserverebbe il debito ordine nella consacrazione, e d'altra parte, come nota il citato Concilio di Toledo [ ad 1 ], « i sacrifici non possono dirsi compiuti se non sono completati secondo l'ordine stabilito ».
Iniziare infatti dalla consacrazione del sangue e ripetere tutto il resto di seguito sarebbe fuori luogo in mancanza dell'ostia consacrata, poiché tali preghiere comportano delle parole e delle azioni che si riferiscono non solo al sangue, ma anche al corpo.
E alla fine egli deve comunicarsi di nuovo con la seconda ostia consacrata e con il sangue, anche se avesse bevuto l'acqua eventualmente presente nel calice: poiché la norma relativa alla completezza del sacramento è più grave della norma che prescrive il digiuno per la comunione sacramentale, come si è detto sopra [ ad 2 ].
5. Il sacerdote, anche se non ricorda di aver detto tutto quanto doveva dire, non deve per questo turbarsi.
Infatti chi dice molte cose non può ricordare tutto, se non forse quando pronunciando una parola si accorge di averla già detta: è così infatti che una cosa detta diviene oggetto di memoria.
Se dunque uno pensa attentamente alle parole che dice, ma non pensa al fatto che le dice, dopo non ricorda bene se le ha dette.
Infatti una cosa diviene oggetto di memoria in quanto è appresa come passata, secondo la spiegazione che dà Aristotele [ De mem. 1 ].
Se dunque il sacerdote ha coscienza di avere omesso qualcosa che non è indispensabile al sacramento, penso che non debba per questo ricominciare da capo cambiando l'ordine del sacrificio, ma che debba proseguire.
- Se invece è certo di avere omesso qualcosa di essenziale, ossia la forma della consacrazione, essendo questa necessaria al sacramento quanto la materia, deve fare come si è detto sopra [ ad 4 ] in caso di difetto della materia: deve cioè riprendere dalla forma della consacrazione e ripetere per ordine tutto il resto, per non cambiare l'ordine del sacrificio.
6. La frazione dell'ostia consacrata e l'immissione di una sua parte nel calice si riferisce al corpo mistico: così come l'aggiunta dell'acqua sta a significare il popolo.
Perciò l'omissione di queste cose non rende incompleto il sacrificio, in modo che a motivo di ciò si debba ripetere qualcosa nella celebrazione di questo sacramento.
7. Come si legge nel Decreto [ di Graz. 3,2,27 ], che riferisce un testo del Papa S. Pio I, « se per negligenza delle gocce di sangue cadono sul pavimento di legno a contatto con la terra, si lambiscano con la lingua e si raschi il pavimento.
Se poi manca il tavolato si raschi la terra, la si bruci e si depositi la cenere sotto l'altare.
Il sacerdote poi faccia penitenza per quaranta giorni.
- Se invece qualche goccia del calice è stata versata sull'altare, il ministro sorbisca le gocce.
E faccia penitenza per tre giorni.
- Se il sangue è stato versato sulle tovaglie dell'altare ed è passato fino alla seconda tovaglia, faccia penitenza per quattro giorni.
Se fino alla terza, faccia penitenza per nove giorni.
Se fino alla quarta, faccia penitenza per venti giorni.
Le tovaglie poi su cui è stato versato il sangue siano lavate per tre volte dal ministro tenendo sotto il calice, e l'acqua di questa abluzione venga raccolta e sia riposta presso l'altare ».
Potrebbe però anche essere bevuta dal ministro, se non ci fosse il pericolo di vomito.
Alcuni inoltre tagliano la parte delle tovaglie dove si è versato il sangue e la bruciano, riponendo le ceneri sotto l'altare, o nel sacrario.
Nello stesso Decreto [ ib., can. 28 ] sono poi riportate le norme di un penitenziale di S. Beda: « Se uno per ubriachezza o intemperanza vomita l'Eucaristia, faccia quaranta giorni di penitenza; i chierici, i monaci e i sacerdoti ne facciano sessanta; il vescovo novanta.
Se uno però la vomita per malattia, faccia sette giorni di penitenza ».
Il medesimo Decreto [ ib., can. 94 ] riporta poi le prescrizioni di un Concilio di Orléans: « Chi non ha conservato a dovere il sacramento, per cui in chiesa un topo o un altro animale lo mangia, faccia quaranta giorni di penitenza.
- Chi perde l'Eucaristia in Chiesa o ne fa cadere una parte che non viene più trovata, faccia trenta giorni di penitenza ».
- E la stessa penitenza merita il sacerdote per la cui trascuratezza le ostie consacrate vanno in putrefazione.
Nei suddetti giorni di penitenza il penitente deve poi digiunare e astenersi dalla comunione.
Tuttavia, tenendo conto delle circostanze riguardanti il fatto e le persone, la penitenza suddetta può essere aggravata o diminuita.
Si abbia in ogni modo sempre cura di conservare rispettosamente o anche di consumare le specie eucaristiche ogni volta che vengono trovate integre: poiché sotto le specie, finché esse durano, rimane presente il corpo di Cristo, come si disse sopra [ q. 76, a. 6, ad 3; q. 77, aa. 4,5 ].
Gli oggetti poi dove le specie vengono a trovarsi siano bruciati, se ciò può essere fatto senza obiezioni, e la cenere venga riposta nel sacrario, come si è detto a proposito della raschiatura del pavimento di legno.
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