Summa Teologica - III |
In 4 Sent., d. 14, q. 1, a. 1, sol. 3
Pare che la penitenza non sia una virtù specificamente distinta.
1. Godere del bene fatto e dolersi del male commesso sono atti della stessa natura.
Ora, la gioia per il bene compiuto non è una virtù specificamente distinta, ma « un sentimento lodevole che deriva dalla carità », come rileva S. Agostino [ De civ. Dei 14,9 ], per cui l'Apostolo diceva [ 1 Cor 13,6 ] che « la carità non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità ».
Quindi per lo stesso motivo neppure la penitenza, che è il dolore dei peccati commessi, può essere una virtù speciale, ma solo un sentimento che deriva dalla carità.
2. Ogni virtù speciale ha una materia speciale, poiché gli abiti vengono distinti in base ai loro atti e gli atti in base agli oggetti.
La penitenza invece non ha una materia speciale: poiché la sua materia è costituita dai peccati commessi in qualsiasi campo.
Quindi la penitenza non è una virtù speciale.
3. Ogni realtà è eliminata solo dal suo contrario.
Ma la penitenza elimina tutti i peccati.
Quindi non è una virtù specificamente distinta.
Nella legge, come si è notato sopra [ a. 1, s. c. ], viene dato un precetto speciale sulla penitenza.
Come si è spiegato nella Seconda Parte [ I-II, q. 54, aa. 2,3; II-II, q. 58, a. 1 ], la distinzione specifica degli abiti è conforme alle specie dei loro atti: perciò dove si riscontra un atto lodevole specificamente distinto, lì va posto anche uno speciale abito di virtù.
Ora, è evidente che nella penitenza si riscontra un atto lodevole specificamente distinto, cioè l'impegno di cancellare i peccati commessi in quanto offesa di Dio, il che non rientra nella nozione di alcun'altra virtù.
Quindi si deve ammettere che la penitenza è una virtù specificamente distinta.
1. Un atto può derivare dalla carità in due modi.
Primo, come suo atto elicito.
E tale atto virtuoso non richiede un'altra virtù oltre alla carità: come amare il bene, godere di esso e addolorarsi del suo contrario.
- Secondo, un atto può derivare dalla carità come comandato da essa.
E sotto questo aspetto, poiché la carità comanda tutte le virtù ordinandole al proprio fine, un atto che deriva dalla carità può appartenere anche a un'altra virtù.
Se quindi nell'atto del penitente si considera il solo dispiacere del peccato commesso, ciò appartiene immediatamente alla carità, come anche la gioia del bene compiuto.
L'intenzione invece di impegnarsi a cancellare il peccato commesso richiede una virtù speciale subordinata alla carità.
2. La penitenza ha sì realmente una materia generica, in quanto riguarda tutti i peccati, tuttavia li considera sotto un aspetto specifico, cioè in quanto eliminabili mediante l'atto dell'uomo che coopera con Dio alla propria giustificazione.
3. Ogni virtù specificamente distinta elimina l'abito del vizio opposto: come la bianchezza elimina la nerezza dal medesimo soggetto.
La penitenza però elimina qualsiasi peccato nell'ordine della causalità efficiente, operando alla distruzione del peccato in quanto questo può essere rimesso dalla grazia di Dio mediante la cooperazione dell'uomo.
Perciò non ne segue che essa sia una virtù generale.
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