Summa Teologica - III |
In 4 Sent., d. 14, q. 1, a. 1, sol. 4, ad 4; sol. 5
Pare che la virtù della penitenza non sia tra le specie della giustizia.
1. La giustizia non è una virtù teologale, bensì morale, come si è visto nella Seconda Parte [ I-II, q. 59, a. 5; q. 62, aa. 2,3 ].
La penitenza invece pare essere una virtù teologale, avendo Dio per oggetto: infatti tende a dare soddisfazione a Dio, col quale inoltre riconcilia il peccatore.
Quindi la penitenza non è tra le parti della giustizia.
2. Come virtù morale, la giustizia consiste nel giusto mezzo.
La penitenza invece non consiste in questo, bensì in un certo eccesso, secondo le parole di Geremia [ Ger 6,26 ]: « Fa' lutto come per un figlio unico, lamentati amaramente ».
Perciò la penitenza non è tra le specie della giustizia.
3. Secondo Aristotele [ Ethic. 5,2 ] due sono le specie della giustizia, cioè « la distributiva e la commutativa ».
Ma la penitenza non pare rientrare in nessuna delle due.
Quindi la penitenza non è una specie della giustizia.
4. A proposito di quel testo evangelico [ Lc 6,21 ]: « Beati voi che ora piangete », la Glossa [ ord. ] spiega: « Ecco la prudenza, che ci mostra quanto le cose terrestri siano misere, e quanto beate quelle celesti ».
Ora, piangere è l'atto della penitenza.
Perciò la penitenza rientra più nella prudenza che nella giustizia.
S. Agostino [ De vera et falsa poenit., cc. 8,19 ] afferma: « La penitenza è come una vendetta di chi è pentito, che sempre punisce in sé quanto si pente di aver commesso ».
Ma fare vendetta appartiene alla giustizia: infatti Cicerone [ De invent. 2,53 ] enumera la « vendicativa » tra le parti della giustizia.
Quindi la penitenza è tra le specie della giustizia.
La penitenza, come si è già notato [ a. 2 ], deve la sua natura di virtù speciale non solo al fatto che uno si pente del male commesso, perché allora basterebbe la carità, ma al fatto che il penitente si pente del peccato commesso in quanto è offesa di Dio, col proposito di riparare.
Ora, la riparazione di un'offesa non si ha con la sola cessazione dell'offesa, ma esige anche un certo compenso, il quale si riscontra nelle offese verso gli altri, come anche la retribuzione: solo che il compenso viene dalla parte di colui che ha offeso, p. es. mediante la soddisfazione, mentre la retribuzione viene dalla parte di colui che ha ricevuto l'offesa.
Ma l'uno e l'altra sono materia della giustizia: poiché sono ambedue delle commutazioni.
Perciò è evidente che la penitenza in quanto virtù è tra le parti della giustizia.
Si deve però ricordare che secondo il Filosofo [ Ethic. 5,6 ] esistono due tipi di giustizia: quella assoluta e quella relativa [ secundum quid ].
La prima è quella esistente tra uguali: poiché la giustizia è una certa uguaglianza.
Ed egli la denomina « giustizia politica », o « civile »: poiché tutti i cittadini sono uguali in quanto persone libere, soggette immediatamente al principe.
Si ha invece una giustizia secundum quid tra coloro che sono sottoposti l'uno all'altro: come tra schiavo e padrone, tra figlio e padre, tra moglie e marito.
E questa è appunto la giustizia che si riscontra nella penitenza.
Infatti il penitente ricorre a Dio col proposito di riparare come lo schiavo ricorre al padrone, secondo l'espressione del Salmo [ Sal 123,2 ]: « Come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni, così i nostri occhi sono rivolti al Signore nostro Dio »; oppure come il figlio al padre, secondo le parole evangeliche [ Lc 15,18 ]: « Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te »; oppure come la moglie al marito, secondo l'accenno di Geremia [ Ger 3,1 ]: « Ti sei disonorata con molti amanti, ma torna pure a me, dice il Signore ».
1. La giustizia, come spiega Aristotele [ Ethic. 5,1 ], « dice relazione ad altri ».
Ora, colui al quale si riferisce la giustizia non si dice che è la materia di questa virtù, ma la materia di essa è data piuttosto dalle cose che vengono distribuite o commutate.
Quindi anche la materia della penitenza non è Dio, bensì gli atti umani che offendono o placano Dio; Dio è invece nella condizione di colui al quale la giustizia si riferisce.
È quindi evidente che la penitenza non è una virtù teologale, non avendo Dio per materia, ossia per oggetto.
2. Il giusto mezzo della giustizia consiste nell'uguaglianza che deve essere stabilita fra coloro in cui si riscontra un rapporto di giustizia, come dice Aristotele [ Ethic. 5,5 ].
Ma tra certe persone non si può riscontrare una perfetta uguaglianza, per l'eccellenza di una di esse: p. es., come spiega il Filosofo [ ib. 8,14 ], tra il figlio e il padre, o tra l'uomo e Dio.
In questi casi dunque l'inferiore deve fare tutto quello che può, e tuttavia ciò non sarà sufficiente se non in base all'accettazione del superiore.
E ciò viene indicato dall'eccesso che viene attribuito alla penitenza.
3. Come c'è un contraccambio nei benefici, quando cioè per un beneficio ricevuto uno accorda una grazia, così c'è anche un contraccambio nelle offese: come quando per un'offesa arrecata uno viene punito contro la sua volontà, il che spetta alla giustizia vendicativa, oppure dà volontariamente una ricompensa per il castigo meritato, il che spetta alla penitenza, che riguarda la persona del peccatore come la giustizia vendicativa riguarda la persona del giudice.
Perciò è evidente che entrambe rientrano nella giustizia commutativa.
4. La penitenza, sebbene direttamente sia tra le specie della giustizia, tuttavia abbraccia in qualche modo tutte le virtù.
Poiché in quanto è giustizia verso Dio viene necessariamente a partecipare certi aspetti delle virtù teologali, che hanno Dio per oggetto.
Per cui la penitenza è accompagnata dalla fede nella passione di Cristo, per cui siamo giustificati dal peccato, dalla speranza nel perdono, e infine dall'odio del peccato, che fa parte della carità.
- Invece in quanto virtù morale ha una certa partecipazione della prudenza, che ha il compito di dirigere tutte le virtù morali.
Ma anche sotto l'aspetto stesso della giustizia la penitenza non ha solo i compiti della giustizia, bensì anche quelli della temperanza e della fortezza: poiché quanto produce il piacere ed è oggetto della temperanza, e quanto incute timore e viene regolato dalla fortezza, diventa materia di commutazione, ossia di giustizia.
E sotto questo aspetto rientra nella giustizia sia l'astenersi dai piaceri, che è compito della temperanza, sia il sopportare le sofferenze, che è compito della fortezza.
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