Summa Teologica - III

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Articolo 5 - Se la penitenza derivi dal timore

In 4 Sent., d. 14, q. 1, a. 2, sol. 1

Pare che la penitenza non derivi dal timore.

Infatti:

1. La penitenza ha inizio con il pentimento dei peccati.

Ma questo appartiene alla carità, come si è detto sopra [ a. 2, ad 1; a. 3 ].

Quindi la penitenza nasce più dall'amore che dal timore.

2. Gli uomini vengono spinti alla penitenza dall'attesa del regno dei cieli, secondo le parole evangeliche [ Mt 4,17 ]: « Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino ».

Ora, il regno dei cieli è oggetto della speranza.

Quindi la penitenza deriva più dalla speranza che dal timore.

3. Il timore è uno degli atti interni dell'uomo.

La penitenza invece pare un'opera non dovuta all'uomo, ma a Dio, stando alle parole della Scrittura [ Ger 31,19 ]: « Dopo che tu mi hai convertito, ho fatto penitenza ».

Perciò la penitenza non deriva dal timore.

In contrario:

In Isaia [ Is 26,17 ] si legge: « Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte a te », mediante la penitenza; e poco dopo il testo così continua secondo un'altra versione [ LXX ]: « Per il tuo timore, o Signore, noi abbiamo concepito, abbiamo partorito e abbiamo generato lo spirito di salvezza », cioè di salutare penitenza, come si rileva da ciò che precede [ c. 26 ].

Quindi la penitenza deriva dal timore.

Dimostrazione:

Della penitenza noi possiamo parlare da due punti di vista.

Primo, in quanto è un abito.

E sotto questo aspetto essa viene infusa immediatamente da Dio « senza di noi » come operanti principali, però non senza di noi quali cooperanti nell'ordine dispositivo mediante certi atti.

Secondo, possiamo parlare della penitenza in riferimento agli atti con i quali cooperiamo con Dio operante nella penitenza.

Ora, il principio primo di questi atti è l'operazione di Dio che converte il nostro cuore, secondo la preghiera di Geremia [ Lam 5,21 ]: « Convertici a te, Signore, e ci convertiremo ».

- Il secondo atto è un moto di fede.

- Il terzo è un moto di timore servile, con il quale uno si ritrae dal peccato per il timore dei castighi.

- Il quarto è un moto di speranza, per cui uno concepisce il proposito di emendarsi nella speranza di conseguire il perdono.

- Il quinto è un moto di carità, con cui si detesta il peccato per se stesso, e non più per i castighi.

- Il sesto è un moto di timore filiale, con cui uno offre volontariamente a Dio il proprio emendamento per il rispetto a lui dovuto.

Così dunque risulta che l'atto della penitenza deriva dal timore servile come dal primo moto affettivo che ad essa ci ordina, mentre deriva dal timore filiale come dal suo principio prossimo e immediato.

Analisi delle obiezioni:

1. Il peccato comincia a dispiacere all'uomo, soprattutto se peccatore, prima per i castighi, che sono l'oggetto del timore servile, che non per l'offesa di Dio o per la nefandezza del peccato, che sono l'oggetto della carità.

2. L'avvicinarsi del regno di Dio implica la venuta del re che non solo premia, ma anche punisce.

Da cui le parole di S. Giovanni il Battista [ Mt 3,7 ]: « Razza di vipere, chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente? ».

3. Anche lo stesso moto del timore deriva dall'atto di Dio che converte il cuore.

Per cui nel Deuteronomio [ Dt 5,29 ] si legge: « Chi darà loro un cuore tale per cui mi temano? ».

Quindi il fatto che la penitenza proceda dal timore non esclude che proceda dall'atto con cui Dio converte il cuore.

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