Supplemento alla III parte |
Pare che chi, dopo essersi pentito di tutti i peccati, cade in una colpa, possa soddisfare per essi senza avere la carità.
1. Daniele [ Dn 4,24 ] disse a Nabucodonosor: « Sconta i tuoi peccati con l'elemosina ».
Ma il re era ancora peccatore, come dimostra la punizione successiva.
Quindi chi è in peccato è in grado di soddisfare.
2. « Nessuno sa se sia degno di odio o di amore » [ Qo 9,1 Vg ].
Perciò se la soddisfazione non potesse essere fatta che nella carità, nessuno saprebbe se ha o non ha compiuto la soddisfazione.
Ma ciò è inammissibile.
3. Dall'intenzione che uno ha all'inizio di un atto, viene informato tutto l'atto.
Ma il penitente nell'intraprendere la penitenza era nella carità.
Perciò tutta la soddisfazione successiva riceve efficacia da quella carità che ne aveva animato l'intenzione.
4. La soddisfazione consiste in una certa adeguazione della pena alla colpa.
Ora, tale adeguazione della pena può esserci anche in chi è privo della carità.
Quindi in costui ci può essere anche la soddisfazione.
1. Nei Proverbi [ Pr 10,12 ] si legge: « L'amore ricopre ogni colpa ».
Ma cancellare la colpa è proprio della soddisfazione.
Quindi senza la carità questa non può avere la sua virtù.
2. Nella soddisfazione l'opera principale è l'elemosina.
Ma l'elemosina non vale se è fatta senza avere la carità, come risulta dalle parole di S. Paolo [ 1 Cor 13,3 ]: « Se distribuissi tutte le mie sostanze ai poveri … [ se non ho la carità non mi giova a nulla ] ».
Quindi non ha consistenza neppure la soddisfazione.
Alcuni dissero che se uno, dopo aver ottenuto con la contrizione il perdono di tutte le colpe, cade in peccato prima di aver compiuto la soddisfazione, e così la compie in stato di peccato, tale soddisfazione sarebbe valida, per cui se egli morisse in quello stato di peccato, nell'inferno non sarebbe punito per i peccati precedenti.
Ma ciò è impossibile.
Nella soddisfazione infatti, anche dopo che si è ristabilita l'uguaglianza dell'amicizia, rimane da ristabilire l'uguaglianza della giustizia, il cui contrario elimina l'amicizia, come nota Aristotele [ Ethic. 9,1 ].
Ora, nella soddisfazione dovuta a Dio l'uguaglianza non è computata secondo l'equivalenza, ma secondo la sua accettazione.
È quindi necessario che, oltre al precedente perdono dell'offesa per la contrizione precedente, le opere soddisfattorie siano accette a Dio.
Il che è dovuto alla carità.
Perciò le opere compiute senza la carità non sono soddisfattorie.
1. Il consiglio di Daniele va inteso nel senso che il re doveva smettere di peccare, pentirsi e quindi soddisfare mediante l'elemosina.
2. L'uomo, come non sa con certezza se ha la carità mentre compie la soddisfazione, così non sa con certezza se ha pienamente soddisfatto.
Da cui le parole della Scrittura [ Sir 5,5 ]: « Non essere troppo sicuro del perdono ».
Non si richiede tuttavia per questo che uno ripeta l'espiazione compiuta, quando non ha coscienza di peccato mortale.
Se anche infatti con tale soddisfazione egli non avesse espiato la pena, non incorrerebbe tuttavia in un reato di omissione per averla trascurata: come chi accede all'Eucaristia senza avere coscienza del peccato mortale che ha nell'anima, non incorre nel reato di una comunione indegna.
3. Quella prima intenzione viene interrotta dal peccato successivo, per cui non può dare alcun valore alle opere compiute dopo il peccato.
4. Nel caso non è possibile un'adeguazione che basti né secondo l'accettazione da parte di Dio, né secondo l'equivalenza.
Perciò l'argomento non regge.
Indice |