Supplemento alla III parte

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Articolo 3 - Se si possa esercitare il potere delle chiavi sul proprio superiore

Pare che non si possa esercitare il potere delle chiavi sul proprio superiore.

Infatti:

1. Qualsiasi atto sacramentale richiede la propria materia.

Ora, la materia propria per l'esercizio del potere delle chiavi consiste nei sudditi, come si è visto sopra [ q. 19, a. 6 ].

Quindi il sacerdote non può esercitare il potere delle chiavi su chi non è suddito.

2. La Chiesa militante deve imitare quella trionfante.

Ma nella Chiesa del cielo un angelo inferiore non purifica, illumina o perfeziona mai un angelo superiore.

Ugualmente quindi nessun sacerdote inferiore può compiere una funzione gerarchica, come l'assoluzione, nei riguardi di un superiore.

3. Il giudizio di coscienza deve essere più ordinato del giudizio in foro esterno.

Ma in foro esterno l'inferiore non può né scomunicare né assolvere un superiore.

Quindi non può farlo neppure in foro penitenziale.

In contrario:

1. Anche il prelato superiore « è circondato di infermità » [ Eb 5,2 ], e può cadere anch'egli nel peccato.

Ma il rimedio contro il peccato è il potere delle chiavi.

Non potendo quindi egli usarlo su se stesso, poiché non può essere insieme giudice e reo, è evidente che l'inferiore può esercitarlo su di lui.

2. L'assoluzione che viene data col potere delle chiavi è ordinata alla comunione eucaristica.

Ma l'inferiore può distribuire l'Eucaristia al superiore, se questi lo chiede.

Quindi egli può esercitare su di lui anche il potere delle chiavi, se il superiore gli si sottopone.

Dimostrazione:

Il potere delle chiavi di per sé, come si è detto [ a. 1, ad 1 ], si estende a tutti, e che un sacerdote non possa esercitarlo su qualcuno dipende dal fatto che tale potere è stato limitato ad alcuni in particolare.

Perciò colui che l'ha limitato può estenderlo a chi vuole.

E così può concedere tale potere anche nei riguardi di se stesso: sebbene egli non possa esercitare su di sé il potere delle chiavi, richiedendo tale potere come materia un suddito, e quindi un'altra persona, non potendo nessuno essere suddito di se stesso.

Analisi delle obiezioni:

1. Sebbene il vescovo che viene assolto dal semplice sacerdote sia a lui superiore in senso assoluto, gli è però inferiore in quanto gli si sottomette come peccatore.

2. Negli angeli non può capitare, come accade invece negli uomini, alcun difetto per cui i superiori debbano sottomettersi agli inferiori.

Perciò il paragone non regge.

3. Il giudizio in foro esterno è secondo gli uomini, ma il giudizio di confessione è secondo Dio, presso il quale uno diventa inferiore per il fatto che pecca, però senza pregiudizio per le gerarchie umane.

Quindi nel giudizio in foro esterno, come uno non può dare contro se stesso una sentenza di scomunica, così non può nemmeno dare ad altri l'incarico di scomunicare se stesso.

Invece nel foro della coscienza uno può incaricare un altro della propria assoluzione, che egli non può applicarsi da sé.

Oppure si può rispondere che l'assoluzione in foro sacramentale deriva principalmente dal potere delle chiavi, e solo indirettamente dalla giurisdizione.

La scomunica invece deriva in tutto e per tutto dalla giurisdizione.

Ora, tutti i sacerdoti sono uguali per il potere di ordine, ma non per quello di giurisdizione.

Quindi il paragone non regge.

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