La passione del corpo e la passione dell'anima di Gesù |
B307-A4
Dagli esercizi spirituali dell'Unione
- Padre Giacomo Garino o.f.m. cap. -
Riportiamo la presente relazione che sintetizza le riflessioni svolte da padre Giacomo negli esercizi spirituali dell'Unione Catechisti, tenutisi all'Oasi S. Chiara di Torino, dal 10 al 12 settembre.
In passato la pietà cristiana si è soffermata molto a guardare alle sofferenze fisiche sopportate da Cristo durante la sua passione.
E da questo sguardo è nata la devozione tradizionale alle "Cinque piaghe" del Crocifisso.
In tempi più vicini a noi, senza nulla togliere alla dimensione fisica, si afferma sempre più la tendenza a guardare alle sofferenze dell'anima.
Non si tratta certo di opporre corpo e anima, ma di percepire questi due termini come un insieme integrato costitutivo dell'essere umano.
La sofferenza infatti non è tanto un fatto della natura, quanto della persona.
L'indagine sugli aspetti fisici è sicuramente importante, ma limitata.
In questa prospettiva, oltre alle sofferenze patite da Cristo nel suo corpo, è importante per noi guardare, per quanto ci è possibile, a quello che è successo nella sua anima.
I testi biblici ci forniscono in merito indizi significativi.
Nel Getsemani "Gesù - ci dicono i vangeli sinottici - cominciò a sentire paura e angoscia e disse ai suoi discepoli: la mia anima è triste fino alla morte". ( Mt 26,38 )
Queste espressioni trovano un riscontro nell' "anima mia è turbata" di Giovanni. ( Gv 12,27 )
Così come il "passi da me questo calice" ( Mc 14,23 )trova un riscontro nel "Padre, salvami da quest'ora". ( Gv 12,27 )
Infine al racconto evangelico fa riscontro un brano della lettera agli Ebrei sul quale è opportuno riflettere al fine di chiarire il dramma della passione sofferta da Gesù.
"Nei giorni della sua vita terrena - dice l'autore della lettera - Cristo offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito" ( Eb 5,7 ).
A una lettura superficiale una simile affermazione può apparire sorprendente, perché in apparente contraddizione con quanto riportato nei vangeli circa la morte di Gesù in croce.
Appunto per questo abbiamo bisogno di comprendere in che senso la preghiera di Gesù di essere liberato da morte fu esaudita.
Noi abbiamo una paura terribile delle sofferenze e soprattutto della morte, e siamo propensi a pensare che anche Cristo abbia sperimentato questo tipo di paura.
Ma probabilmente non è cosi, infatti se riflettiamo più in profondità ci accorgeremo che la paura sperimentata da Cristo doveva essere di natura diversa e ben più profonda delle nostre.
Intanto teniamo presente che Cristo a suo tempo aveva esortato i suoi discepoli a non temere coloro che possono uccidere il corpo, ma piuttosto coloro che possono uccidere l'anima.
Ora, nell'ora della prova suprema, Cristo non è angosciato per il timore delle sofferenze fisiche e neppure di essere mandato a morire su una croce.
La ragione profonda della sua angoscia va ricercata su un altro piano, cioè sul piano della relazione con Dio.
Cristo teme coloro che possono "uccidere la sua anima", cioè separarlo dal Dio della vita.
In altri termini non teme la morte corporale, teme la morte dello spirito.
Alla luce della fede sappiamo che la realtà che può uccidere l'anima dell'uomo è il peccato, su questo punto infatti il messaggio di Cristo non lascia spazio a dubbi.
La passione di Cristo, molto più che alle sofferenze fisiche, è intimamente legata al mistero del peccato.
L'angoscia mortale che Cristo prova nel Getsemani e sul Calvario è legata al peccato che grava su di lui.
Perché se è vero - come dice Paolo - che in lui non c'era peccato, però Dio lo tratta da peccato in nostro favore.
Un primo dato importante su cui riflettere sono le ripercussioni che doveva avere nella coscienza di Cristo la percezione del peccato.
Normalmente noi siamo degli emeriti incoscienti, in quanto la nostra percezione del peccato è molto limitata ed offuscata.
Solo i santi, illuminati dalla fede, giungono a vedere nel peccato il male supremo e per questo pregano: "la morte ma non peccati".
In merito il riferimento a due esperienze mistiche può aiutarci a fare maggiore luce.
La beata Angela da Foligno un giorno chiese a Cristo la grazia di comprendere la natura del peccato.
Fu accontentata, ma se ne pentì amaramente, infatti una simile illuminazione le provocò nella sua anima una così profonda sofferenza che subito si mise a supplicare il Signore di farle provare piuttosto tutte le sofferenze di tutti gli uomini, fino alla fine del mondo, ma non questa.
Anche il santo Curato d'Ars chiese la medesima grazia, ma anche in lui la sofferenza fu così grande da indurlo a supplicare: "mai più una cosa del genere!".
Pensiamo, se la percezione della natura del peccato può provocare sofferenze cosi grandi in alcuni santi, quanto più ha dovuto soffrire Cristo la cui coscienza era di una trasparenza assoluta.
In lui infatti, più che in ogni altro essere umano o angelico, c'era una coscienza limpidissima e profonda del valore assoluto della vita divina da una parte e dall'altra del peccato come negazione di questa vita.
Lui solo poteva percepire e vivere ad una profondità inimmaginabile l'antitesi tra Dio e il peccato, tra morte e vita.
E questa antitesi Cristo l'ha vissuta in modo del tutto particolare nel Getsemani e sulla croce.
I dati della rivelazione neotestamentaria lasciano intendere che proprio al momento della passione e morte in croce si è verificato lo scontro supremo e decisivo tra la forza che viene da Dio e le potenze del male.
Quello che per noi è decisamente importante comprendere è che questo scontro non si è verificato solo sul piano esterno, come tra due entità separate ed opposte: cioè tra Cristo da una parte e le potenze del male dall'altra.
Lo scontro si è verificato nell'animo stesso di Cristo sotto forma di tensione, di lacerazione profonda, e questo gli ha fatto sperimentare una sofferenza infinitamente più grande di tutte le sofferenze fisiche.
In questo senso appunto parliamo qui di "passione dell'anima".
Teniamo presente che nel caso di Cristo lo scontro con il peccato non si riduce ad un male esterno che lo schiaccia.
Ben di più, lo scontro tra luce e tenebre traversa l'anima di Cristo.
E questo avviene in conseguenza del fatto che Cristo si è addossato il nostro peccato.
Appunto perché "si è addossato il nostro peccato", Cristo ne sperimenta le conseguenze fino in fondo.
Il peccato nella sua essenza, ci dicono i teologi, significa negazione di Dio, allontanamento dall'amore e dalla vita che è in Dio.
Ebbene, Cristo sperimenta sulla croce proprio l'allontanamento da Dio.
Espressione significativa di questa lacerazione interiore è il grido di Gesù in croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
La separazione dal Dio della vita fa soffrire Cristo immensamente di più di ogni sofferenza fisica.
E la sua sofferenza è tanto più grande in quanto verso Dio tende ogni fibra del suo essere.
Molti teologi negli ultimi tempi si sono soffermati ad indagare sulla passione dell'anima di Cristo.
Tra gli altri va in questa direzione la riflessione che il teologo Ratzinger sviluppa nella sua Introduzione al cristianesimo ( Queriniana ).
"La sofferenza mortale di Cristo - dice Ratzinger - consiste nell'impossibilità ad amare simultaneamente la santissima Trinità ed un mondo estraneo alla Trinità".
In queste riflessioni del futuro papa emerge un dato estremamente importante, ossia la relazione tra sofferenza e amore.
Più che in ogni altro uomo, le sofferenze dell'anima in Gesù sono in diretta relazione con il dramma dell'amore vissuto da Cristo durante tutta la sua esistenza e in particolare durante la sua passione.
La tensione tra sofferenza e amore non è solo al centro del dramma della nostra redenzione, è anche al cuore di ogni autentica spiritualità.
Estremamente significativa a questo proposito è la preghiera che S. Francesco rivolge a Cristo sulla Verna.
"O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti prego che mi faccia prima che io muoia: la prima di sentire nell'anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nell'ora della tua acerbissima passione; la seconda di sentire nel cuore mio, quanto è possibile, quello straordinario amore del quale tu, Figlio di Dio, eri acceso tanto da sostenere volentieri una così grande passione per noi peccatori".
Gesù nell'orto del Getsemani