La passione e la gioia della salvezza

B333-A1

( Sintesi, a nostra cura, di una meditazione di mons. Pollano )

L’ostensione della Sindone ci è di stimolo a contemplare, riflettere e adorare il Crocifisso, perseverando nel cammino di conversione, quale risposta appassionata all’infinito amore che scaturisce dalle sue Ferite sanguinanti e gloriose.

Le riflessioni di mons. Pollano, anche se sintetizzate da una sua lectio divina sul sacro telo, ci sono di aiuto e di incentivo in questo percorso.

1. Lettura teologica

L’immagine sindonica rappresenta in maniera impressionante il racconto evangelico.

Per lettura teologica s’intende quella operazione per cui da un segno qualsiasi faccio emergere un significato, che è il pensiero di Dio.

Sotto questo profilo, l’uomo crocifisso della Sindone può essere contemplato, in base alla fede, secondo il contesto del Vangelo, data la stretta corrispondenza dei segni sul sacro telo con la descrizione scritturale della passione di Gesù.

2. Elementi di decifrazione

Se il crocifisso della Sindone è un segno che ci richiama alla passione, morte e resurrezione di Gesù, quali elementi fa emergere?

Esaminiamone alcuni.

Primo elemento: l’amore.

Gesù si è sempre dichiarato colui che portava e svelava l’amore.

L’amore è un’esperienza ( non un concetto ) forte, e probabilmente la più forte, e dona felicità, in modo che noi quando amiamo, e soltanto se amiamo, siamo spinti a insistere nella vita.

“Io e il Padre siamo uno” ( Gv 10,30 ), dove “uno” implica una valenza personalistica.

“Ti chiedo che anch’essi siano in noi uno” ( Gv 17,21 ).

Gesù si è saputo e si è sentito sempre “amatissimo” dal Padre ( Lc 3,22; Mt 17,5 ) e d’altra parte ha giustificato la sua passione e morte così: “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre” ( Gv 14,31 ).

Vedendo quell’uomo in croce non guardo solo il dolore, e non mi lascio solo traversare da un’immensa commozione, ma vedo l’immagine di un amore vissuto oltre le mie immaginazioni.

Secondo elemento: la riunificazione.

Nella croce vedo un amore che ha intrapreso un’ opera di riunificazione, perché Gesù non è venuto in questo mondo da solo a trattare col Padre, è venuto nostro fratello in mezzo a noi e ci ha trovati nella condizione in cui noi siamo, cioè in alienazione da Dio e dalla sua comunione, per alcuni dei seguenti motivi:

1. La divagazione da Dio e la sostituzione di Dio amato con qualcun altro.

Tale situazione ci è talmente abituale che se, ad esempio, troviamo un giovane che coltivi in sé l’unione con Dio, ci sembra un fenomeno.

2. Il distacco, fuga e finzione rispetto a Dio.

Gesù non è stato riconosciuto dai sommi sacerdoti e dal suo popolo, salvo i discepoli e i convertiti.

Sin dalla Genesi rileviamo che l’uomo fugge da Dio: “Mi ero nascosto”; “Ho avuto paura”; “Sono nudo e mi vergogno” ( cfr. Gen 3,8-10 ).

Notiamo ancora l’autonomia dell’uomo da Dio e la mancanza d’intesa progettuale con Dio.

In occidente da alcuni secoli si vive “come se Dio non ci fosse”.

3. Il “raffreddamento dell’amore” ( Mt 24,12 ).

Eppure la storia di Israele è una storia sponsale, Cristo è sposo della Chiesa.

Si è cominciato col dire che Dio è inutile, poi si è passati alla indifferenza verso Dio, quindi a un giudizio su Dio per i mali nel mondo, da cui “l’ateismo di critica” e infine la rivolta contro Dio.

Sono atteggiamenti che ritroviamo nell’animo di una persona o nella vita di una società.

4. Trovandosi in questo clima culturale, Gesù, il Figlio, invece di sottrarsi, si propone di riunire i fratelli al Padre e “abbatte il muro di separazione … distruggendo in sé l’inimicizia” ( Ef 2,14-16 ), cioè l’indifferenza, la critica e l’ostilità contro Dio, realizzando un ponte d’amore nuovo, che solo Lui, Dio fatto Uomo, poteva eseguire.

Terzo elemento: la giustificazione.

Essere “giusti” significa “rendere a Dio ciò che è di Dio” ( Mt 22,21 ), ma poiché Dio è amore, dobbiamo rendergli amore.

Gesù ha realizzato questa giustificazione sino al massimo grado d’amore, quello della croce, secondo il suo programma di vita: ”Allora ho detto: ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” ( Eb 10,7 ).

E la volontà di Dio è la perfezione morale di Gesù, il quale sempre acconsente, risponde sempre “sì” alle richieste del Padre, anche a prezzo del più lancinante dolore, mentre per contro noi uomini, nella nostra delittuosità, diciamo “no” a Dio, e in ciò sta il peccato.

Gesù la sindone se l’è vista tutta prima della sua crocifissione, tanto che ha sudato sangue, a fronte di questo “no” universale e delle sue sofferenze e morte.

“Non sia fatta la mia, ma la tua volontà” ( Lc 22,42 ).

È la sostituzione dell’umanità di Cristo, traboccante di un “sì” totale, nella mia umanità di fronte al “no”.

“Il primo uomo ( Adamo ) fatto di terra” inaugura e celebra il “no” a Dio,“ma l’ultimo Adamo ( Cristo )”, quello definitivo che “viene dal cielo” ( cfr. 1 Cor 15,47 ) realizza al contrario un’intesa indissolubile: chiedimi quello che vuoi, dirò sempre “sì”.

Il consenso al Padre si conclude solo con “ … è compiuto”, ti ho detto “sì” fino al fondo; a quel punto Cristo rientra nello Spirito, emette lo spirito.

3. Implicazioni di questo percorso.

Gesù ha patito moltissimo, dunque è entrato nel mistero del dolore.

L’esperienza del dolore - cioè del male inteso come dolore, sia fisico che psichico – è per noi scandalosa e provoca interrogazioni di rivolta critica fondamentale: Perché esiste il male?

Perché si esiste se c’è il male?

Perché il mondo invece che niente?

In realtà il dolore ha una sola soluzione, che si possa eliminarlo.

Noi esigiamo una condizione felice, che quando ci è tolta sprigiona in noi la rivolta critica.

Questa rivolta non è un peccato, è una protesta che anche Cristo ha fatto sua.

È peccato se la rivolta costituisce un’opposizione a Dio, l’ateismo di protesta che caratterizza il nostro tempo specie nell’area culturale europea.

Vi sono stati tentativi di eliminazione del dolore, come nell’eliminare ogni desiderio e in definitiva nell’estinguere la vita, ma è una soluzione distruttiva ( buddismo ).

3bis. Implicazioni presenti nel percorso di Gesù Cristo.

a) Gesù è Dio Crocifisso.

Col suo modo di essere, Dio fatto uomo ha cominciato a salvarci dall’idea che ci scandalizza di un Dio felice, che è là e noi siamo qua.

Non basta il teismo ottimistico e un po’ semplificatorio che ci lascia nei guai, non basta a Dio e non basta a noi.

Il male intrinseco, proprio della finitezza dell’essere che non è Dio, è assunto da Gesù, e Gesù diventa l’”assurdo” e “irreligioso” Dio crocifisso.

Noi siamo abituati a questo termine, ma secondo la teodicea di tutti i tempi esprimiamo una cosa insostenibile, essendo Dio immutabile, felice, intoccabile, tant’è che i primi cristiani erano definiti atei.

b) Gesù protesta contro il dolore.

Dio prende l’umano dal di dentro, ma non solo in senso solidale; non aggiunge un grande Sofferente a noi sofferenti.

In realtà Gesù, dentro il nostro dolore fa vivere, dice forte a suo Padre il nostro diritto ad essere felici.

Vive il dolore, perché sarebbe molto facile protestare restando sul monte della trasfigurazione.

Lo vive protestandoci dentro.

Muore per dare questa prova d’amore al Padre, ma non col sorriso sulle labbra.

Muore chiedendo al Padre di essere liberato dalla morte, con forti suppliche e lacrime, e sarà liberato dalla Risurrezione ( cfr. Eb 5,7 ).

c) Il dolore grida a Dio.

Il male, comunque sofferto, e tanto più quando è subito, ci rende creditori nei riguardi del Creatore: “La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!” ( Gen 4,10 ).

È una protesta, perché l’uomo non è fatto nè per uccidere né per essere ucciso; e ancora: “Fino a quando, Tu che sei santo e veritiero, non vendicherai il nostro sangue?” ( Ap 6,10 ).

Dio lascia salire la protesta dell’uomo a lui, attraverso il cuore di suo Figlio.

Quando Gesù piange poco prima di far risorgere Lazzaro, piange di fronte al Padre, come a far nascere dentro il cuore di Dio fatto uomo la protesta contro la condizione umana pura e semplice.

Dio si prende totalmente il carico di quello che ha fatto.

Dio crea l’umanità nella finitudine e perciò con il dolore, ma ci entra lui e sperimenta la verifica che vale la pena morire se si risorge.

Il tragico dilemma del secolo: “Tu o sei un Dio onnipotente ma non sei buono, o sei buono ma non sei onnipotente: quindi sei un Dio che non m’interessa.” ( Camus ), viene ad essere superato con la Croce.

d) Dio “rinchiude tutti nella disobbedienza per usare a tutti misericordia” ( Rm 11,32 ).

Dio ri sponde alla sua creazione “sottomessa alla caducità” ( Rm 8,20 ), sottoposta alla morte per adesso, risponde nel senso che se ne rende responsabile e ci lascia peccare.

Il progetto di Dio lascerà soddisfatto il nostro cuore, che ora soffre, perché “le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi” ( Rm 8,18 ).

Gesù che arriva al termine ha, nella Sindone, non la faccia mostruosa, stravolta di chi muore male, ma sembra un uomo che dorme; questo Gesù, che la morte la vive tutta, l’assapora fino all’ultima goccia, però risorge.

e) Gesù è per noi causa e anche oggetto di una speranza trascendente,

che passa anche attraverso la Croce, che non si ferma lì bloccata, è una speranza assoluta alla quale l’Uomo sindonico ci trasferisce.

La Sindone rimanda molto oltre, c’è qualcosa di più che un uomo morto, c’è qualcosa di ulteriore.

Qui siamo di fronte all’Agnello innocente.

Di tutti i dolori possibili quello che ci scandalizza di più è la sofferenza innocente.

Ebbene Gesù Cristo Figlio di Dio ha voluto essere un Innocente che ha sofferto per garantirci che nessun aspetto della sofferenza umana sarà dimenticato, che essa è condizione “penultima”, ma la condizione ultima è quella di un Innocente così trattato e posto nella sua gloria attraverso questa strada.

Allora Cristo accoglie innocente la morte, innocente la sofferenza: la mano di Dio è capace di sollevare la storia che noi daremmo perduta, insostenibile e inaccettabile.

( Sintesi da una conferenza di mons. G. Pollano )