Quale bellezza salverà il mondo? |
Mentre mi accingo a scrivere questa lettera pastorale, che vorrebbe aiutare me e i miei fedeli a vivere bene il passaggio di millennio, sento che tanti, persino troppi sono i temi che bussano alla porta del mio cuore.
Cerco di menzionare almeno i principali.
In questo anno 2000, che sta sulla soglia fra due secoli e due millenni, mentre facciamo memoria del dono dell'incarnazione del Figlio di Dio, compiutasi venti secoli fa, vorrei anzitutto aiutare a riflettere sul significato del tempo e della storia.
A che punto siamo del cammino umano?
Come è stato finora accolto il dono di Dio, che è il Signore Gesù?
Come lo abbiamo accolto noi, credenti in Lui?
Che senso può avere l'entrare in un nuovo millennio?
Questa domanda assume una particolare drammaticità a causa dei recenti eventi della guerra nei Balcani e degli odi etnici che essa ha così violentemente manifestato: come è possibile che il secolo ventesimo si chiuda con esperienze tanto drammatiche, come se nulla avessimo imparato dalle tragiche lezioni delle due guerre mondiali, dai genocidi perpetrati e dalla caduta delle ideologie?
Il Papa ci chiede di fare questa ardua meditazione sulla storia alla luce del mistero trinitario, che è il centro e cuore della rivelazione cristiana.
Egli ha voluto che l'anno duemila, dopo il triennio dedicato rispettivamente al Figlio Gesù, allo Spirito santo e al Padre, fosse caratterizzato dalla lode alla santa Trinità.1
Che cosa vuol dire contemplare quel mistero da cui tutto proviene e al quale tutto tende?
Come esso ci aiuta a vivere questa fine del secolo e del millennio con un po' di ottimismo e serenità?
Queste domande vanno situate per noi nel contesto del nostro mondo occidentale, caratterizzato da demotivazioni e stanchezze che emergono in particolare a livello civile nella denatalità e in ambito ecclesiale nella crisi delle vocazioni.
Che cosa ci può dare un colpo d'ala, un cambiamento di marcia, un orizzonte di gioia e di speranza?
Il tutto dovrebbe anche contribuire a far vivere le numerose iniziative promosse per il Grande Giubileo a livello mondiale, nazionale, regionale e diocesano, non come un coacervo di appuntamenti e di attività disparate, ma cogliendo l'unità di un cammino di pentimento e di conversione, percorso come un momento luminoso del grande pellegrinaggio dell'umanità verso il Padre.
Sotto lo stimolo di così tante istanze ho cercato a lungo, insieme con i diversi Consigli diocesani, una parola riassuntiva, un'icona unificante.
In questa ricerca, talora sofferta proprio per la molteplicità dei temi e la difficoltà di collegarli in maniera convincente, sempre più mi è entrata nel cuore la domanda che Dostoevskij, nel suo romanzo L'idiota, pone sulle labbra dell'ateo Ippolit al principe Myskin.
"È vero, principe, che voi diceste un giorno che il mondo lo salverà la 'bellezza'?
Signori - gridò forte a tutti - il principe afferma che il mondo sarà salvato dalla bellezza…
Quale bellezza salverà il mondo?".
Il principe non risponde alla domanda ( come un giorno il Nazareno davanti a Pilato non aveva risposto che con la Sua presenza alla domanda "Che cos'è la verità?". ( Gv 19,38 )
Sembrerebbe quasi che il silenzio di Myskin - che sta accanto con infinita compassione d'amore al giovane che sta morendo di tisi a diciotto anni - voglia dire che la bellezza che salva il mondo è l'amore che condivide il dolore.
La bellezza di cui parlo non è dunque la bellezza seducente, che allontana dalla vera meta cui tende il nostro cuore inquieto: è invece la "bellezza tanto antica e tanto nuova", che Agostino confessa come oggetto del suo amore purificato dalla conversione, la bellezza di Dio; è la bellezza che caratterizza il Pastore che ci guida con fermezza e tenerezza sulle vie di Dio, che è detto dal vangelo di Giovanni "il Pastore bello, che dà la vita per le sue pecore". ( Gv 10,11 )
È la bellezza cui fa riferimento san Francesco nelle Lodi del Dio altissimo quando invoca l'Eterno dicendo: "Tu sei bellezza!".
È la bellezza di cui recentemente ha scritto il Papa nella Lettera agli artisti affermando: "Nel rilevare che quanto aveva creato era cosa buona, Dio vide anche che era cosa bella …
La bellezza è in un certo senso l'espressione visibile del bene, come il bene è la condizione metafisica della bellezza" ( n. 3 ).
È la bellezza di fronte alla quale "l'animo avverte una certa nobile elevazione al di sopra della semplice predisposizione al piacere sensibile".2
Non si tratta quindi di una proprietà soltanto formale ed esteriore, ma di quel momento dell'essere a cui alludono termini come gloria ( la parola biblica che meglio dice la "bellezza" di Dio in quanto manifestata a noi ), splendore, fascino: è ciò che suscita attrazione gioiosa , sorpresa gradita, dedizione fervida, innamoramento, entusiasmo; è ciò che l'amore scopre nella persona amata, quella persona che si intuisce come degna del dono di sé, per la quale si è pronti a uscire da noi stessi e giocarsi con scioltezza.
Sento che ancora oggi la domanda su questa bellezza ci stimola fortemente: "Quale bellezza salverà il mondo?".
Non basta deplorare e denunciare le brutture del nostro mondo.
Non basta neppure, per la nostra epoca disincantata, parlare di giustizia, di doveri, di bene comune, di programmi pastorali, di esigenze evangeliche.
Bisogna parlarne con un cuore carico di amore compassionevole, facendo esperienza di quella carità che dona con gioia e suscita entusiasmo: bisogna irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto nella vita, perché solo questa bellezza rapisce veramente i cuori e li rivolge a Dio.
Occorre insomma far comprendere ciò che Pietro aveva capito di fronte a Gesù trasfigurato "Signore, è bello per noi restare qui!" ( Mt 17,4 ) e che Paolo, citando Isaia, ( Is 52,7 ) sentiva di fronte al compito di annunciare il vangelo "Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!". ( Rm 10,15 )
Per chi si riconosce amato da Dio e si sforza di vivere l'amore solidale e fedele nelle diverse situazioni di prova della vita e della storia, diventa allora bello vivere questa fine secolo, questo nostro tempo, che pur ci appare così pieno di cose brutte e laceranti, cercando di interpretarlo nei suoi enigmi dolorosi e conturbanti.
È bello cercare nella storia i segni dell'Amore Trinitario; è bello seguire Gesù e amare la sua Chiesa; è bello leggere il mondo e la nostra vita alla luce della croce; è bello dare la vita per i fratelli!
È bello scommettere la propria esistenza su Colui che non solo è la verità in persona, che non solo è il bene più grande, ma è anche il solo che ci rivela la bellezza divina di cui il nostro cuore ha profonda nostalgia e intenso bisogno.
Nasce di qui anche l'icona a cui fare riferimento in questa lettera pastorale.
È l'icona della Trasfigurazione, che unifica quanto ho richiamato fin qui:
- nei discepoli che salgono al monte, portando nel loro cuore tutte le inquietudini e le pesantezze che agitano la loro storia personale e collettiva, è possibile leggere le domande che sono in noi sul senso del tempo, la richiesta di significato che viene dalle angosce prodotte dalla violenza e da tutte le tragedie del nostro Novecento;
- nei discepoli che vivono sul monte l'esperienza bella della rivelazione del Padre e del Figlio amato nella nube dello Spirito si può cogliere la relazione fra tutte queste domande e il mistero trinitario, relazione capace di favorire il bisogno di sintesi del nostro cammino;
- nei discepoli che scendono dal monte, essi stessi trasfigurati nel cuore, si può leggere la necessità per tutti noi di andare e vivere la nostra vita di fede, la nostra attività pastorale e in particolare le iniziative del Giubileo con un respiro ampio e con uno slancio sincero di conversione e di rinnovamento.
La lettera sarà dunque concepita anzitutto come una rilettura dell'episodio della Trasfigurazione secondo tre momenti: la salita verso il monte, la rivelazione sul monte, la discesa dal monte.
Su tutto dominerà il tema della bellezza della rivelazione trinitaria che risalta dal racconto sinottico
( Mt 17,1-10;
Mc 9,2-8;
Lc 9,28-37 ) riportato all'inizio della lettera.
Indice |
1 | Giovanni Paolo II, Tertio Millennio Adveniente 55 |
2 | Immanuel Kant, Critica del giudizio, § 59 |