Pietà popolare e Liturgia |
« In faccia alla morte l'enigma della condizione umana diventa sommo ».348
Ma la fede in Cristo muta l'enigma in certezza di vita senza fine.
Egli infatti ha dichiarato di essere stato inviato dal Padre « perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna » ( Gv 3,16 ) ed ancora: « Questa è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno » ( Gv 6,40 ).
Perciò nel Simbolo Niceno-Costantinopolitano la Chiesa professa la sua fede nella vita eterna: « Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà ».349
Fondandosi sulla Parola di Dio, la Chiesa fermamente crede e fermamente spera che « come Cristo è veramente risorto dai morti e vive per sempre, così pure i giusti, dopo la loro morte, vivranno per sempre con Cristo risorto ».350
249. La fede nella risurrezione dei morti, elemento essenziale della rivelazione cristiana, implica una visione peculiare dell'ineluttabile e misterioso evento della morte.
La morte è il termine della tappa terrena della vita, ma « non del nostro essere »,351 essendo l'anima immortale.
« Le nostre vite sono misurate dal tempo, nel corso del quale noi cambiamo, invecchiamo e, come per tutti gli esseri viventi della terra, la morte appare come la fine normale della vita »;352 dal punto di vista della fede, la morte è anche « la fine del pellegrinaggio terreno dell'uomo, è la fine del tempo della grazia e della misericordia che Dio gli offre per realizzare la sua vita terrena secondo il disegno divino e per decidere del suo destino ultimo ».353
Se per un verso la morte corporale è naturale, per un altro essa appare come « salario del peccato » ( Rm 6,23 ).
Il Magistero della Chiesa infatti, interpretando autenticamente le affermazioni della Sacra Scrittura ( cf. Gen 2,17; Gen 3,3; Gen 3,19; Sap 1,13; Rm 5,12; Rm 6,23 ), « insegna che la morte è entrata nel mondo a causa del peccato dell'uomo ».354
Anche Gesù, Figlio di Dio, « nato da donna, nato sotto la legge » ( Gal 4,4 ), ha subito la morte, propria della condizione umana; e, malgrado la sua angoscia di fronte ad essa ( vcf. Mc 14,33-34; Eb 5,7-8 ), « egli la assunse in un atto di totale e libera sottomissione alla volontà del Padre suo.
L'obbedienza di Gesù ha trasformato la maledizione della morte in benedizione ».355
La morte è il passaggio alla pienezza della vera vita, per cui la Chiesa, sovvertendo la logica e le prospettive di questo mondo, chiama il giorno della morte del cristiano dies natalis, giorno della sua nascita al cielo, dove « non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate » ( Ap 21,4 ); è il prolungamento quindi, in modo nuovo, dell'evento vita, poiché come dice la Liturgia: « Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo ».356
Infine, la morte del cristiano è un evento di grazia, avendo in Cristo e per Cristo, un valore e un significato positivo.
Esso si fonda nell'insegnamento delle Scritture: « Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno » ( Fil 1,21 ); « Certa è questa parola: se moriamo con lui, viviamo anche con lui » ( 2 Tm 2,11 ).
250. Secondo la fede della Chiesa il "morire con Cristo" è già iniziato nel Battesimo: in esso il discepolo del Signore è già sacramentalmente "morto con Cristo", per vivere una vita nuova; e se egli muore nella grazia di Cristo, la morte fisica suggella quel "morire con Cristo" e lo porta alla sua consumazione incorporandolo pienamente per sempre a Cristo Redentore.
La Chiesa, peraltro, nella sua preghiera di suffragio per le anime dei defunti implora la vita eterna non solo per i discepoli di Cristo morti nella sua pace, ma anche per tutti i defunti, dei quali solo Dio ha conosciuto la fede.357
Nella morte il giusto incontra Dio, il quale lo chiama a sé per renderlo partecipe della vita divina.
Ma nessuno può essere accolto nell'amicizia e nell'intimità di Dio se prima non è stato da lui purificato dalle conseguenze personali di tutte le sue colpe.
« La Chiesa chiama Purgatorio questa purificazione finale degli eletti, che è tutt'altra cosa dal castigo dei dannati.
La Chiesa ha formulato la dottrina della fede relativa al Purgatorio soprattutto nei Concili di Firenze e di Trento ».358
Da qui la pia consuetudine dei suffragi per le anime del Purgatorio, che sono una pressante supplica a Dio perché abbia misericordia dei fedeli defunti, li purifichi con il fuoco della sua carità e li introduca nel suo Regno di luce e di vita.
I suffragi sono una espressione cultuale della fede nella comunione dei Santi.
Infatti « la Chiesa di quelli che sono in cammino, riconoscendo la comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, fino dai primi tempi della religione cristiana ha coltivato con grande pietà la memoria dei defunti e poiché "santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati" ( 2 Mac 12,45 ), ha offerto per loro i suoi suffragi ».359
Essi sono in primo luogo la celebrazione del sacrificio eucaristico,360 poi altre espressioni di pietà come preghiere, elemosine, opere di misericordia,361 acquisto di indulgenze in favore delle anime dei defunti.362
Nella Liturgia romana, come nelle altre liturgie latine ed orientali, sono frequenti e vari i suffragi per i defunti.
Le esequie cristiane comprendono, a seconda delle tradizioni, tre momenti, anche se spesso, per le circostanze profondamente mutate della vita nelle grandi aree urbane, essi vengono ridotti a due o a uno solo:363
la veglia di preghiera in casa del defunto, secondo le circostanze, o in altro luogo adatto, dove parenti, amici, fedeli si radunano per elevare a Dio una preghiera di suffragio, ascoltare « le parole di vita eterna » e, alla luce di esse, superare le prospettive di questo mondo e volgere le menti alle autentiche prospettive della fede nel Cristo risorto;
per recare conforto ai congiunti del defunto;
per esprimere solidarietà cristiana secondo la parola dell'Apostolo: « piangete con quelli che sono nel pianto » ( Rm 12,15 ).364
La celebrazione dell'Eucaristia, che è del tutto auspicabile quando è possibile.
In essa la comunità ecclesiale ascolta « la parola di Dio che proclama il mistero pasquale, dona la speranza di incontrarci ancora nel regno di Dio, ravviva la pietà verso i defunti ed esorta alla testimonianza di una vita veramente cristiana »,365 e colui che presiede commenta la Parola proclamata secondo le caratteristiche dell'omelia, « evitando tuttavia la forma e lo stile dell'elogio funebre ».366
Nell'Eucaristia « la Chiesa esprime la sua comunione efficace con il defunto: offrendo al Padre, nello Spirito Santo, il sacrificio della Morte e della Risurrezione di Cristo, gli chiede che il suo figlio sia purificato dai suoi peccati e dalle loro conseguenze e che sia ammesso alla pienezza pasquale della mensa del Regno ».367
Una lettura profonda della Messa esequiale consente di percepire come la Liturgia abbia fatto dell'Eucaristia, banchetto escatologico, il vero refrigerium cristiano del defunto.
Il rito del commiato, il corteo funebre e la sepoltura: il commiato è l'addio ( ad Deum ) al defunto, la "raccomandazione a Dio" da parte della Chiesa, « l'ultimo saluto rivolto dalla comunità cristiana a un suo membro prima che il corpo sia portato alla sepoltura ».368
Nel corteo funebre la madre Chiesa, che ha portato sacramentalmente nel suo seno il cristiano durante il suo pellegrinaggio terreno, accompagna il corpo del defunto al luogo del suo riposo, in attesa del giorno della risurrezione ( cf. 1 Cor 15,42-44 ).
253. Ognuno dei momenti delle esequie cristiane deve essere compiuto con grande dignità e senso religioso.
Così è necessario che:
il corpo del defunto, che è stato tempio dello Spirito Santo, sia trattato con grande rispetto;
l'arredamento funebre sia decoroso, alieno dall'ostentazione e dallo sfarzo;
i segni liturgici, quali la croce, il cero pasquale, l'acqua benedetta e l'incenso, siano usati con grande proprietà.
254. Distaccandosi dal senso della mummificazione, dell'imbalsamazione oppure della cremazione, nelle quali si cela talora la concezione che la morte segni la distruzione totale dell'uomo, la pietà cristiana ha assunto, come modello di sepoltura per il fedele, l'inumazione.
Essa da una parte ricorda la terra dalla quale egli è stato tratto ( cf. Gen 2,6 ) e alla quale ora ritorna ( cf. Gen 3,19; Sir 17,1 ); dall'altra evoca la sepoltura di Gesù, chicco di grano che, caduto in terra, ha prodotto molto frutto ( cf. Gv 12,24 ).
Nel nostro tempo, tuttavia, anche per le mutate condizioni di ambiente e di vita, vige pure la prassi della cremazione del corpo del defunto.
A questo riguardo la legislazione ecclesiastica dispone: « A coloro che avessero scelto la cremazione del loro cadavere si può concedere il rito delle esequie cristiane, a meno che la loro scelta non risulti dettata da motivazioni contrarie alla dottrina cristiana ».369
In relazione a tale scelta, si esortino i fedeli a non conservare in casa le ceneri di familiari, ma a dare ad esse consueta sepoltura, fino a che Dio farà risorgere dalla terra quelli che vi riposano e il mare restituisca i suoi morti ( cf . Ap 20,13 ).
La Chiesa offre il sacrificio eucaristico per i defunti in occasione non solo della celebrazione dei funerali, ma anche nei giorni terzo, settimo e trigesimo, nonché nell'anniversario della morte; la celebrazione della Messa in suffragio delle anime dei propri defunti è il modo cristiano di ricordare e prolungare, nel Signore, la comunione con quanti hanno varcato la soglia della morte.
Il 2 novembre, poi, la Chiesa offre ripetutamente il santo sacrificio per tutti i fedeli defunti, per i quali celebra pure la Liturgia delle Ore.
Ogni giorno, nella celebrazione sia dell'Eucaristia sia dei Vespri, la Chiesa non manca mai di elevare la sua supplice implorazione perché il Signore doni ai « fedeli che ci hanno preceduto con il segno della fede e [ … ] a tutti quelli che riposano in Cristo, la beatitudine, la luce e la pace ».370
È importante dunque educare il sentire dei fedeli alla luce della celebrazione eucaristica, in cui la Chiesa prega affinché siano associati alla gloria del Signore risorto tutti i fedeli defunti, di qualunque tempo e spazio, evitando il pericolo di una visione possessiva o particolaristica della Messa per il "proprio" defunto.371
La celebrazione della Messa in suffragio dei defunti è inoltre occasione per una catechesi sui novissimi.
Come la Liturgia, anche la pietà popolare è molto attenta alla memoria dei defunti e sollecita ad innalzare per essi preghiere di suffragio.
Nella "memoria dei defunti", la questione del rapporto tra Liturgia e pietà popolare deve essere affrontata con molta prudenza e tatto pastorale, per quanto attiene sia agli aspetti dottrinali sia all'armonizzazione tra azioni liturgiche e pii esercizi.
257. È necessario anzitutto che la pietà popolare venga illuminata dai principi della fede cristiana, quali
il senso pasquale della morte di coloro che, mediante il Battesimo, sono stati incorporati al mistero della morte e risurrezione di Cristo ( cf. Rm 6,3-10 );
l'immortalità dell'anima ( cf. Lc 23,43 );
la comunione dei Santi, per cui « l'unione [ … ] di coloro che sono in cammino coi fratelli morti nella pace di Cristo non è minimamente spezzata, anzi, secondo la perenne fede della Chiesa, è consolidata dalla comunione dei beni spirituali »:372
« la nostra preghiera per loro può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore »;373
la risurrezione della carne;
la manifestazione gloriosa di Cristo, « che verrà a giudicare i vivi e i morti »;374
la retribuzione secondo le opere di ciascuno;
la vita eterna.
Nelle usanze e nelle tradizioni di alcuni popoli relative al "culto dei morti" si rilevano elementi radicati profondamente nella cultura e in particolari concezioni antropologiche, spesso improntate al desiderio di prolungare i vincoli familiari e, per così dire, sociali con i trapassati.
Nell'esame e nella valutazione di tali usanze si dovrà procedere con cautela evitando, qualora non siano manifestamente in contrasto con il Vangelo, di interpretarle sbrigativamente come residui del paganesimo.
258. Per quanto concerne gli aspetti dottrinali, sono da evitare:
il pericolo della sopravvivenza nella pietà popolare verso i defunti di elementi o aspetti inaccettabili del culto pagano degli antenati;
l'invocazione dei morti per pratiche divinatorie;
l'attribuzione ai sogni, che vertono su persone defunte, di significati e di effetti immaginari, il cui timore condiziona spesso l'agire dei fedeli;
il rischio che si insinuino forme di credenza nella reincarnazione;
il pericolo di negare l'immortalità dell'anima e di disgiungere l'evento morte dalla prospettiva della risurrezione, sì che la religione cristiana appaia, per così dire, una religione dei morti;
l'applicazione delle categorie spazio-temporali alla condizione dei defunti.
259. Molto diffuso nella società moderna e spesso causa di dannose conseguenze è l'errore dottrinale e pastorale dell'"occultamento della morte e dei suoi segni".
Medici, infermieri, parenti ritengono spesso un dovere nascondere all'ammalato, che per lo sviluppo della ospedalizzazione muore quasi sempre fuori casa, l'imminenza della morte.
È stato più volte rilevato che nelle grandi città dei vivi non c'è spazio per i morti:
nelle piccole abitazioni dei palazzi urbani non è possibile disporre di una "stanza per una veglia funebre";
nelle strade, per il congestionato traffico, non vengono consentiti i lenti cortei funebri che creano un intralcio alla circolazione;
nell'area urbana, il cimitero che un tempo, almeno nei villaggi, era spesso attorno o nei pressi della chiesa – quindi vero camposanto e segno della comunione in Cristo tra vivi e defunti – sorge in periferia, sempre più lontano dalla città, perché con lo sviluppo urbano non venga nuovamente conglobato in essa.
La civiltà moderna rifiuta la "visibilità della morte", per cui si sforza di eliminarne i segni.
Da qui deriva il ricorso, diffuso in un certo numero di paesi, alla tanatoprassi, che mediante un processo chimico conserva al defunto il suo incarnato naturale: il morto non deve apparire morto, ma conservare le apparenze della vita.
Il cristiano, per il quale deve essere familiare e sereno il pensiero della morte, non deve aderire interiormente al fenomeno dell'"intolleranza verso i morti", che priva i defunti di ogni spazio nella vita della città, né al rifiuto della "visibilità della morte", quando intolleranza e rifiuto siano dettati da una irresponsabile fuga dalla realtà o da una visione materialista, priva di speranza, estranea alla fede nel Cristo morto e risorto.
Così pure il cristiano deve opporsi fermamente alle numerose forme di "commercio sulla morte", che sfruttando i sentimenti dei fedeli, va solo in cerca di smisurati e vergognosi guadagni.
260. La pietà popolare verso i defunti si esprime in molteplici forme, a seconda dei luoghi e delle tradizioni:
la novena dei defunti come preparazione e l'ottavario come prolungamento della Commemorazione del 2 novembre; entrambi devono essere celebrati nel rispetto dell'ordinamento liturgico;
la visita al cimitero; essa, in alcune circostanze, è compiuta comunitariamente, come nella Commemorazione di tutti i fedeli defunti, al termine delle missioni popolari, in occasione della presa di possesso della parrocchia da parte di un nuovo parroco;
in altre in forma privata, quando i fedeli si recano alla tomba dei propri cari, per tenerla in ordine, ornata di fiori e di luce;
tale visita deve essere manifestazione dei legami esistenti tra il defunto e i suoi congiunti, non espressione di un obbligo, cui si ha il timore quasi superstizioso di venir meno;
l'adesione a confraternite e altre pie associazioni che hanno lo scopo di "seppellire i morti" secondo una visione cristiana dell'evento morte, offrire suffragi per i defunti, essere fattivamente solidali con i parenti dell'estinto;
i suffragi frequenti, di cui già è stato detto, attraverso elemosine e altre opere di misericordia, digiuni, applicazione di indulgenze e soprattutto preghiere, quali la recita del salmo De profundis, della breve formula Requiem aeternam, che spesso accompagna la recitazione dell'Angelus, della corona del santo Rosario, la benedizione della mensa familiare.
Indice |
348 | Concilio Vat. II, Costituzione Gaudium et spes, 18 |
349 | DS 150; Missale Romanum, Ordo Missae, Symbolum Nicaeno-Constantinopolitanum |
350 | CCC 989 |
351 | S. Ambrogio, De excessu fratris I, 70: CSEL 73, Vindobonae 1955, p. 245 |
352 | CCC 1007 |
353 | Ibid., 1013 |
354 | Ibid., 1008; cf. Concilio di Trento, Decretum de peccato originali ( 17 iunii 1546 ) |
355 | CCC 1009 |
356 | Missale Romanum, Praefatio defunctorum, I |
357 | Cf. Ibid., Prex eucharistica IV, Commemoratio pro defunctis |
358 | CCC 1031; cf. DS 1304; 1820; 1580 |
359 | LG 50 |
360 | Cf. Concilio di Lione II,
Professio fidei Michaelis Paleologi ( 6 iulii 1274 ); S. Cipriano, Epistula I, 2: CSEL 3/2, Vindobonae 1871, pp. 466-467; S. Agostino, Confessiones, IX, 12, 32 |
361 | Cf. S. Agostino,
De cura pro mortuis gerenda, 6; S. Giovanni Crisostomo, Homiliae in primam ad Corinthios, 41, 5: PG 61, 494-495; CCC 1032 |
362 | Cf. EI, Normae de Indulgentiis, 3, p. 21; Aliae concessiones, 29, pp. 74-75 |
363 | Cf. Rituale Romanum, Ordo exsequiarum, cit., Praenotanda, 4 |
364 | Questa veglia, chiamata ancora "wake" nei paesi anglofoni anche se ogni comprensione del suo significato storico-teologico è andata persa, è un atto di fede nella risurrezione dei morti, a imitazione della veglia delle donne "mirofore" del Vangelo, che portarono gli unguenti aromatici per ungere il corpo del Signore, divenendo così le prime testimoni della risurrezione |
365 | Rituale Romanum, Ordo exsequiarum, cit., Praenotanda, 11 |
366 | Ibid., 41 |
367 | CCC 1689 |
368 | Rituale Romanum, Ordo exsequiarum, cit., Praenotanda, 10 |
369 | Ibid., 15; Suprema Sacra Congr. S. Uffizio, Istruzione De cadaverum crematione, 23, in AAS 56 (1964) 822-823; CIC, can . 1184, § 1, 2° |
370 | Missale Romanum, Prex eucharistica I, Commemoratio pro defunctis |
371 | Circa le messe dei defunti cf. Institutio generalis Missalis Romani, 355 |
372 | LG 49 |
373 | CCC 958 |
374 | DS 150; Missale Romanum, Ordo Missae, Symbolum Nicaeno-Constantinopolitanum |