Il Popolo Ebraico e le sue Sacre Scritture  

IV. Conclusioni

A. Conclusione generale

84. La prima conclusione che si impone al termine di questa esposizione, necessariamente sommaria, è che il popolo ebraico e le sue sacre Scritture occupano nella Bibbia cristiana un posto di estrema importanza.

Infatti, le sacre Scritture del popolo ebraico costituiscono una parte essenziale della Bibbia cristiana e sono presenti, in molti modi, nell'altra parte.

Senza l'Antico Testamento, il Nuovo Testamento sarebbe un libro indecifrabile, una pianta privata delle sue radici e destinata a seccarsi.

Il Nuovo Testamento riconosce l'autorità divina delle sacre Scritture del popolo ebraico e si appoggia su questa autorità.

Quando parla delle « Scritture » e fa riferimento a « quanto sta scritto », esso rimanda alle sacre Scritture del popolo ebraico.

Afferma che queste Scritture dovevano necessariamente compiersi, poiché definiscono il disegno di Dio, che non può non realizzarsi, quali che siano gli ostacoli che incontra e le resistenze umane che vi si oppongono.

Il Nuovo Testamento aggiunge che queste Scritture si sono effettivamente compiute nella vita di Gesù, nella sua passione e nella sua risurrezione, così come nella fondazione della Chiesa aperta a tutte le nazioni.

Tutto questo lega strettamente i cristiani al popolo ebraico, perché il primo aspetto del compimento delle Scritture è quello della conformità e della continuità.

Questo aspetto è fondamentale.

Il compimento comporta anche, inevitabilmente, un aspetto di discontinuità su alcuni punti, perché, senza di questo, non ci sarebbe progresso.

Questa discontinuità è fonte di disaccordi tra cristiani ed ebrei ed è inutile nasconderselo.

Ma si è sbagliato, nel passato, a insistere unilateralmente su di essa, al punto da non tenere più conto della fondamentale continuità.

Questa continuità ha radici profonde e si manifesta a più livelli.

Un rapporto simile lega Scrittura e Tradizione nel cristianesimo come nel giudaismo.

Metodi esegetici giudaici sono utilizzati spesso nel Nuovo Testamento.

Il canone cristiano dell'Antico Testamento deve la sua formazione alla situazione nelle Scritture del popolo ebraico nel I secolo.

Per interpretare con precisione i testi del Nuovo Testamento, è spesso necessaria la conoscenza del giudaismo di quest'epoca.

85. Ma è soprattutto studiando i grandi temi dell'Antico Testamento e la loro continuità nel Nuovo che ci si rende conto dell'impressionante simbiosi che unisce le due parti della Bibbia cristiana e, al tempo stesso, della forza sorprendente dei legami spirituali che uniscono la Chiesa di Cristo al popolo ebraico.

Nell'uno e nell'altro Testamento è lo stesso Dio che entra in relazione con gli uomini e li invita a vivere in comunione con lui; Dio unico e fonte di unità;

Dio creatore, che continua a provvedere ai bisogni delle sue creature, soprattutto di quelle che sono intelligenti e libere, chiamate a riconoscere la verità e ad amare;

Dio liberatore e soprattutto salvatore, perché gli essere umani, creati a sua immagine, sono caduti a causa delle loro colpe in una miserabile schiavitù.

Il disegno di Dio, essendo un progetto di relazioni interpersonali, si realizza nella storia.

Non è possibile scoprirlo ricorrendo a deduzioni filosofiche sull'essere umano in generale.

Esso si rivela attraverso iniziative divine imprevedibili e, in particolare, con una chiamata rivolta a una persona scelta tra tutte nella moltitudine umana, Abramo ( Gen 12,1-3 ), e prendendo in mano la sorte di questa persona e della sua posterità, che diventa un popolo, il popolo d'Israele ( Es 3,10 ).

L'elezione d'Israele, tema centrale nell'Antico Testamento ( Dt 7,6-8 ), resta fondamentale nel Nuovo Testamento.

Ben lungi dal rimetterla in questione, la nascita di Gesù dà ad essa la più eclatante conferma.

Gesù è « figlio di Davide, figlio di Abramo » ( Mt 1,1 ).

Viene a « salvare il suo popolo dai suoi peccati » ( Mt 1,21 ).

È il Messia promesso a Israele ( Gv 1,41.45 ); è « la Parola » ( Logos ) venuta « tra i suoi » ( Gv 1,11-14 ).

La salvezza da lui apportata col suo mistero pasquale viene offerta in primo luogo agli Israeliti.345

Come previsto dall'Antico Testamento, questa salvezza ha, d'altra parte, ripercussioni universali.346

È offerta anche ai Gentili.

Effettivamente essa è accolta da molti di loro, tanto che sono diventati la grande maggioranza dei discepoli di Cristo.

Ma i cristiani provenienti dalle nazioni beneficiano della salvezza solo in quanto introdotti, con la loro fede nel Messia d'Israele, nella posterità di Abramo ( Gal 3,7.29 ).

Molti dei cristiani provenienti dalle « nazioni » non hanno abbastanza consapevolezza che erano, per natura, degli « olivastri » e che la loro fede in Cristo li ha innestati sull'olivo scelto da Dio ( Rm 11,17-18 ).

L'elezione d'Israele si è concretizzata nell'alleanza del Sinai e le istituzioni ad essa collegate, soprattutto la Legge e il santuario.

Il Nuovo Testamento si situa in un rapporto di continuità con questa alleanza e queste istituzioni.

La nuova alleanza annunciata da Geremia e fondata nel sangue di Gesù ha portato a compimento il progetto di alleanza tra Dio e Israele, superando l'alleanza del Sinai con un nuovo dono del Signore che integra e amplifica il suo primo dono.

Similmente, « la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù » ( Rm 8,2 ), che è un dinamismo interiore, rimedia alla debolezza ( Rm 8,3 ) della Legge del Sinai e rende i credenti capaci di vivere nell'amore generoso, che è « pienezza della Legge » ( Rm 13,10 ).

Quanto al santuario terreno, il Nuovo Testamento si esprime in termini preparati dall'Antico Testamento, relativizzando il valore di un edificio materiale come abitazione di Dio ( At 7,48 ) e appellandosi a una concezione del rapporto con Dio in cui l'accento si sposta verso l'interiorità.

Su questo punto, come su molti altri, si vede quindi che la continuità si basa sull'impulso profetico dell'Antico Testamento.

Nel passato, tra il popolo ebraico e la Chiesa di Cristo Gesù, la rottura è potuta sembrare talvolta completa, in certe epoche e in certi luoghi.

Alla luce delle Scritture questo non sarebbe mai dovuto accadere, perché una rottura completa tra la Chiesa e la Sinagoga è in contraddizione con la sacra Scrittura.

B. Orientamenti pastorali

86. Il Concilio Vaticano II, raccomandando tra ebrei e cristiani, « la mutua conoscenza e stima », ha dichiarato che questa conoscenza e questa stima « si ottengono soprattutto dagli studi biblici e teologici e da un fraterno dialogo ».347

È questo lo spirito che ha animato la redazione del presente documento, che spera di apportare un contributo positivo in questo senso e favorire anche nella Chiesa di Cristo l'amore verso gli ebrei, come auspicava il papa Paolo VI nel giorno della promulgazione del documento conciliare Nostra Aetate.348

Con questo testo il Vaticano II ha gettato le fondamenta di una nuova comprensione delle nostre relazioni con gli ebrei dicendo che « secondo l'Apostolo ( Paolo ), gli ebrei, in grazia dei Padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui chiamata sono senza pentimento ( Rm 11,29 ) ».349

Giovanni Paolo II più volte ha preso l'iniziativa di sviluppare questa dichiarazione nel suo magistero.

Nel corso della sua visita alla sinagoga di Magonza ( 1980 ), diceva: « L'incontro tra il popolo di Dio dell'Antica Alleanza, che non è stata mai abrogata da Dio ( cf Rm 11,29 ), e quello della Nuova Alleanza, è al tempo stesso un dialogo interno alla nostra Chiesa, in qualche modo tra la prima e la seconda parte della sua Bibbia ».350

Più tardi, rivolgendosi alle comunità ebraiche d'Italia durante la sua visita alla sinagoga di Roma ( 1986 ), dichiarava: « La Chiesa di Cristo scopre il suo "legame" con l'ebraismo "scrutando il suo proprio mistero" ( cf Nostra Aetate, 4 ).

La religione ebraica non ci è "estrinseca", ma, in un certo qual modo, è "intrinseca" alla nostra religione.

Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun'altra religione.

Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori ».351

Infine, durante un colloquio sulle radici dell'antigiudaismo in ambiente cristiano ( 1997 ), ha dichiarato: « Questo popolo è radunato e condotto da Dio, Creatore del cielo e della terra.

La sua esistenza non è quindi un puro fatto di natura né di cultura …

È un fatto soprannaturale.

Questo popolo persevera verso e contro tutto perché è il popolo dell'Alleanza e perché, nonostante le infedeltà degli uomini, il Signore è fedele alla sua Alleanza ».352

Questo magistero è stato come suggellato dalla visita di Giovanni Paolo II in Israele, nel corso della quale egli si è rivolto ai Rabbini Capi d'Israele in questi termini: « Noi ( ebrei e cristiani ) dobbiamo cooperare per edificare un futuro nel quale non vi sia più antigiudaismo fra i cristiani e anticristianesimo fra gli ebrei.

Abbiamo molto in comune.

Insieme possiamo fare molto per la pace, per la giustizia e per un mondo più fraterno e umano ».353

Da parte dei cristiani, la condizione principale di un progresso in questo senso è di evitare qualsiasi lettura unilaterale dei testi biblici, sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, e di sforzarsi, al contrario, di ben corrispondere al dinamismo d'insieme che li anima e che è precisamente un dinamismo di amore.

Nell'Antico Testamento il progetto di Dio è un progetto di unione d'amore col suo popolo, amore paterno, amore coniugale, e, nonostante le infedeltà d'Israele, Dio non vi rinuncia mai, ma ne afferma la perpetuità ( Is 54,8; Ger 31,3 ).

Nel Nuovo Testamento l'amore di Dio supera i peggiori ostacoli; gli Israeliti, anche se non credono nel suo Figlio, inviato per essere il loro Messia salvatore, restano « amati » ( Rm 11,29 ).

Chi vuole essere unito a Dio è tenuto quindi ugualmente ad amarli.

87. La lettura parziale dei testi suscita spesso difficoltà per i rapporti con gli ebrei.

L'Antico Testamento, l'abbiamo visto, non risparmia rimproveri agli Israeliti, e nemmeno condanne, mostrandosi molto esigente con loro.

Invece di scagliare accuse, è più opportuno pensare che questi testi illustrano la parola del Signore Gesù: « A chi fu dato molto, molto sarà richiesto » ( Lc 12,48 ) e che questa affermazione vale anche per noi cristiani.

Alcuni racconti biblici presentano aspetti di slealtà o di crudeltà che sembrano ora moralmente inaccettabili, ma che è necessario comprendere nel loro contesto storico e letterario.

È opportuno riconoscere l'aspetto di lento progresso storico della rivelazione: la pedagogia divina ha preso un gruppo umano là dove si trovava e l'ha condotto pazientemente verso un ideale di unione con Dio e di integrità morale, che la nostra società moderna è del resto ben lontana dall'aver raggiunto.

Questa constatazione farà evitare due pericoli opposti: da una parte quello di attribuire una validità ancora attuale, per i cristiani, a prescrizioni antiche ( ad es. rifiutando, per la preoccupazione di fedeltà alla Bibbia, ogni trasfusione di sangue ), e, dall'altra, quello di rifiutare tutta la Bibbia col pretesto delle sue crudeltà.

Quanto ai precetti rituali, come le norme sul puro e l'impuro, bisogna prendere coscienza della loro portata simbolica e antropologica e discernere la loro funzione al tempo stesso sociologica e religiosa.

Nel Nuovo Testamento i rimproveri rivolti agli ebrei non sono più frequenti né più virulenti delle accuse espresse contro di essi nella Legge e nei Profeti.

Non devono quindi servire da base all'antigiudaismo.

Un utilizzo a questo scopo è contrario all'orientamento d'insieme del Nuovo Testamento.

Un vero antigiudaismo, cioè un atteggiamento di disprezzo, di ostilità e di persecuzione contro gli ebrei in quanto ebrei, non esiste in alcun testo del Nuovo Testamento ed è incompatibile con l'insegnamento che questo contiene.

Ciò che esiste, sono dei rimproveri rivolti a certe categorie di ebrei per motivi religiosi e, d'altra parte, dei testi polemici miranti a difendere l'apostolato cristiano contro quegli ebrei che vi si opponevano.

Ma bisogna riconoscere che molti di questi passi si prestano a servire da pretesto all'antigiudaismo e che sono stati effettivamente utilizzati in questo senso.

Per evitare deviazioni di questo tipo, bisogna osservare che i testi polemici del Nuovo Testamento, anche quelli che si esprimono in termini generalizzanti, restano sempre legati a un contesto storico concreto e non vogliono mai avere di mira gli ebrei di ogni tempo e di ogni luogo per il solo fatto che sono ebrei.

La tendenza a parlare in termini generalizzanti, ad accentuare i lati negativi degli avversari, a passare sotto silenzio i loro lati positivi e a non prendere in considerazione le loro motivazioni e la loro eventuale buona fede, è una caratteristica del linguaggio polemico in tutta l'antichità, rilevabile anche all'interno del giudaismo e del cristianesimo primitivo nei riguardi dei dissidenti di ogni genere.

Essendo il Nuovo Testamento essenzialmente una proclamazione del compimento del disegno di Dio in Gesù Cristo, esso si trova in forte disaccordo con la grande maggioranza del popolo ebraico, che non crede a questo compimento.

Il Nuovo Testamento esprime quindi al tempo stesso il suo legame con la rivelazione dell'Antico Testamento e il suo disaccordo con la Sinagoga.

Questo disaccordo non può essere qualificato come « antigiudaismo », perché si tratta di un disaccordo al livello di credenza, fonte di controversie religiose tra due gruppi umani che, condividendo la stessa base di fede nell'Antico Testamento, si dividono poi sul modo di concepire lo sviluppo ulteriore di questa fede.

Per quanto profondo possa essere, un tale dissenso non implica affatto ostilità reciproca.

L'esempio di Paolo in Rm 9–11 dimostra che, al contrario, un atteggiamento di rispetto, di stima e di amore per il popolo ebraico è il solo atteggiamento veramente cristiano in questa situazione che fa misteriosamente parte del disegno, totalmente positivo, di Dio.

Il dialogo resta possibile, poiché ebrei e cristiani posseggono un ricco patrimonio comune che li unisce, ed è fortemente auspicabile, per eliminare progressivamente, da una parte e dall'altra, pregiudizi e incomprensioni, per favorire una migliore conoscenza del patrimonio comune e per rafforzare i reciproci legami.

Indice  

345 At 3,26; Rm 1,16
346 Sal 98,2-4; Is 49,6
347 Dichiarazione Nostra Aetate n. 4
348 Paolo VI, omelia del 28 ottobre 1965: « ut erga eos reverentia e amor adhibeatur spesque in iis collocetur » ( « che si abbia verso di loro rispetto e amore e si ponga speranza in loro » )
349 AAS 58 (1966) 740
350 Insegnamenti di Giovanni Paolo II
351 Insegnamenti di Giovanni Paolo II, IX, 1 (1986) 1027
352 Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XX, 2 (1997) 725
353 L'Osservatore Romano, 24 marzo 2000