Del gran mezzo della preghiera |
Qui cade poi il dubbio, se sia necessario il ricorrere ancora all’intercessione dei Santi, per ottenere le divine grazie.
In quanto al dire che sia cosa lecita ed utile l’invocare i Santi, come intercessori ad impetrarci per i meriti di Gesù Cristo, quel che noi per nostri demeriti non siamo degni di ottenere; questa è dottrina già della Chiesa, come ha dichiarato il Concilio di Trento ( In Decr. de invoc. Ss. ).
Tale invocazione era condannata dall’empio Calvino, ma troppo ingiustamente.
Se è lecito e profittevole l’invocare in nostro soccorso i santi viventi, e pregarli che ci assistano con le loro azioni, come faceva il profeta Baruch che diceva: E per noi pure pregate il Dio nostro … ( Bar 1,13 ).
E S. Paolo: ‘"Fratelli, pregate per noi" ( 1 Ts 5,25 ).
E Dio medesimo volle, che gli amici di Giobbe si raccomandassero alle di lui orazioni, acciocché per i meriti di Giobbe egli li favorisse: Andate a trovare Giobbe mio servo … e Giobbe mio servo farà orazioni per voi, e in grazia di lui non sarà imputata in voi la vostra stoltezza ( Gb 42,8 ).
Se è lecito dunque raccomandarsi ai vivi, perché non ha da esser lecito l’invocare i Santi, che in cielo più da vicino godono Dio?
Ciò non è derogare all’onore che a Dio si deve, ma duplicarlo, com’è l’onorare il re non solo nella sua persona, ma ancora nei suoi servi.
Che perciò dice S. Tommaso, essere bene che si ricorra a molti Santi, perché con le orazioni di molti alle volte si ottiene ciò che non si consegue per l’orazione di un solo.
Che se poi dicesse taluno: ma che serve ricorrere ai Santi affinché preghino per noi, quando essi già pregano per tutti coloro che ne sono degni?
Risponde lo stesso santo Dottore, che alcuno non sarebbe già degno che i Santi preghino per lui, ma ne è appunto fatto degno, perché ricorre con devozione al Santo medesimo ( In 4 Sent. d. 45, q. 3 a. S. ).
Si controverte poi, se giovi il raccomandarsi alle anime del Purgatorio.
Alcuni dicono che le anime purganti non possono pregare per noi, indotti dell’autorità di S. Tommaso, il quale dice che quelle anime stando a purgarsi tra le pene, sono a noi inferiori, e perciò, non sono in stato di pregare, ma bensì che si preghi per esse ( 2, 2.ae, q. 83, a. 2 ).
Ma molti altri Dottori, come il Bellarmino, Silvio, il Cardinale Gotti ecc., molto probabilmente l’affermano, dovendosi piamente credere, che Dio manifesta loro le nostre orazioni, affinché quelle sante anime preghino per noi, e così tra noi e loro si conservi questo bel commercio di carità, cioè che noi preghiamo per esse, ed esse per noi.
Né osta, come dicono Silvio e Gotti, quel che ha detto l’Angelico, di non essere le anime purganti in stato di pregare: perché altro è il non essere in stato di pregare, altro il non poter pregare.
É vero, che quelle anime sante non sono in stato di pregare, perché, come dice S. Tommaso, stando a patire sono inferiori a noi, e più presto bisognose delle nostre orazioni; nulladimeno in tale stato ben possono pregare, perché sono anime amiche di Dio.
Se mai un padre ama teneramente un figlio, ma lo tiene carcerato, affine di punirlo di qualche difetto commesso, il figlio allora non è in stato di pregare per sé, ma perché egli non può pregare per gli altri?
E non sperare di ottenere ciò che chiede, sapendo l’affetto che gli porta il padre?
Così essendo le anime del Purgatorio molto amate da Dio, e confermate in grazia, non v’è impedimento che possa loro vietare di pregarlo per noi.
La Chiesa per altro non suole invocarle, ed implorare la loro intercessione, perché ordinariamente esse non conoscono le nostre orazioni.
Ma piamente si crede, come si è detto, che il Signore faccia loro note le nostre preghiere, ed allora esse che sono piene di carità, non lasciano certamente di pregare per noi.
Santa Caterina di Bologna, quando desiderava qualche grazia, ricorreva alle anime del Purgatorio, e ben presto si vedeva esaudita.
Anzi attestava, che molte grazie che non aveva ottenute per intercessione dei Santi, le aveva poi conseguite per mezzo delle anime del Purgatorio.
Ma qui mi si permetta di fare una digressione a beneficio di quelle sante anime!
Se vogliamo noi il soccorso delle loro orazioni, è bene che ancora noi attendiamo a soccorrerle con le nostre orazioni ed opere.
Dissi, è bene, ma anche deve dirsi essere questo uno dei doveri cristiani, poiché richiede la carità, che noi sovveniamo il prossimo quando il prossimo sta in necessità del nostro aiuto, e noi possiamo aiutarlo senza grave incomodo.
Or è certo che i nostri prossimi sono ancora le anime del Purgatorio, le quali benché non siano più in questa vita, nulladimeno non lasciano d’essere nella comunione dei Santi, dice S. Agostino.
E più distintamente lo dichiara S. Tommaso a nostro proposito, dicendo che la carità dovuta verso i defunti, i quali sono passati all’altra vita in grazia, è un’estensione di quella stessa carità, che dobbiamo verso i nostri prossimi viventi ( In Ps. 37 ).
Ond’è che noi dobbiamo soccorrere secondo possiamo quelle sante anime come nostri prossimi.
Ed essendo le loro necessità maggiori di quelle degli altri prossimi, maggiore ancora per questo riguardo par che sia il nostro dovere di sovvenirle.
Ora in quali necessità si ritrovano quelle sante prigioniere?
É certo, che le loro pene sono immense.
Il fuoco che le cruccia, dice S. Agostino, è più tormentoso di qualunque pena, che possa affliggere l’uomo in questa vita ( In 4 Sent. d. 45, q. 2, s. 2 ).
E lo stesso stima S. Tommaso, aggiungendo essere quello il medesimo fuoco dell’inferno.
E ciò è in quanto alla pena del senso, ma assai più grande è poi la pena del danno, cioè la privazione di Dio, che affligge quelle sue sante spose; mentre quelle anime, non solo dal naturale, ma anche dal soprannaturale amore, di cui ardono verso Dio, sono tirate con tal impeto ad unirsi col loro Bene, che vedendosi poi impedite dalle loro colpe, provano una pena sì acerba che se esse fossero capaci di morte, morirebbero in ogni momento.
Sicché, secondo dice il Crisostomo, questa pena della privazione di Dio tormenta immensamente più che la pena del senso.
Ond’è che quelle sante spose vorrebbero patire tutte le altre pene, anziché esser private d’un sol momento di quella sospirata unione con Dio.
Dice pertanto il maestro Angelico, che la pena del Purgatorio eccede ogni dolore che può patirsi in questa vita.
E riferisce Dionisio Cartusiano, che un certo defunto, poi risorto per intercessione di S. Girolamo, disse a S. Cirillo Gerosolimitano, che tutti i tormenti di questa terra sono sollievi e delizie a rispetto della minor pena, che v’è nel Purgatorio.
E soggiunse, che se un uomo avesse provato quelle pene, vorrebbe più presto soffrire tutti i dolori di questa vita che hanno patito gli uomini fino al giorno del giudizio, che patire per un giorno solo la minor pena del Purgatorio.
Onde scrisse il nominato S. Cirillo, che quelle pene, in quanto all’asprezza, sono le stesse che quelle dell’Inferno; in questo solo differiscono, che non sono eterne.
Le pene dunque di quelle anime sono troppo grandi; dall’altra parte non possono aiutarsi da sé; esse, secondo quel che dice Giobbe, sono in catena ed annodate dai lacci di povertà ( Gb 36,8 ).
Sono già destinate al regno quelle sante regine, ma sono trattenute sin tanto che non giunge il termine della loro purga; sicché non possono aiutarsi ( almeno a sufficienza, se vogliamo credere a quei Dottori, i quali vogliono che quelle anime ben possano anche con le loro orazioni impetrare qualche sollievo ) per sciogliersi da quelle catene, finché non soddisfano interamente la divina giustizia.
Così appunto disse dal Purgatorio un monaco Cistercense al sacrestano del suo monastero: Aiutatemi, vi prego, con le vostre orazioni, perché io da per me niente posso ottenere.
E ciò è secondo quel che dice S. Bonaventura, cioè che quelle anime sono sì povere, che non hanno come soddisfare.
All’incontro essendo certo, anzi di fede, che noi possiamo coi nostri suffragi, e principalmente con le orazioni approvate od anche praticate dalla Chiesa, sollevare quelle sante anime; io non so come possa essere scusato da colpa, chi trascura di porgere loro qualche aiuto, almeno con le sue orazioni.
Ci muova almeno a soccorrerle, se non ci muove il dovere, il gusto che si dà a Gesù Cristo, in vedere che noi ci applichiamo a sprigionare quelle sue dilette spose, acciocché le abbia seco in Paradiso.
Ci muova almeno finalmente l’acquisto dei gran meriti che possiamo fare, con usare questo grande atto di carità verso di quelle sante anime, le quali all’incontro sono gratissime, e ben conoscono il gran beneficio che noi loro facciamo, sollevandole da quelle pene, e ottenendo con le nostre orazioni l’anticipo della loro entrata alla gloria; onde non lasceranno, allorché elle saranno ivi giunte, di pregare per noi.
E se il Signore promette la sua misericordia a chi usa misericordia al suo prossimo: beati i misericordiosi, perché questi troveranno misericordia ( Mt 5,7 ), con molta ragione può sperare la sua salute chi attende a sovvenire quelle sante anime così afflitte, e così care a Dio.
Gionata, dopo aver procurata la salute degli Ebrei con la vittoria che ottenne dei nemici, fu condannato a morte da Saul suo padre per essersi cibato del miele, contro l’ordine da lui dato.
Ma il popolo si presentò al re, e disse: E dovrà adunque morire Gionata, il quale ha salvato Israele ( 1 Re 14,45 ).
Or così appunto dobbiamo sperare che se mai alcuno di noi ottiene con le sue orazioni, che un’anima esca dal Purgatorio e vada in Paradiso, quell’anima dirà a Dio: Signore, non permettere che si perda colui che mi ha liberato dalle pene.
E se Saul concesse la vita a Gionata per le suppliche del popolo, non negherà Iddio la salute eterna a quel fedele per le preghiere di un’anima che gli è sposa.
Inoltre, dice S. Agostino, che coloro che in questa vita avranno più soccorso quelle sante anime, nell’altra, stando nel Purgatorio, farà Dio che siano più soccorsi degli altri.
Si avverta che il più gran suffragio per le anime purganti è il sentir la Messa per esse, ed in quella raccomandarle a Dio per i meriti della Passione di Gesù Cristo, dicendo così: Eterno Padre, io vi offro questo sacrificio del Corpo e Sangue di Gesù Cristo, con tutti i dolori ch’egli patì nella sua vita e morte; e per i meriti della sua Passione vi raccomando le anime del Purgatorio e specialmente … ecc.
Ed è atto di molta carità raccomandare nello stesso tempo anche le anime di tutti gli agonizzanti.
Quanto si è detto delle anime purganti circa il punto, se esse possono o no pregare per noi, e se pertanto a noi giovi o no il raccomandarci alle loro orazioni, non corre certamente a rispetto dei Santi.
Poiché in quanto ai Santi non può dubitarsi essere utilissimo il ricorrere alla loro intercessione, parlando dei Santi già canonizzati dalla Chiesa, che già godono la vista di Dio.
Nel che il credere fallibile la Chiesa, non può scusarsi da colpa o da eresia, come vogliono S. Bonaventura, il Bellarmino, ed altri, o almeno prossima all’eresia, come tengono il Suarez, l’Azorio, il Gotti ecc., poiché il sommo Pontefice nel canonizzare i Santi, principalmente come insegna l’Angelico ( Quodlib. 9, art. 16, ad. l ), è guidato dall’istinto infallibile dello Spirito Santo.
Ma ritorniamo al dubbio di sopra proposto, se vi sia anche obbligo di ricorrere all’intercessione dei Santi.
lo non voglio entrare a decidere questo punto, ma non posso lasciare di esporre una dottrina dell’Angelico.
Egli primieramente in più luoghi rapportati di sopra, e specialmente nel libro delle Sentenze, suppone per certo esser tenuto ciascuno a pregare; poiché in altro modo non possono, come asserisce, ottenersi da Dio le grazie necessarie alla salute, se non si domandano ( in 4 sent. d. 15, q. 4, a. l ).
In altro luogo poi dello stesso libro, il Santo propone appunto il dubbio: Se dobbiamo pregare i Santi, affinché interpellino per noi ( in 4 sent. dist. q. 3, a. 2 ).
E risponde così ( per far bene capire il sentimento del santo bisogna riferire l’intero suo testo ): É l’ordine divinamente istituito nelle cose ( secondo Dionisio ), che per via dei mezzi ultimi si riconducano a Dio.
E però i Santi che sono nella Patria, essendo vicinissimi a Dio, l’ordine della divina legge richiede questo, che noi, i quali rimanendo nel corpo pellegriniamo lungi dal Signore, veniamo ricondotti a Lui per la mediazione dei Santi.
Il che appunto avviene, quando per mezzo di essi la divina bontà diffonde gli effetti suoi.
E perché il nostro ritorno a Dio deve corrispondere al procedimento della bontà di lui verso di noi; ( Siccome i benefici di Dio ci provengono mediante i suffragi dei Santi ), così fa d’uopo che noi siamo ricondotti a Dio, affinché di nuovo riceviamo i benefici di Lui per la mediazione dei Santi.
E quindi è che noi li stabiliamo nostri intercessori appresso Dio e quasi mediatori quando loro domandiamo che preghino per noi.
Si notino quelle parole: l’ordine della divina legge richiede questo; e specialmente poi si notino le ultime: siccome per intercessione dei Santi provengono in noi i benefici del Signore; così fa d’uopo che noi ci riconduciamo a Dio affinché dì nuovo riceviamo benefici per la mediazione dei Santi.
Sicché secondo S. Tommaso, l’ordine della divina legge richiede, che noi mortali per mezzo dei Santi ci salviamo, col ricevere per mezzo loro gli aiuti necessari alla salute.
Ed all’opposizione che si fa l’Angelico, cioè: che par superfluo ricorrere ai Santi, mentre Iddio è infinitamente più di loro misericordioso e propenso ad esaudirci, risponde, che ciò ha disposto il Signore, non già per difetto della sua clemenza, ma per conservare l’ordine retto, ed universalmente stabilito di operare per mezzo delle cause seconde.
E secondo quest’autorità di S. Tommaso, scrive il continuatore di Tournely con Silvio, che sebbene solo Dio deve pregarsi come autore delle grazie, nulladimeno noi siamo tenuti di ricorrere anche all’intercessione dei Santi, per osservare l’ordine che circa la nostra salute il Signore ha stabilito, cioè che gl’inferiori si salvino implorando aiuto dai superiori.
E se così corre parlando dei Santi, similmente deve dirsi dell’intercessione della divina Madre, le cui preghiere appresso Dio valgono certamente più che quelle di tutto il Paradiso.
Dice infatti S. Tommaso, che i Santi a proporzione del merito con cui si guadagnarono le grazie, possono salvare molti altri; ma Gesù Cristo e Maria SS. si sono meritati tanta grazia, che possono salvare tutti gli uomini ( Expos. in salut. Ang. ).
E S. Bernardo parlando di Maria SS. scrisse: Per te abbiamo accesso al Figlio, o inventrice di grazia, madre di salute, affinché per tuo mezzo ci riceva Colui, che per tuo mezzo fu dato a noi ( In adv. Dom. 1,2 ).
Col che volle dire: siccome noi non abbiamo l’accesso al Padre se non per mezzo del Figlio che è mediatore di giustizia; così non abbiamo l’accesso al Figlio se non per mezzo della Madre, ch’è mediatrice di grazia, e che ci ottiene con la sua intercessione i beni che Gesù Cristo ci ha meritati.
E in conseguenza di ciò il medesimo S. Bernardo in altro luogo dice, che Maria ha ricevuto da Dio due pienezze di grazia.
La prima è stata l’Incarnazione nel suo seno del Verbo eterno fatto Uomo.
La seconda è stata la pienezza delle grazie, che per mezzo delle preghiere d’essa divina Madre noi riceviamo da Dio.
Quindi soggiunse il Santo: Iddio pose in Maria la pienezza di ogni bene in guisa che se in noi è qualche speranza, qualche grazia’ qualche salute, riconosciamo ridondare da Lei, che ascende dal deserto ricolma di delizie.
Orto di delizie, affinché d’ogni parte si spargano e si dilatino gli aromi di Lei, i carismi, cioè, delle grazie ( Serm. De Aquaed. ).
Sicché quanto noi abbiamo di bene dal Signore, tutto lo riceviamo per mezzo dell’intercessione di Maria.
E perché mai ciò? perché ( risponde lo stesso S. Bernardo ) così vuole Dio.
Ma la ragione più specifica si ricava da ciò che dice S. Agostino.
Egli scrisse, che Maria giustamente si dice nostra madre, perché ella ha cooperato con la sua carità, affinché nascessimo alla vita della grazia nei fedeli, come membri del nostro capo Gesù Cristo ( De S. Virginit. c. 6 ).
Ond’è che siccome Maria ha cooperato con la sua carità alla nascita spirituale dei fedeli, così vuole Dio, ch’ella cooperi anche alla sua intercessione a far loro conseguire la vita della grazia in questo mondo, e la vita della gloria nell’altro.
E perciò la Santa Chiesa ce la fa chiamare e salutare con termini assoluti: la vita, la dolcezza, e la speranza nostra.
Quindi S. Bernardo ci esorta di ricorrere sempre a questa divina Madre, perché le sue preghiere sono certamente esaudite dal Figlio: Fa’ ricorso a Maria; lo dico francamente, certo il Figlio esaudirà la Madre.
E poi soggiunse: Questa, o figlioli, è la scala dei peccatori, questa la mia massima fiducia, questa tutta la ragione di mia speranza ( Serm. De Aquaed. ).
La chiama scala il Santo, perché siccome nella scala non si ascende al terzo gradino, se prima non si mette il piede al secondo; e non si giunge al secondo, se non si mette piede al primo, così non si giunge a Dio che per mezzo di Gesù Cristo, e non si giunge a Gesù Cristo che per mezzo di Maria.
La chiama poi la massima sua fiducia, e tutta la ragione di sua speranza, perché Iddio, come suppone, tutte le grazie che a noi dispensa, vuol che passino per mano di Maria.
E conclude finalmente dicendo, che tutte le grazie che desideriamo, dobbiamo domandarle per mezzo di Maria, perché ella ottiene quando cerca, e le sue preghiere non possono essere respinte.
E con sentimento conforme a san Bernardo parlano anche sant’Efrem: Noi non abbiamo altra fiducia se non quella che è da te, o Vergine sincerissima ( De Laud. B. M. V. ).
San Ildefonso: Tutti i beni che la divina Maestà decretò di loro compartire, stabilì di consegnarli nelle tue mani.
Perciocché a te sono affidati i tesori e gli ornamenti delle grazie ( De Cor. Virg. c. 15 ).
S. Germano: Se tu ci abbandoni, che sarà di noi, o vita dei Cristiani? ( De Zon. B. V. ).
S. Pier Damiani: Nelle tue mani sono tutti i tesori delle divine commiserazioni ( De Nat. S. I. ).
S. Antonio: Chi domanda senza di essa tenta di volare senza ali ( P. 4 tit. 15. c. 22 ).
San Bernardino da Siena in un luogo dice: Tu sei la dispensatrice di tutte le grazie; la nostra salute è in tua mano.
In altro luogo non solo dice, che per mezzo di Maria si trasmettono a noi tutte le grazie, ma anche asserisce, che la Beata Vergine, da che fu fatta madre di Dio, acquistò una certa giurisdizione sopra tutte le grazie, che a noi si dispensano ( Serm. De Nativ. B. M. V. c. 8 ).
E poi conchiude: Perciò si è che tutti i doni, le virtù, le grazie si dispensano per le mani della medesima a chi vuole, e come vuole.
Lo stesso scrisse S. Bonaventura: Tutta la divina natura essendo stata nell’utero della Vergine, ardisco dire, che questa Vergine dal cui seno come da un oceano della divinità derivano i fiumi di tutte le grazie, acquistò una tal quale giurisdizione sopra tutte le effusioni delle grazie.
Onde poi molti teologi fondati sulle autorità di questi santi piamente e giustamente hanno difesa la sentenza, che non vi è grazia che a noi si dispensa, se non per mezzo dell’intercessione di Maria; così il Vega, il Mendozza, il Paciucchelli, il Segneri, il Poirè, il Crasset, e molti altri autori col dotto Padre Natale di Alessandro, il quale scrisse: Dio vuole che tutti i beni aspettiamo da Lui, mediante la potentissima intercessione della Vergine Madre, quando la invochiamo come conviene ( Epist. 76 in calce, t. 4, Moral. ).
E ne adduce in conferma il riferito passo di S. Bernardo: Questo è il volere di Colui che il tutto volle darci per Maria ( Serm. De Aquaed. ).
E lo stesso dice il P. Contensone, il quale sulle parole di Gesù in croce dette a S. Giovanni: Ecco la tua madre, così soggiunse: Quasi dicesse, niuno sarà partecipe del mio sangue se non per intercessione di mia madre.
Le piaghe sono fonti di grazie, ma a nessuno deriveranno i rigagnoli, se non per il canale di Maria.
O Giovanni discepolo, tanto sarai da me amato, quanto avrai amato Lei ( Theol. ment. et cord. t. 2, 1. 10. d. 4. C. l. ).
Del resto è certo, che se Dio gradisce, che noi ricorriamo ai Santi, tanto più gli piacerà che ci avvaliamo dell’intercessione di Maria, acciocché ella supplisca col suo merito la nostra indegnità, secondo parla S. Anselmo.
Parlando poi S. Tommaso della dignità di Maria, la chiama quasi infinita ( 1 part. q. 25. a. 6. ad 4. ).
Onde a ragione dicesi, che le preghiere di Maria sono più potenti appresso a Dio, che le preghiere di tutto il Paradiso insieme.
Terminiamo questo primo punto, concludendo insomma da tutto quel che si è detto, che chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna.
Tutti i beati, eccettuati i bambini, si sono salvati col pregare.
Tutti i dannati si sono perduti per non pregare; se pregavano non si sarebbero perduti.
E questa è, e sarà la loro maggiore disperazione nell’inferno, l’aversi potuto salvare con tanta facilità, quant’era il domandare a Dio le di lui grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di domandarle.
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