Regola pastorale |
Diverso è il modo di ammonire coloro che fanno il male di nascosto e il bene in pubblico, e coloro che nascondono il bene che fanno e tuttavia lasciano che si pensi pubblicamente male di loro per certe loro azioni pubbliche.
Infatti, bisogna ammonire i primi a valutare la rapidità con cui i giudizi umani volano via, e come, invece, restano stabili quelli divini.
Bisogna ammonirli a tenere gli occhi della mente fissi al termine delle cose, poiché l’attestazione delle lodi umane passa, e la sentenza divina, che penetra ciò che è nascosto, si rafforza fino alla retribuzione eterna.
Pertanto, mentre pongono i loro peccati davanti al giudizio divino, e le loro azioni giuste davanti agli occhi degli uomini, il bene che compiono pubblicamente resta senza testimone, ma non senza testimone eterno rimane ciò che di male essi compiono di nascosto.
Così, nascondendo agli uomini le proprie colpe, e manifestando le virtù, mentre nascondono ciò per cui avrebbero dovuto essere puniti; di fatto lo svelano; e svelando ciò per cui avrebbero potuto essere premiati, di fatto lo nascondono.
Giustamente la Verità li chiama sepolcri imbiancati, belli all’esterno ma pieni di ossa di morti ( cf. Mt 23,27 ), perché occultano all’interno i mali dei vizi, ma con la dimostrazione di certe azioni blandiscono la vista degli uomini, con la sola apparenza esteriore della giustizia.
Pertanto, bisogna ammonirli a non disprezzare le azioni rette che compiono, ma ad attribuire ad esse un più grande merito; infatti, condannano gravemente ciò che fanno di buono, coloro che stimano un compenso sufficiente per esso il favore umano, giacché, quando per una azione retta si cerca una lode passeggera, si vende a poco prezzo una cosa degna di un compenso eterno.
Ed è di un tale prezzo che la Verità dice: In verità vi dico, hanno ricevuto la loro mercede ( Mt 6,2 ).
Bisogna ammonirli a considerare che mentre si mostrano malvagi nelle azioni nascoste e tuttavia offrono di sé pubblicamente esempi di buone opere, indicano che bisogna seguire ciò che essi fuggono, gridano che è amabile ciò che essi odiano e, da ultimo, vivono agli occhi degli altri, ma a se stessi muoiono.
Al contrario, bisogna ammonire coloro che fanno nascostamente il bene e tuttavia per qualche loro azione pubblica permettono che si pensi male di loro, a non uccidere in sé altri, con l’esempio di una cattiva stima, mentre vivificano sé stessi, con la potenza di un retto agire; a non amare il prossimo meno che sé stessi, e a non versare veleno pestifero nei cuori attenti alla considerazione del loro esempio, mentre loro stessi bevono vino salubre.
Poiché, in questo caso, non giovano alla vita del prossimo; e nell’altro la gravano molto; applicandosi, cioè, [ da un lato ] ad agire rettamente di nascosto, e [ dall’altro ] a seminare, per certe loro azioni, una cattiva opinione di sé come esempio per gli altri.
Infatti, chi è già in grado di mettersi sotto i piedi la brama della lode, opera a danno dell’edificazione se nasconde il bene che compie; e colui che non mostra l’azione che deve essere imitata è come se, dopo aver gettato il seme che deve germinare ne strappasse le radici.
Perciò infatti, la Verità disse, nell’Evangelo: Vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli ( Mt 5,16 ).
Dove pure è pronunciata quell’altra sentenza che sembra comandare tutto il contrario dicendo: Guardate di non compiere la vostra giustizia di fronte agli uomini per essere visti da loro ( Mt 6,1 ).
Che cosa significa allora che il nostro operare deve essere compiuto in modo da non essere visto, e tuttavia, secondo il precetto, deve essere visto, se non che tutto ciò che facciamo deve essere nascosto perché non siamo noi a riceverne lode, e deve essere manifestato perché accresciamo così la lode del Padre celeste?
Infatti, quando il Signore ci proibiva di compiere la nostra giustizia davanti agli uomini, subito aggiunse: Per essere visti da loro.
E quando comandava che le nostre opere buone dovevano essere viste dagli uomini, subito aggiunse: Affinché glorifichino il Padre vostro che è nei cieli.
Dunque, alla fine delle sentenze mostrò in che senso non devono essere viste e in che senso devono esserlo, affinché il cuore di chi la compie non cerchi che la sua opera sia veduta, per causa sua, e tuttavia non la nasconda, a gloria del Padre celeste.
Perciò accade che per lo più un’opera buona possa essere nascosta anche se avviene pubblicamente e, ancora, sia come pubblica pur compiendosi di nascosto.
Infatti, chi, in un’azione compiuta in pubblico, non cerca la propria gloria ma quella del Padre celeste, nasconde ciò che ha fatto, poiché ha considerato come testimone solo colui a cui si è preoccupato di piacere.
E colui che nel suo segreto brama di essere scoperto e lodato nella sua opera buona, anche se nessuno ha veduto ciò che egli ha compiuto, egli ha tuttavia fatto ciò davanti agli uomini, poiché ha condotto con sé, nella sua buona opera, tanti testimoni quante sono le lodi umane che ha ricercato nel suo cuore.
E quando una cattiva stima, che ha valore anche se non nasconde un peccato, non viene cancellata dalla mente di chi la considera, per l’esempio che essa rappresenta è come una colpa offerta all’imitazione di tutti quelli che vi prestano fede.
Perciò spesso accade che coloro i quali, con negligenza, permettono che si pensi male di loro, non compiono per se stessi alcuna iniquità e tuttavia, attraverso tutti coloro che li avranno imitati, peccano ripetutamente.
Perciò, a coloro che mangiano cibi immondi senza contaminarsi, quanto a sé, ma scandalizzano i deboli con questo modo di cibarsi, inducendoli in tentazione, Paolo dice: Guardate che la vostra libertà non diventi inciampo per i deboli ( 1 Cor 8,9 ).
E ancora: E per la tua coscienza perirà il fratello debole per il quale Cristo è morto.
E così, peccando contro i fratelli e colpendo la loro debole coscienza, peccate contro Cristo ( 1 Cor 8,11-12 ).
Perciò Mosè, dopo aver detto: Non dirai male di un sordo, aggiunse: Né porrai un inciampo davanti a un cieco ( Lv 19,14 ).
Dire male di un sordo equivale a criticare un assente che non può ascoltare; e porre un inciampo davanti a un cieco corrisponde ad agire con discernimento e tuttavia offrire occasione di scandalo a chi non ha la luce della discrezione.
Queste sono le avvertenze che il Pastore d’anime deve osservare nella diversità della predicazione, per contrapporre con sollecitudine medicine adatte alle ferite dei singoli.
Ma se è di grande impegno il servire alle situazioni individuali, nell’esortazione dei singoli, se è molto faticoso istruire ciascuno, in quanto lo può direttamente riguardare, con la dovuta considerazione, tuttavia è di gran lunga più faticoso farlo, nello stesso tempo e con il medesimo discorso, nei confronti di ascoltatori numerosi e sottoposti a passioni diverse; e il discorso deve essere regolato con tanta arte da adattarsi ai singoli ascoltatori coi loro diversi vizi, e insieme da non contraddirsi; da passare tra le passioni seguendo un solo tracciato, ma come una spada a due tagli, incidendo i tumori dei pensieri carnali da parti opposte, così che si predichi l’umiltà ai superbi in modo che però ai timidi non aumenti il timore; ai timidi si infonda sicurezza, in modo che però non cresca la sfrenatezza dei superbi.
Si predichi agli oziosi e ai torpidi la sollecitudine del bene operare in modo che però non si accresca la licenza di una attività smodata negli inquieti.
Si ponga una misura agli inquieti in modo che però il torpore degli oziosi non si senta sicuro.
Si spenga l’ira degli impazienti in modo che però, ai remissivi e ai tranquilli non aumenti la negligenza.
I tranquilli siano eccitati allo zelo, in modo che però non si aggiunga fuoco agli iracondi.
Si infonda spirito di larghezza nel dare agli avari in modo che però non si allentino i freni della liberalità smodata ai prodighi; e si predichi ai prodighi la parsimonia in modo che però negli avari non aumenti la custodia dei beni destinati a perire.
Si lodi il matrimonio agli incontinenti, in modo che però coloro che già sono continenti non siano richiamati alla lussuria.
Ai continenti poi si lodi la verginità del corpo in modo che però i coniugi non siano indotti a disprezzare la fecondità della carne.
Bisogna predicare i beni in modo che d’altro canto non ne traggano giovamento i mali.
Bisogna lodare i beni più alti in modo che non restino disprezzati i minori; e bisogna alimentare i minori perché se si pensa che siano per sé sufficienti, non si sia trattenuti dall’aspirare ai sommi.
È certo grave fatica per un predicatore essere attento, in un discorso rivolto a più persone, ai moti nascosti dei singoli e alle loro cause e, come avviene negli esercizi in palestra, destreggiarsi nell’arte di volgersi in diverse direzioni; tuttavia egli si sottopone a una fatica molto maggiore quando è costretto a predicare a una sola persona soggetta a vizi opposti.
Spesso infatti si dà il caso di qualcuno di carattere gaio che poi di colpo si deprime terribilmente per il sopraggiungere di una improvvisa tristezza.
Il predicatore deve allora fare si che venga tolta la tristezza improvvisa ma in modo che non cresca la gaiezza prodotta dal temperamento; e sia frenata la gaiezza del temperamento in modo che però non aumenti la tristezza che viene all’improvviso.
Uno è gravato da una abituale smodata precipitazione, però, ogni tanto, la forza di una improvvisa paura lo trattiene da qualcosa ché bisogna eseguire con fretta.
Un altro è gravato da una abituale smisurata paura, però ogni tanto è spinto da una precipitazione temeraria in qualcosa che desidera.
E allora, nel primo, bisogna reprimere la paura sorta improvvisamente in modo che però non aumenti la precipitazione coltivata a lungo; e nel secondo bisogna reprimere la precipitazione improvvisa, in modo che però non si rafforzi la paura dovuta al temperamento.
Quale meraviglia che i medici delle anime abbiano tanta cura di queste cose, se coloro che non curano i cuori ma i corpi si regolano con una discrezione così sapiente?
Spesso infatti una terribile malattia opprime un debole corpo e ad essa si deve venire in aiuto con rimedi vigorosi, ma tuttavia il corpo debole non sostiene il rimedio forte; allora il medico deve studiare in che modo togliere la malattia sopravvenuta senza aumentare la sottostante debolezza del corpo, perché insieme con la malattia non venga meno la vita.
Perciò mette insieme il rimedio con tanta discrezione da ovviare alla malattia e nello stesso tempo aiutare il malato.
Dunque, se la medicina del corpo, applicata in modo unitario, può agire in sensi opposti ( la medicina infatti è veramente tale quando con essa si rimedia alla malattia sopravvenuta e si viene in aiuto anche al temperamento che vi è sottoposto ), perché la medicina dell’animo applicata da una sola e medesima predicazione non dovrebbe essere in grado di ovviare a malattie morali di diverso ordine, essa che è tanto più sottilmente praticata, in quanto si tratta di condizioni spirituali?
Ma poiché spesso irrompe una malattia dovuta al concorrere di due vizi, dei quali forse uno preme in modo più grave dell’altro, più leggero; è senza subbio più giusto venire in fretta in aiuto contro quel vizio per cui si corre rapidamente alla morte.
E se per evitare una morte prossima, non si può contenere questo, senza che cresca il coesistente vizio contrario, occorre che il predicatore tolleri che attraverso la sua esortazione, questo ultimo, per un artificioso accomodamento, subisca una crescita, pur di poter trattenere l’altro dalla vicina morte.
Ciò che egli opera non aumenta la malattia del suo ferito, cui egli applica il rimedio, ma gli conserva la vita finché trovi il momento adatto per ricercare la sua salvezza.
Spesso avviene che qualcuno, per non sapersi affatto trattenere dall’ingordigia dei cibi, viene assalito dagli stimoli della lussuria che ormai sta per vincerlo ed egli, atterrito dal timore di soccombere in questa lotta, mentre si sforza di contenersi con l’astinenza, è travagliato dalla tentazione della vanagloria.
In questa situazione non è possibile che si estingua un vizio senza che se ne alimenti un altro.
Dunque, quale peste occorre combattere con più ardore se non quella che preme con maggiore pericolo?
Allora bisogna tollerare che, provvisoriamente, in chi esercita la virtù dell’astinenza cresca un po’ di orgoglio purché egli viva, piuttosto che lo uccida del tutto la lussuria generata dall’ingordigia.
Perciò Paolo, considerando il suo debole ascoltatore esposto all’alternativa, o di un agire ancora perverso o di compiacersi per il compenso della lode degli uomini, per il suo agire retto, dice: Vuoi non temere l’autorità?
Fa’ il bene e riceverai lode da essa ( Rm 13,3 ).
Infatti, né il bene va fatto per non dovere temere chi ha il potere in questo mondo né per ricevere con esso la gloria di una lode passeggera.
Ma considerando che un cuore debole non può giungere a tanta fortezza da voler sfuggire insieme al male e alla lode, il gran dottore, nella sua ammonizione, mentre gli toglie una cosa gli concede l’altra; infatti, concedendogli ciò che è più leggero, gli tolse il più grave, in modo che non essendo in grado di abbandonare tutto in una sola volta, l’animo veniva lasciato alla consuetudine di un certo suo vizio per essere liberato senza fatica da un certo altro.
Occorre che il predicatore non attiri l’animo del suo ascoltatore al di là delle sue forze, affinché la corda della mente non si spezzi mentre viene tesa, per cosa dire, oltre il suo potere.
Infatti, quando sono molti ad ascoltare, i discorsi troppo elevati si devono contenere e riservare solo per pochi.
Perciò la Verità in persona dice: Chi credi che sia il dispensatore fedele e prudente che il padrone ha stabilito sulla sua famiglia perché dia a ciascuno a suo tempo la misura di grano? ( Lc 12,42 ).
E la misura di grano esprime lo stile del discorso perché non accada che si dia a un cuore angusto qualcosa che esso non può contenere e questo si versi al di fuori.
Perciò Paolo dice: Non ho potuto parlarvi come a spirituali, ma come a carnali.
Come a bambini in Cristo, vi ho dato da bere latte e non cibo solido ( 1 Cor 3,1 ).
Perciò Mosè, uscendo dall’intimità con Dio, vela, davanti al popolo, il volto ancora raggiante ( cf. Es 34,31 ); certo perché, alle turbe, esso non parla dei misteri della luce interiore.
Perciò, attraverso di lui, viene prescritto dalla parola divina che se qualcuno ha scavato una cisterna e ha trascurato di ricoprirla, deve pagare il prezzo di un bue o di un asino che vi sia caduto dentro ( cf. Es 21,33-34 ).
Poiché, se i rozzi cuori dei suoi ascoltatori non possono contenere le acque correnti della profonda dottrina cui egli è pervenuto, è considerato reo meritevole di pena qualora, per le sue parole, una mente, sia pura sia impura, resta presa nello scandalo.
Perciò viene detto al beato Giobbe: Chi ha dato l’intelligenza al gallo? ( Gb 38,36 ).
Infatti, il predicatore santo che grida in questo tempo oscuro è come il gallo che canta nella notte, quando dice: È ormai ora di sorgere dal sonno ( Rm 13,11 ); e ancora: Vegliate, giusti, e non peccate ( 1 Cor 15,34 ).
Ma il gallo è solito emettere un alto canto nelle ore più profonde della notte, e invece, quando l’ora del mattino è più vicina, produce suoni più tenui e leggeri, poiché chi predica opportunamente grida in modo chiaro ai cuori ancora ottenebrati e non fa alcun accenno ai misteri nascosti, affinché siano in grado di ascoltare discorsi più sottili sulle cose celesti quando si avvicinano alla luce della verità.
Ma ritorniamo soprattutto con ardore di carità a quanto abbiamo già detto sopra, che cioè ogni predicatore si faccia sentire più con i fatti che con le parole, e imprima le sue orme per chi lo segue, attraverso una buona vita, piuttosto che mostrare con le parole la mèta verso cui essi devono camminare.
Poiché anche questo gallo, che il Signore prende come esempio nelle sue parole, per indicare il tipo del buon predicatore, quando già si prepara a cantare, prima scuote le ali e percuotendosi da solo si fa più sveglio; chiaramente perché è necessario che coloro, i quali si accingono alla santa predicazione, siano prima vigilanti e dediti al bene operare, perché non pretendano di scuotere gli altri con le parole, mentre in se stessi dormono nell’inerzia: scuotano se stessi, prima, con azioni elevate, e solo allora rendano gli altri solleciti del ben vivere; prima colpiscano sé con le ali della meditazione e con attento esame colgano ciò che in loro giace nell’inutile torpore e lo correggano con severa riprensione; e solo allora regolino con le parole la vita degli altri.
Prima abbiano cura di punire i propri peccati con pianto e poi denuncino ciò che è degno di punizione negli altri; e prima di fare risuonare parole di esortazione, gridino con le opere tutto ciò che hanno intenzione di dire.
Indice |