Trattato dei miracoli |
[1003] 182. Nella diocesi di Magliano Sabino viveva una vecchietta di ottant'anni, che aveva avuto due figlie, essa affidò da allattare a quella rimasta viva il figlio della sorella morta prima.
Quando anch'essa poi concepì dal marito, rimase senza latte.
Non v'era perciò nessuna che venisse in soccorso al bimbo orfano, nessuna che potesse fornire al fanciullo affamato una goccia di latte.
La vecchia si lamentava e si tormentava per il nipotino e, afflitta da estrema miseria, non sapeva dove rivolgersi.
Il bambino si indeboliva veniva meno e insieme a lui sembrava morire anche la nonna di dolore.
Vagava la vecchietta per vicoli e case e nessuno poteva evitare le sue grida.
Una notte, per calmare i vagiti, accostò le labbra del bambino alle sue mammelle disseccate e tutta in lacrime invocò con insistenza l'aiuto e il soccorso del beato Francesco.
Subito le fu accanto quell'amico dell'età innocente e con la consueta misericordia verso gli infelici, sentì compassione per la vecchietta e disse: « Io sono quel Francesco, o donna, che tu hai invocato con tante lacrime.
Accosta le mammelle alle tenere labbra - egli continuò -, poiché il Signore ti fornirà abbondante latte! ».
Obbedì la vecchia all'ordine del Santo e subito dalla mammella di una ottuagenaria uscì gran quantità di latte.
Il fatto venne conosciuto da tutti, poiché era chiaramente visibile e destò meraviglia, mentre intanto la curva vecchietta rinverdisce di giovanile ardore.
Moltissimi accorsero a vedere; tra essi il conte di quella provincia e ciò che non aveva creduto per sentito dire dovette ammettere per sua personale esperienza.
Infatti la rugosa vecchietta innaffiò con un ruscello di latte il conte che voleva sapere del fatto, mettendolo in fuga con tale aspersione.
Allora, tutti benedicono il Signore che solo compie grandi meraviglie e venerano con devoto ossequio il servo di lui san Francesco.
Crebbe presto il bambino per quel mirabile nutrimento ed in breve superò le condizioni della sua età.
[1004] 183. Un uomo di nome Martino aveva condotto dei buoi a pascolare fuori dal suo paese; uno di essi si spezzò una zampa in modo tale che Martino non riusciva a trovare alcun rimedio.
Mentre si preoccupava come scuoiarlo, poiché non aveva nessuno con sé, fece ritorno a casa, affidando alla custodia di san Francesco il bue, perché i lupi non lo divorassero prima del suo ritorno.
Di primo mattino, di ritorno con lo scuoiatore dal bue che aveva lasciato nel bosco trovò l'animale che pascolava così pacificamente che egli non sapeva distinguere la gamba fratturata dall'altra.
Ringraziò il buon pastore, che diligentemente si era preso cura del bue e gli aveva offerto una medicina salutare.
[1005] 184. Un altro uomo di Amiterno aveva smarrito per tre anni un suo giumento, sottrattogli per furto, rivolse allora le sue preghiere al beato Francesco, e prosternato lo supplicò con lamento.
Una notte, addormentatosi, udì una voce che gli diceva: « Alzati, va a Spoleto e di là riporterai il tuo giumento ».
Si svegliò a quel richiamo meravigliato, ma si riaddormentò.
Richiamato nuovamente da una simile visione, chiese chi mai fosse chi gli parlava: « Io sono, rispose la visione, quel Francesco, che tu hai invocato ».
Pensando che fosse un'allucinazione, trascurò di seguire l'ordine.
Chiamato poi per la terza volta, devotamente obbedì; si recò a Spoleto e, ritrovato sano e salvo il giumento, avutolo senza difficoltà, lo ricondusse a casa.
Narrò questo fatto ovunque a tutti, e si mise per sempre al servizio di san Francesco.
[1006] 185. Un popolano di Interdoclo, aveva comperato un catino assai bello e lo aveva consegnato alla moglie perché lo custodisse diligentemente.
Un giorno la domestica della moglie prese il catino, vi pose dentro dei panni da lavare con la lisciva.
Ma sia per il calore del sole che per quello della lisciva, il vaso si crepò tutto, sì che non si poteva più usare in alcun modo.
Impaurita, la domestica riporto il catino alla sua padrona, spiegandole più con le lacrime, che con le parole quanto era accaduto.
Quella, non meno spaventata di lei, ed atterrita al pensiero dell'ira del marito, si aspettava le percosse.
Intanto nascose con premura il catino, invocò i meriti di san Francesco ed implorò la grazia.
All'istante per merito dei suffragi del Santo, i cocci si ricongiunsero e il catino, rotto, si ripresentò intatto.
Fu grande la gioia per le vicine, che poc'anzi avevano avuto compassione per la poveretta; la moglie poi per prima raccontò il fatto meraviglioso al marito.
[1007] 186. Un giorno, un uomo di Monte dell'Olmo nelle Marche, mentre inseriva il vomere nell'aratro, si accorse che il vomere si era rotto in pezzi.
Si rattristò il contadino sia per la rottura del vomere che per la giornata perduta, e piangeva non poco: « O beato Francesco - implorò -, porta soccorso a me che confido nella tua misericordia!
Donerò ogni anno ai tuoi frati una misura di frumento e mi preoccuperò delle loro necessità, se adesso avrò la prova della tua grazia, come innumerevoli altri hanno esperimentato! ».
Terminata la preghiera, il vomere si riaggiustò, il ferro si ricongiunse senza che rimanesse alcun segno della rottura.
[1008] 187. Un chierico di Vicalvi, di nome Matteo, bevuto un veleno mortale, fu così visibilmente leso, che non riusciva più a parlare e aspettava ormai soltanto la fine.
Un sacerdote che l'aveva consigliato di confessarsi da lui, non riuscì a farlo parlare.
Ma quello pregava in cuor suo Cristo con umiltà perché lo liberasse per i meriti del beato Francesco.
Subito appena pronunciato con voce flebile il nome del beato Francesco, alla presenza dei testimoni, vomitò il veleno.
[1009] 188. Il signor Trasmondo Anibaldi, console di Roma al tempo in cui occupava la carica di podestà a Siena in Toscana, teneva con sé un certo Niccolò assai caro e attento alle faccende della famiglia.
Gli scoppiò all'improvviso nella mascella una letale malattia, e i medici prognosticavano prossima la sua morte.
Mentre costui si era un poco assopito, apparve la Vergine Madre del Cristo e gli ordinò di consacrarsi al beato Francesco e di visitare senza indugio il suo sepolcro.
Si alzò la mattina e raccontò la visione al suo padrone, che, ammirato, volle farne subito la prova.
Venuto quindi ad Assisi, davanti alla tomba, riebbe tosto l'amico risanato.
Mirabile guarigione, ma ancor più mirabile degnazione della Vergine, che soccorse l'infermo e innalzò i meriti del Santo.
[1010] 189. Ben sa questo Santo soccorrere tutti quelli che lo invocano, né disdegna di sovvenire a qualsiasi necessità.
In Spagna, presso San Facondo, un uomo aveva nel giardino un ciliegio, che produceva copiosi frutti ogni anno e dava guadagno al suo cultore.
Una volta l'albero si seccò e si inaridì dalle radici.
Il padrone voleva abbatterlo, perché non occupasse più terreno, ma, consigliato da un vicino di rimettere la cosa al beato Francesco, seguì il suggerimento.
Quindi contro ogni speranza, l'albero, in modo miracoloso a suo tempo verdeggiò, fiorì e mise fronde, producendo frutti come prima.
Da allora per riconoscenza di così grande grazia, quell'uomo mandò sempre ai frati di quei frutti.
[1011] 190. A Villasilos, le viti erano rovinate dall'invasione di vermi; gli abitanti allora chiesero consiglio a un frate dell'Ordine dei predicatori per avere un rimedio a tale infestazione.
Costui suggerì loro di scegliere due santi di loro preferenza e di eleggerne uno patrono per rimuovere tale piaga, essi scelsero san Francesco e san Domenico.
Tratta la sorte, la scelta cadde su san Francesco, ed allora quegli uomini si rivolgono al suo aiuto e d'un tratto ogni invasione di vermi fu allontanata.
Onorano perciò il Santo con speciale devozione e venerano il suo Ordine con grande affetto.
Infatti ogni anno, per ringraziare di tanto miracolo, fanno ai frati un'offerta particolare di vino.
[1012] 191. Presso Palencia, un sacerdote aveva un granaio per conservare il frumento, ma esso ogni anno veniva invaso dai gorgoglioni, cioè dai parassiti del frumento.
Il sacerdote, turbato da così grave danno, cercò un rimedio, ed affidò al beato Francesco la difesa del granaio.
Fatto ciò, di lì a poco, trovò fuori del granaio ammassati e morti tutti i vermi, né da allora in poi ebbe a soffrire di tale infestazione.
Quel sacerdote poi, devoto per la grazia ricevuta, e non ingrato del beneficio, per amore a san Francesco elargisce ogni anno ai poveri un'offerta di frumento.
[1013] 192. Ai tempi in cui una rovinosa invasione di bruchi aveva devastato il regno della Puglia, il padrone di un castello, detto Pietramala, raccomandò supplice la sua terra al beato Francesco.
La terra, per i meriti del Santo, risultò del tutto libera da quella rovinosa invasione, mentre ogni cosa tutt'attorno veniva divorata da questa piaga.
[1014] 193. Una nobile signora del castello di Galete, soffriva di una fistola fra le mammelle; afflitta dal dolore e dall'odore poco gradevole, non era riuscita a trovare alcun rimedio efficace.
Essa un giorno entrò per pregare in una chiesa dei frati, dove scorse un libretto che conteneva la vita e i miracoli di san Francesco e curiosa di quanto vi fosse scritto, lo sfogliò diligentemente.
Quando colse il senso di quelle pagine, piangendo, sollevò il libretto tenendolo aperto sulla parte ammalata ed esclamò: « Come sono veri i fatti, che sono descritti in queste pagine, o san Francesco, così adesso fa che per i tuoi santi meriti sia liberata da questa piaga! ».
E per qualche tempo pianse e insisté nella preghiera, all'improvviso, tolte le bende, si ritrovò guarita sì che da allora non si scorse più nemmeno il segno della piaga.
[1015] 194. Una cosa simile avvenne anche dalle parti della Romania ad un padre che implorò con devota preghiera san Francesco per il figlio piagato da una grave ulcera.
« Se sono veri i fatti, esclamò, o Santo di Dio, che si raccontano di te in tutto il mondo, possa io esperimentare in questo figlio, a lode di Dio, la clemenza della tua bontà ».
Subito allora, rottasi la benda, alla vista di tutti il pus eruppe dalla ferita e la carne del bambino risultò così rimarginata che non restò alcun segno della passata malattia.
[1016] 195. Mentre era ancora in vita il beato Francesco, un frate era tormentato da una malattia così orrenda che le sue membra si arrotolavano come in un cerchio.
Infatti talvolta era reso tutto teso e rigido, con i piedi all'altezza del capo, e veniva sbalzato in alto quanto è alto un uomo e poi tutto ad un tratto ricadendo a terra, si avvoltolava con la spuma alla bocca.
Il santo padre, preso da viva compassione per il suo tormento, dopo aver pregato per lui, con un segno di croce, lo guarì così efficacemente che il malato in seguito non patì nessun fastidio di quella infermità.
[1017] 196. Dopo la morte del beato padre, un altro frate aveva nel basso ventre una fistola così grave, che ormai non c'era più speranza di guarigione.
Egli aveva chiesto al suo ministro il permesso di visitare il luogo del beato Francesco, ma per timore che la fatica del viaggio aggravasse la sua condizione, il permesso gli fu negato.
Il frate perciò si rattristò non poco.
Gli apparve una notte il beato Francesco che gli disse: « Non rattristarti più, figliuolo, ma getta via la pelle che indossi, togli la medicazione dalla piaga; osserva la tua regola e subito ti troverai guarito ».
Egli, alzandosi la mattina, fece quanto il Santo gli aveva ordinato e ottenne la immediata guarigione.
[1018] 197. Un uomo, essendo stato gravemente ferito in testa da una freccia di ferro, non poteva ricevere alcun soccorso dai medici, perché la freccia era entrata nel cavo dell'occhio rimanendo infissa nella testa.
Con supplice devozione il ferito si votò al beato Francesco; una volta, mentre riposava un poco e si era assopito, udì il beato Francesco che gli diceva, durante il sonno, che facesse sfilare la freccia dalla parte posteriore della testa.
Il giorno dopo fece come aveva udito durante il sonno e si trovò liberato senza grande difficoltà.
Indice |